Qualche anno fa Mauro Mazza, importante giornalista RAI, pubblicò un romanzo che fu presentato anche a Matera, città dove già si respirava aria di Capitale europea della cultura. È un libro che non può non destare l’interesse del lettore, soprattutto se letto tenendo presente un importante antefatto. Il 12 febbraio 2016 papa Francesco incontrava a Cuba il patriarca Kirill di Mosca, sedicesimo patriarca di “tutte le Russie”. In quella occasione si parlò di pace e del contributo alla pace che poteva venire dal dialogo ecumenico tra le Chiese. Tutto ciò appare oggi certamente paradossale di fronte alla realtà della guerra ucraina e alla decisa posizione che il patriarcato di Mosca ha assunto al riguardo.
L’incontro tra Kirill e Francesco si tenne, come si è detto, nel febbraio del 2016 e appena un mese dopo, a marzo, Mauro Mazza usciva con la sua pubblicazione – non un semplice articolo giornalistico ma un libro voluminoso – in cui si parlava dell’incontro cubano. Tra l’altro se ne parlava come di un evento del passato, trascorso da molto tempo; ma questo è un espediente che attiene al carattere romanzato del racconto.
È abbastanza sorprendente che si pubblichi un libro nel momento stesso in cui certi fatti accadono. È una cosa che comunque chi fa il lavoro del giornalista, come Mazza, è abituato evidentemente a fare. Se non vogliamo credere di essere, in questo caso, di fronte a qualcosa che può apparire quasi una profezia.
Perché nel libro, che si intitola “Il destino del papa russo” (Fazi Editore), si arriva a immaginare che a un certo punto viene eletto papa un ecclesiastico che non fa parte del collegio cardinalizio, da cui normalmente provengono i papi, e che nemmeno appartiene a un paese di tradizione cattolica. Ma la cosa veramente clamorosa non è questa. Quanto che questo “papa russo” proviene dalla città di San Pietroburgo ed è un amico d’infanzia di Vladimir Putin.
A proposito dell’incontro di Cuba, Mazza scrive in maniera romanzata che «Bergoglio volle così fortemente incontrare per la prima volta Kirill da lasciar decidere a lui luogo, data e modalità». Ma poi, spingendosi con l’immaginazione nella fiction, l’autore fa dire a un personaggio di fantasia, un politologo americano, tale Edward Wuttack, che Vladimir Putin «ha favorito questo incontro tra i capi delle Chiese cristiane perché vuole essere lui a guidare da Mosca, passando per Roma, una riscossa molto più politica che religiosa». Nel libro si immagina che nel mondo cattolico, insieme alla disponibilità al dialogo ecumenico, serpeggi il sospetto che il Cremlino voglia spingere i cattolici a guardare al mondo russo come a un valido esempio di sostegno alla tradizione cristiana e alla difesa di quei “princìpi irrinunciabili” che si avvertono essere sotto attacco in Occidente.
«Putin sogna una specie di “EuRussia”» dice Wuttack nel libro, «che segnerebbe la fine dell’Occidente costruito sull’alleanza culturale, politica, militare ed economica tra Europa e Stati Uniti. Si tratta di un disegno che le forze più responsabili, della politica e della cultura, avranno il dovere di impedire e di stroncare sul nascere».
Non stiamo qui a raccontare come va a finire il romanzo “Il destino del papa russo”, non sarebbe corretto – come si dice oggi – fare spoileraggio. Chi ha questo tipo di curiosità potrebbe benissimo andare a leggere il libro di Mazza. Ma non si rivela niente di strano se si dice che c’è da credere che la volontà del papa russo sarà quella di portare a compimento ciò che papa Francesco ha iniziato nel dialogo con Kirill.
A noi preme comunque altro e cioè notare che tra le righe di questo romanzo si può scorgere qualcosa che, senza dubbio, fa parte della verità storica. Chi era questo papa russo di cui si parla nel romanzo? Era sì un sacerdote cattolico di origine pietroburghese, amico di infanzia di Vladimir Putin, ma anche – scrive Mazza – un sacerdote che era stato incoraggiato nella sua vocazione sacerdotale e nella sua fedeltà alla Chiesa di Roma, dal metropolita ortodosso di Leningrado – così si chiamava San Pietroburgo negli anni del comunismo sovietico.
