Potrebbe sembrare una provocazione anche soltanto il tema che si è data la CRAL, la Consulta regionale delle aggregazioni laicali della Chiesa di Basilicata, in un lavoro sinodale iniziato il 23 aprile dello scorso anno. In questo lungo periodo e in 15 tavoli di lavoro su varie aree tematiche si sono confrontati i rappresentanti delle aggregazioni dei fedeli laici della regione, animando convegni, seminari e riunioni in tutte le sedi diocesane. Nella giornata conclusiva tenuta a Potenza il 21 giugno presso l’Auditorium del Parco del Seminario è stato presentato il documento finale di questo lavoro: “Segni di speranza – Costruttori di futuro”.
Quali sono questi segni di speranza e come è possibile parlare di speranza, parlare di futuro, in una regione segnata drammaticamente da preoccupanti fenomeni come la denatalità, lo spopolamento e la massiccia emigrazione giovanile?
A questo proposito bisogna innanzitutto dire che non si tratta di un abbaglio parlare di segni di speranza. Perché questi segni ci sono davvero, sono reali. Magari non sono molti, ma rappresentano una vera speranza. Ne abbiamo parlato recentemente anche su questo giornale. A proposito del boom dell’export regionale, migliore performance negli ultimi 30 anni. La stessa cosa si potrebbe dire a proposito dei dati sull’occupazione con un incremento di seimila unità dalla crisi pandemica; più 3,4 per cento, nettamente al di sopra della media nazionale. O dell’incremento del PIL pro capite, superiore addirittura a quello della Lombardia.
Su questo paradosso – ma evidentemente sempre la speranza si presenta come un paradosso – si è diffusamente soffermato Lindo Monaco, presidente della CRAL, nel presentare il documento finale. Che però non ha mancato di osservare come questi segni di speranza non riescono a fare invertire la tendenza, da parte soprattutto dei giovani, ad abbandonare la propria terra. Se si emigra, ovviamente, è perché non si riconoscono i segni positivi che la realtà offre, non si riconosce una vera speranza.
Perché succede questo? La Consulta regionale delle aggregazioni laicali, nello spirito sinodale, chiama tutti e non soltanto i cattolici a cercare le risposte più appropriate, risposte che non potranno non essere che il frutto di un lungo e non facile lavoro di approfondimento e di verifica, frutto in particolare della concreta esperienza vissuta.
Qualcosa però ci pare si possa cominciare a dire già adesso. Quello che manca alla nostra regione, oltre a tutto quello che è stato sottolineato tante volte, è un vero modello di sviluppo. Perché evidentemente non può esserci uno sviluppo economico senza una rappresentazione che renda attrattivi gli stili di vita e l’economia di un territorio. Manca, in altre parole, una capacità culturale di mettere a valore le risorse di un territorio. Manca la capacità di rendere cultura la speranza.
Tutto questo succede perché non sono molti nel territorio i centri di elaborazione culturale capaci di interfacciarsi in particolare con i bisogni, con gli interessi e con le speranze dei giovani. Questo, per la verità, è comune a tutte le regioni meridionali, probabilmente perché mancano istituzioni universitarie capaci di trainare questo processo.
È un peccato perché, come si diceva, nel Mezzogiorno non mancano le risorse. Pensiamo ai processi di transizione energetica messi in atto e che già oggi sono in grado di far fronte, con fonti di energia rinnovabili, a buona parte dei fabbisogni energetici. Pensiamo all’agroalimentare e alle potenzialità del turismo. Alla riconversione industriale che ha reso alcune industrie meridionali competitive persino in settori come quello aerospaziale. E pure nella sanità meridionale, nonostante la sua disastrosa situazione generale, non mancano esempi di eccellenza; esempi che potrebbero diventare anche una leva per un’inversione di tendenza.
Quello che manca è, inoltre, qualcosa che un tempo invece caratterizzava il nostro popolo; manca un’esperienza di unità. Il documento conclusivo delle aggregazioni laicali lo dice chiaramente: «Si avverte l’esigenza di un nuovo e forte patto sociale, di una nuova alleanza, inedita nei metodi e nei contenuti, fuori dagli schemi rigidi di appartenenza civile o politica, che sappia coinvolgere i tanti finora ai margini rendendoli protagonisti nella costruzione di quell’atteso “sogno di cambiamento”.»
Questo chiama in causa principalmente la Chiesa, generatrice di unità. Bisogna dirlo questo perché – e ci sia concessa la libertà di dirlo – è ricorrente l’alibi esibito da tanti cattolici che attribuiscono alla politica la responsabilità dell’unità e della tenuta di una società. Invece, soltanto all’interno della Chiesa può ricrearsi quella “nuova alleanza” che si attende.
Spetta principalmente ai cattolici, dunque, essere “Segni di speranza – Costruttori di futuro”, come vuole il tema del documento della CRAL. Per riuscire a scoprire la positività che la realtà, attraverso le sue circostanze, presenta; circostanze che talvolta determinano successi, altre volte insuccessi. Bisogna saper cogliere cioè i segni di speranza in una realtà segnata da tante contraddizioni. Ed educare il popolo a credere, ad affidarsi a questa speranza.
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