Lavoratori operosi, creativi e oranti come Giuseppe di Nazaret
Chicago, 1 maggio 1886: una rivolta dei lavoratori risolta con l’ottenimento di diritti che la rivoluzione industriale stava negando: il primo maggio diventa la festa di tutti i lavoratori.
Nel 1955, di fronte alla secolarizzazione della società protagonista del boom postbellico, papa Pio XII nomina San Giuseppe patrono dei lavoratori: “Istituiamo così la festa liturgica di S. Giuseppe artigiano, assegnando ad essa precisamente il giorno 1° maggio […] che il mondo del lavoro ha aggiudicato a sé, come propria festa, con l’intento che da tutti si riconosca la dignità del lavoro, e che questa ispiri la vita sociale e le leggi, fondate sull’equa ripartizione di diritti e di doveri. L’umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S. Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie” (1 maggio 1955, Discorso di sua santità Pio XII in occasione della solennità di S. Giuseppe Artigiano).
“Si eviti con ogni premura che il felice esito del lavoro generoso, speso per stabilire ed estendere il regno di Dio, venga intralciato o fatto naufragare col cedere ad ambizioni personali o a rivalità di gruppi particolari […]. Tanto grande è il bisogno di una formazione metodica, attraente e sempre adattata alle circostanze locali” per “conservare e accrescere la vita cristiana nel lavoratore” (ibidem).
È questo lo spirito dell’istituzione di tale festa: la conservazione della dimensione spirituale del lavoro come strumento di redenzione, di cooperazione all’opera creatrice di Dio, di servizio concreto ai bisogni della società.
San Giuseppe è stato uomo concreto e silenzioso dietro le quinte ma che costituisce un esempio importante per tanti lavoratori che, sportivamente invece, assumono il senso dell’impegno nel lavoro come opzione più che dovere avendo in dispregio la considerazione che a tante persone sfortunate manca addirittura proprio la possibilità di lavorare.
San Giuseppe, è stato inoltre uomo creativo, pronto e di preghiera: si sarà certamente “inventato” un lavoro per poter sopravvivere con la sua famiglia in Egitto, non ha esitato – con tutti i disagi che questo avrebbe comportato pur di tutelare la famiglia a cui era a capo – alla partenza repentina per l’Egitto, nella preghiera ha trovato le risposte per i dilemmi più profondi, uno tra tutti quello di accogliere Maria come sposa. Sono queste – la creatività, la prontezza nel formarsi e nell’aggiornarsi e la vita di preghiera per risolvere quei “dilemmi” operativi oppure legati ai rapporti umani che pur nel lavoro non mancano – altre caratteristiche per cui ogni lavoratore potrebbe prendere Giuseppe a modello, ovviamente, insieme alla certezza che ogni lavoratore ha un terreno di apostolato particolare, fin dove nessun religioso o sacerdote ordinato potrebbe portare il lievito nella massa.
Lavoro come lievito, non solo in tema di evangelizzazione, ma anche inteso nel senso del lavoro reale che è strumento di crescita della società civile che si sviluppa nel bene se il lavoro è svolto da ciascuno – magari dietro l’esempio di qualcuno! – con spirito di servizio e con l’obiettivo di generare nuove opportunità di lavoro per chi abbiamo accanto.
E allora buon lavoro e buon primo maggio a tutti! A chi il lavoro ce l’ha e a chi lo sta cercando!
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