Chi di noi ha conosciuto quelle suore che negli ospedali e negli ospizi vestivano un abito blu e indossavano un cappellone a grandi falde bianche – le “Figlie della Carità” – forse non sa che la fondatrice di quest’ordine è S. Luisa de Marillac.
Nata a Parigi nel 1591, registrata all’anagrafe come figlia del vedovo Luigi de Marillac, di nobile casato, non conobbe, da bambina, il calore di una vera famiglia: il padre fu assente per lunghi periodi per gli impegni imposti dalla sua carriera militare, per poi contrarre un secondo matrimonio pochi anni dopo con una vedova con quattro figli.
Luisa venne messa in collegio nel monastero reale delle domenicane di Poissy, ove ricevette un’educazione signorile. Fino all’età di 13 anni, quando la prematura scomparsa del padre generò in famiglia il rifiuto di provvedere all’educazione di una figlia illegittima e Luisa fu messa a pensione presso una ‘damigella povera’, forse la sua vera madre, che le insegnò i lavori di casa.
Le sofferenze patite suscitarono in lei il desiderio di rifugiarsi nella vita contemplativa. Quindicenne, in cuor suo fece voto di entrare in monastero, ma il religioso a cui aveva confidato le sue aspirazioni non glielo consentì per la sua debole costituzione, assicurandole che Dio aveva per lei “un altro progetto”.
A 22 anni, Luisa venne data in sposa ad Antonio Le Gras, di antica famiglia e solide finanze, segretario della reggente di Francia Maria de’ Medici.
I primi tempi della loro vita coniugale furono spensierati. La generosità e la bontà verso i poveri di Antonio corrispondevano agli stessi slanci della sua sposa e ben presto la loro unione fu allietata dalla nascita di un bambino, Michele.
Dopo pochi anni, però, la situazione politica mutò e la protezione della regina venne a mancare: cominciarono difficoltà economiche ed emarginazione sociale.
La “notte oscura” (1617-1625)
Malattie, lutti familiari, incomprensioni, cancellarono la felicità dei primi anni di matrimonio.
Luisa pensò di essere stata ‘maledetta’ da Dio per non aver rispettato il voto di entrare in monastero. Sopraffatta dagli scrupoli, arrivò a dubitare dell’esistenza di Dio. È il tempo della “notte oscura”.
In quegli anni incontrò S. Francesco di Sales, che fu sua guida spirituale.
L’oscurità della sua anima fu improvvisamente diradata dall’“illuminazione interiore” della Messa di Pentecoste del 1623, come la premonizione della sua vita futura: si vide con delle suore che entravano ed uscivano in un luogo di assistenza ai poveri. Aspetto inconsueto, quest’ultimo, giacché all’epoca le suore erano costrette alla clausura.
Racconta Luisa di quella visione:
Tutto a un tratto la mia mente fu nella luce. Fui interiormente avvertita che dovevo rimanere con mio marito e che sarebbe venuto un tempo in cui sarei stata nella condizione di fare i tre voti di povertà, castità e obbedienza. Compresi che dovevo essere in un luogo per soccorrere il prossimo
S. Luisa, Scritti Spirituali
Così, alla morte del marito, nel 1625, rinnovati i voti di vedovanza, all’età di 34 anni, lasciò la sua casa e si stabilì in un alloggio più modesto nei pressi dell’abitazione del “signor Vincenzo”, com’era confidenzialmente chiamato il “Santo delle Missioni”.
L’incontro con Vincenzo de’ Paoli (1624)
Nel 1624, Mons. Camus, suo direttore spirituale, eletto vescovo di Belley, affidò Luisa a Vincenzo de’ Paoli, fondatore della “Confraternita delle Dame della Carità”, ben conosciuto per l’impegno nelle missioni: carità ‘corporale e spirituale’. Vincenzo la guida con fermezza e dolcezza spronandola ad abbandonarsi alla Provvidenza di Dio e ottiene da Luisa obbedienza e docilità.
