Celebriamo oggi la giornata della Memoria, come tra qualche settimana celebreremo il giorno del Ricordo. Un filo lega le due ricorrenze, un filo di violenza e di crudeltà nei confronti della persona umana, che non ha confini; chiunque le compia e da qualunque parte provengano, la crudeltà e la violenza sono abominevoli e vanno decisamente respinte e condannate senza giustificazione. Queste ricorrenze ci interpellano e non possono ridursi soltanto a momenti commemorativi. Se il ricordo dello sterminio di milioni di uomini non ci scomoda, se non ci fa stare sulle spine, se non ci sollecita a scelte che costano, diventano solo l’occasione per esternare profonde emozioni. La civiltà attuale è “smemorata”, immersa come è nell’immediato e nella frenesia del futuro. “Chi non ricorda, non vive”, diceva il critico letterario Giorgio Pasquali nel suo saggio “Filologia e storia” del 1920.
“Là dove non esiste la memoria, il male tiene aperte le ferite”, affermava Papa Francesco qualche anno fa, commemorando i cento anni dello sterminio dei Cristiani Armeni.
La memoria, tuttavia, non deve essere conservata in uno scrigno o in una biblioteca, ma va attualizzata, perché riscaldi sempre il cuore, orienti la vita, dia senso al nostro procedere nella storia; la storia che può e deve darci la luce che riscalda la coscienza morale, rendendola capace di operare e di guidare il faticoso cammino che ci è davanti.
Il ricordo delle violenze di ieri deve aiutarci a sconfiggere le violenze di oggi, che ancora si manifestano nel mondo e nelle nostre comunità e che sono fatte anche di ingiustizie quotidiane ai danni dei più deboli, verso i quali non si può rimanere indifferenti. Sosteneva il grande scrittore russo Cechov che “l’indifferenza è la paralisi dell’anima, è una morte prematura”. Ricordiamo oggi l’Olocausto, tenendo presente una considerazione di Primo Levi, sopravvissuto da Auschwitz: “se è successo, vuol dire che può succedere ancora”.
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