Stiamo iniziando un processo spirituale, quello della sinodalità, e lo cominciamo con speranza, decisione e fame di conversione per imparare e vivere, veramente e umilmente, sapendo che gli atteggiamenti migliori nella Chiesa non sono quelli che escludono e separano, ma piuttosto quelli che, servendo gli altri, portano al perdono, alla riconciliazione e all’incontro.
Siamo viaggiatori feriti pieni di speranza, fiducia e amore nel Dio che non ci abbandona e che adatta il suo passo al nostro, al ritmo dell’accoglienza, del perdono e della grazia.
Siamo davanti a te, Dio nostro, come una Chiesa ferita, profondamente ferita. Abbiamo fatto molto male a molte persone e lo abbiamo fatto a noi stessi. Per secoli ci siamo affidati più al nostro ego che alla tua Parola. Abbiamo dimenticato da tempo che, ogni volta che non ti lasciamo camminare accanto a noi, non siamo in grado di mantenerci sulla giusta rotta.
Non dobbiamo avere paura di riconoscere gli errori che abbiamo commesso. Pietro, sul quale hai detto che avresti costruito la Chiesa, non ha iniziato bene la sua missione. Ti ha rinnegato tre volte; poi è andato alla tomba, l’ha vista vuota, è tornato con gli altri ma non ha annunciato la tua risurrezione. Questo, che era il frutto della paura che provava in quel momento, si è trasformato in decisione, forza e fede per compiere il mandato che gli avevi dato quando ha ricevuto la forza dello Spirito Santo.
È buono e salutare correggere gli errori, chiedere perdono per i crimini commessi e imparare ad essere umili. Sicuramente vivremo momenti di dolore, ma il dolore fa parte dell’amore. E la Chiesa ci fa soffrire perché la amiamo.
In molte occasioni, la fedeltà richiede un cambiamento. La fedeltà al mandato missionario ricevuto da Gesù stesso, la fedeltà alla nostra Chiesa, richiede di vivere il cambiamento, e questo cambiamento può supporre una rivoluzione. A questo proposito, dovremmo ricordare le parole del teologo ortodosso Olivier Clément, quando disse: «Nel corso della storia, le rivoluzioni che sono state più creative sono quelle nate dalla trasformazione del cuore».
Questo Sinodo ci chiama a questa trasformazione del cuore. Tutto il popolo di Dio è convocato, per la prima volta, a partecipare a un Sinodo dei vescovi. Tutti coloro che non abbiamo saputo ascoltare, che ci hanno lasciato senza che ce ne importasse, anche loro sono invitati a far sentire la loro voce, a mandarci le loro riflessioni, le loro preoccupazioni e il loro dolore. Insegnaci ad essere cristiani migliori! Insegnaci a recuperare l’essenza della comunità cristiana, che è comunione, non esclusione!
Vivere fino in fondo l’esperienza del Cristo risorto, che è ciò che il testo dell’Apocalisse ci invita a fare, ci porterà a vedere la diversità della Chiesa, la diversità nella Chiesa, come la grande ricchezza che essa è. Doni, carismi, ministeri, modi di parlare e riti al servizio di tutti affinché la nostra Chiesa si identifichi col modo di essere di Gesù di Nazareth.
Quello stesso Gesù che non ci ha lasciato norme o strutture su come essere Chiesa, ci ha lasciato uno stile di vita con cui costruire quella Chiesa chiamata a essere un rifugio sicuro per tutti; a essere un luogo di incontro e di dialogo interculturale, uno spazio di creatività teologica e pastorale con cui affrontare le sfide che abbiamo davanti; in breve, a essere la Chiesa-Casa che tutti desideriamo.
Credere in colui che è il primo e l’ultimo! In colui che è morto e, soprattutto, in colui che è risorto, perché a volte dimentichiamo che crediamo in qualcuno che è vivo! Lui è vivo e cammina al nostro fianco perché possiamo imparare da lui e, con lui, essere servitori gli uni degli altri, perché servizio e sinodalità vanno di pari passo. Servire per essere comunione nel nostro essere; sinodalità per essere comunione nel camminare insieme. Comunione, in definitiva, per lavorare insieme in accordo con ciò che lo Spirito ci dice, ci mostra e ci suggerisce.
Di CHRISTINA INOGÉS-SANZ dal sito dell’Osservatore Romano del 9 ottobre 2021
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