Il metropolita in questione è un personaggio storico, realmente esistito quindi; si tratta infatti dell’arcivescovo Nikodim, metropolita di Leningrado negli anni della giovinezza di Putin. Di questo arcivescovo ortodosso qualcuno ne ha riparlato recentemente, in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo I, perché Nikodim morì tra le braccia di questo papa il 5 settembre 1978 e precedendolo di poco nella morte.
Del metropolita Nikodim si è detto che fosse legato al KGB, il temibile servizio segreto sovietico. Tutte le cose che attengono ai servizi segreti, ovviamente, difficilmente possono essere provate. Se il metropolita pietroburgese avesse qualche legame di questo tipo, potrebbe significare però che conoscesse realmente il giovane agente dei servizi Vladimir Putin e questo fatto, se storicamente fondato, farebbe del romanzo di Mauro Mazza qualcosa di ancora più intrigante.
In un eventuale legame del genere però di scandaloso, tutto sommato, ci potrebbe essere ben poco. È evidente che il Cremlino, negli anni del comunismo sovietico, poteva avere soltanto rapporti coperti da segreto di stato con un vescovo ortodosso, nei suoi audaci tentativi di avvicinamento al Vaticano e al cristianesimo occidentale. Di questo interessante particolare qualcuno avrebbe potuto chiedere conferma allo stesso Vladimir Putin se non fosse diventato nel frattempo così inavvicinabile.
Il metropolita Nikodim era persona amabile e, almeno in Italia, seppe farsi amare. Particolarmente nella diocesi di Bari, dove era arcivescovo Enrico Nicodemo. I rapporti tra questi due arcivescovi, legati dal culto di san Nicola di Bari, furono oggetto di particolare attenzione nei giornali dell’epoca, come se in questo si volesse vedere un segno profetico sulla strada dell’ecumenismo, trattandosi di due arcivescovi di confessioni diverse ma che portavano il medesimo nome. Anche un’altra nota storica potrebbe essere altrettanto suggestiva: l’arcivescovo barese Enrico Nicodemo era vice presidente della Conferenza episcopale italiana ai tempi della presidenza del cardinale Poma, quando altro vice presidente era Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I, nelle braccia del quale – come si è visto – il povero Nikodim sarebbe spirato.
Ad accompagnare il metropolita Nikodim in Vaticano quel 5 settembre 1978 c’era il suo primo segretario. Il suo nome era Kirill; proprio lui poi succederà allo stesso Nikodim, come “ministro degli esteri” del patriarcato di Mosca, prima di diventare il sedicesimo patriarca di “tutte le Russie”. Kirill ha sempre voluto custodire fedelmente l’eredità spirituale di Nikodim, eredità che non avrebbe potuto non comprendere l’abbraccio romano nel quale Nikodim, morendo, si era consegnato.
I fatti dell’Ucraina, dolorosamente, hanno purtroppo disperso questa bella eredità. Nella quale non c’era soltanto un abbraccio ecumenico, ma anche la volontà – probabilmente reciproca – che questo abbraccio cristiano comprendesse la Russia intera. Un abbraccio incompiuto. Vladimir Putin e il patriarcato di Mosca probabilmente non hanno quello sguardo rivolto a Roma e al valore della testimonianza dell’apostolo Pietro che ha avuto Nikodim. E non hanno colto la risposta di Cristo a Pietro quando la sua esuberanza lo aveva portato a impugnare un’arma: “Rimetti la tua spada nel fodero”.
Il rimpianto può fare ben poco – è vero – per restituire all’Europa la perduta armonia. Ma questo poco, insieme al caro ricordo del metropolita Nikodim, lo offriamo agli uomini che oggi, sperando contro ogni speranza, cercano ostinatamente la via della pace.
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