Nel 1629, durante un ritiro spirituale, Luisa sentì potente l’ispirazione a dedicare la sua vita ai poveri.
Mise al corrente Vincenzo, che ne fu entusiasta. La incaricò di visitare tutte le Confraternite della Carità nelle campagne di Parigi per incoraggiare le associate e coordinare le attività.
Luisa aveva 38 anni: quell’esperienza la vivificò, la trasformò completamente, dissipando per sempre le ombre del passato.
Era quella la sua strada, la sua vocazione!
Instancabile e determinata, seppe sfidare i pregiudizi del tempo, che mal tollerava il coinvolgimento del ‘genio femminile’ in ruoli tradizionalmente maschili.
La nascita delle “Figlie della Carità” (1633) e le prime professioni religiose
Dal 1633 – d’accordo con Vincenzo – Luisa accolse nella sua casa alcune giovani contadine perché fossero formate nell’assistenza ai poveri, ai malati, ai trovatelli, ai carcerati, ai vecchi, agli orfani e nell’istruzione dei bambini: nacque la Compagnia delle Figlie della Carità. Queste religiose non furono mai ‘claustrali’. Ecco quella profetica visione della Pentecoste del 1623.
Il 25 marzo 1634, Luisa, con altre quattro Figlie della Carità, pronuncerà i voti di castità, povertà e obbedienza e quello di offrirsi al servizio di Cristo presente nella persona dei poveri.
Preghiera e azione
Per Luisa sarà un crescendo di attività. Ma non solo azione: spiritualità nell’azione.
Al suo fianco, Luisa sentirà sempre la Mamma celeste: “nostra unica e vera Madre”, soleva ripetere. La Madonna Immacolata, trecento anni prima della definizione del dogma, ebbe un posto speciale nella Comunità vincenziana.
Era il giorno dell’Immacolata del 1617 quando, con atto pubblico, era stata costituita la prima Confraternita della Carità. E nel 1830 la Madonna Immacolata apparirà in visione alla santa Figlia della Carità Caterina Labourè.
Nel 1644, in pellegrinaggio a Chartres, Luisa consacrerà alla Madonna se stessa e la Compagnia delle Figlie della Carità.
La preghiera sarà il sostegno di Luisa nei lunghi anni di apostolato presso gli ultimi, sospinta da una forza di volontà che attingeva la sua carica dall’insegnamento del Vangelo, persuasa che solo un aiuto dall’alto potesse darle non solo l’energia fisica necessaria, ma soprattutto i frutti di tanto impegno. L’incoraggiamento e la totale approvazione di Vincenzo de’ Paoli completeranno questa inarrestabile ascesa al cielo.
Una rivoluzione per la Chiesa
S. Vincenzo non volle la clausura, cosa inimmaginabile per quei tempi! Le Figlie della Carità dovevano vivere semplicemente. Queste le sue parole:
Considereranno che non sono monache,
perché tale stato non si addirebbe alle occupazioni proprie della loro vocazione,
non avendo per monastero se non le case dei malati e quella dove risiede la superiora,
per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa parrocchiale,
per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza,
per grata il timor di Dio, per velo la santa modestia.
S. Vincenzo de’ Paoli
Vincenzo e Luisa a tutti chiedevano quello che potevano dare: ai re e alle regine, ai borghesi e alle dame dell’alta società francese, ai nobili ricchi e ai ricchi non nobili.
E alle figlie chiedevano di essere “serve dei poveri”, come se essi fossero i veri padroni. Ma tutto questo Luisa lo chiedeva dicendo o scrivendo “In nome di Dio, sorelle… siate molto affabili e dolci con i vostri poveri. Sappiate che sono i nostri padroni…”. E questi poveri erano i derelitti, gli abbandonati, i senza dimora, i malati, i pazzi, i galeotti, bambini trovatelli, feriti di guerra e altre categorie affini a forte disagio sociale.
