“E’ bello per noi stare qui”.
Occorre aver fatto l’esperienza di un incontro straordinario perché nella vita possa introdursi, anche solo come un barlume, la speranza di una bene per sé, tanto grande quanto inatteso e capace di imprimere una svolta alla propria esistenza.
Non necessariamente sconvolgente come quello di Paolo sulla via di Damasco.
A Pietro non è bastata l’esperienza della Trasfigurazione sul monte Tabor per riuscire a stare sotto la Croce di Cristo.
La spontanea baldanza nel proporsi di fare tre tende ha dovuto presto fare i conti con l’esigenza di un cammino, non sempre facile, di fedeltà a quell’Amico, apparso d’improvviso in una luce nuova ed affascinante.
Anche in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, dove forte è la tentazione di chiudersi nel privato e badare al proprio piccolo mondo, emergono storie di persone, come quella dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio ucciso in Congo, destinate a lasciare un segno profondo.
Le testimonianze di chi lo ha conosciuto raccontano di una persona capace di farsi tutto a tutti, specie ai più piccoli, “un uomo al servizio dell’uomo”, “un uomo unito, pieno di stupore”. Ed ancora: – Fin dalla prima volta che lo abbiamo conosciuto eravamo stati travolti dalla sua umanità -.
Da dove nasceva in Luca quello stupore con cui guardava il mondo? Quel mondo segnato da decenni di conflitti armati, dalla violenza e da oltre quattro milioni di minori abbandonati? Sperimentiamo anche noi che quando le circostanze remano contro neppure gli affetti più cari ci bastano.
San Tommaso affermava che “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. Sempre, ma in particolare questo tempo, la sfida per tutti è scoprire quale sia l’affetto in grado di sostenere la vita di ciascuno.
Per i credenti la verifica ancora più radicale è quanto la fede sia in grado di resistere di fronte a tutte le circostanze, anche le più drammatiche.
Nelle vite dei Santi, anche di quelli a noi più vicini, non tutti annotati nel calendario liturgico, è possibile cogliere un segreto che li accomuna e che potrebbe dare a noi, se volessimo, la possibilità di imitarli.
Penso con gratitudine anche alle persone che in tempi e modi diversi hanno segnato in maniera decisiva la nostra vita e dai quali non avremmo mai voluto separarci: genitori, nonni, educatori, sacerdoti.
Il venerabile mons. Raffaello Delle Nocche, della cui esperienza pastorale nella Diocesi di Tricarico è ancora vivo il ricordo, era solito ripetere ad una sua figlia spirituale questo ammonimento: – L’obbedienza fa miracoli -.
Lo scorso 22 febbraio, nell’omelia per la festa della Cattedra di San Pietro, ricorrendo l’anniversario della morte di Don Luigi Giussani, il nostro Vescovo ha messo a tema la stessa parola, per taluni forse desueta: obbedienza. Una obbedienza espressione di amorevole figliolanza, non di formale disciplina, capace di donare a quanti liberamente l’abbracciano il dono della fecondità e lo splendore di vite indimenticabili.
Concludeva il Vescovo: “Il Signore provvede sempre alla sua Chiesa. Il Signore suscita sempre uomini, sacerdoti, consacrati laici che lasciano un segno nella storia e che rianimano la vita della Chiesa”.
E’ a questi uomini che sempre dobbiamo guardare.
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