Dio ama i poveri e per conseguenza ama coloro che amano i poveri.
S. Vincenzo de’ Paoli
Luisa e Vincenzo sono stati capaci di mostrare il volto misericordioso del Padre ai poveri e a tanti potenti a cui chiedevano aiuto. Hanno rappresentato con la loro opera sociale un faro nel Seicento francese, influenzando la società presente e futura al pari di tante altre personalità di spicco della Francia di quel tempo: Pascal, Cartesio, Moliere, S. Giovanni Eudes…
Luisa si spense il 15 marzo 1660, circondata dalle sue consorelle, a cui raccomandò per l’ultima volta l’impegno nel servizio ai poveri.
Dal 2016 la sua festa si celebra il 9 maggio, giorno della sua beatificazione, cadendo sempre il 15 marzo – dies natalis di S. Luisa – in Quaresima.
Il suo testamento spirituale è concentrato nella frase: “Non abbiate occhi e cuore che per i poveri”.
Vincenzo la seguirà sei mesi dopo.
Le sue sofferenze furono il tramite attraverso cui i misteriosi intrecci della Provvidenza segnarono la sua strada. Ella seppe trasformare la sua sofferenza in una rinascita nella vita di fede e di carità, docile strumento di amore nelle mani di Dio.
Alla morte di Luisa vi erano oltre 30 comunità tra Francia e Polonia. Attualmente le “Figlie della Carità” rappresentano la più numerosa società femminile della Chiesa con 18mila sorelle e 2.275 case, presenti in 91 Paesi di tutti e cinque i continenti.
Il ramo maschile fondato da S. Vincenzo è invece detto “Compagnia della Missione”: i religiosi vincenziani, correntemente chiamati “lazzaristi”, sono circa 3mila, tra cui 2700 sacerdoti, distribuiti in 476 case presenti nei 5 continenti.
L’opera di S. Luisa a Matera
La presenza delle Figlie della Carità a Matera è documentata dal 1913 – dal 1937 hanno operato nella Casa di Riposo nell’ex-convento di Sant’Agostino e, poi, nella nuova sede della Residenza “Mons. Brancaccio” – ma non ha trovato continuità nel tempo.
Tuttavia, la spiritualità vincenziana ha potuto contare sulla presenza ininterrotta, da oltre un secolo, delle Dame della Carità, oggi semplicemente dette Volontarie Vincenziane, organizzate in cinque gruppi che operano a favore dei poveri in altrettante parrocchie della città.
I Gruppi di Volontariato Vincenziano a Matera contano oggi oltre 40 socie e un buon numero di collaboratori esterni: piccoli numeri, forse, ma un unico grande cuore, sull’esempio luminoso di S. Vincenzo e S. Luisa.
Molte vocazioni vincenziane sono germogliate nella nostra città. Una ventina di Figlie della Carità e due sacerdoti lazzaristi, tra tutti sr. Lucia Iacovone con il fratello P. Vincenzo, sr. Rosalia Olivieri la cui cognata Filomena Lamacchia ha assunto incarichi di responsabilità tra le volontarie vincenziane, sr. Antonietta D’Ercole, vivente a Napoli, con il fratello P. Giovanni, deceduto di Covid-19 nel mese di marzo 2021.
Inoltre, a Matera, nel 1993 è stato istituito il Centro Socio-Educativo per minori intitolato a “S. Luisa de Marillac”, che aveva avuto particolarmente a cuore la sorte e l’istruzione dei trovatelli.
Tuttora, le Volontarie Vincenziane offrono presso il Centro un servizio di sostegno scolastico, accogliendo minori inviati dai Servizi sociali del Comune.
S. Luisa rivive oggi ogni qualvolta ci chiniamo con tenera sollecitudine sul nostro prossimo, dispensando parole di consolazione e gesti concreti, consapevoli che “il povero, ancor prima che un bisognoso da soccorrere, è una persona in cui incontrare Gesù Cristo”.
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