Oggi è indispensabile educare le nuove generazioni a non contrapporre all’utopia la retropia, quel recente neologismo con cui il Sociologo Bauman contestualizza la nostra attuale attitudine a collocare nel tempo passato – e non più nel futuro o in un luogo leggendario – l’immaginazione di una società migliore.
Il nostro stare insieme: nelle aggregazioni laicali di riferimento, nelle comunità parrocchiali, nel cuore delle nostre città deve farsi elemento di vivacità oltre ogni stanchezza sociale, elemento di speranza oltre ogni ombra di pessimismo.
Lo specifico cammino di fede che viviamo, non ci rende avulsi dalle vicissitudini delle nostre città. Desideriamo, proprio in forza della nostra fede, essere protagonisti della nostra storia e contribuire alla costruzione del nostro futuro.
Vivere una profonda ed incontentabile affezione a Cristo, come ci ha ricordato il cardinale Bassetti, termine fisso ed ultimo a cui ordinare tutte le nostre attività e tutte le nostre vite così da ri-costruire la speranza nella nostra società.
E questa ricostruzione della speranza è riconosciuta, oggi, come una vera e propria urgenza sociale.
Se c’è un insegnamento costante ed insistente della Chiesa oggi, pontificio ed episcopale è quello che spinge i cristiani a prendere più viva coscienza del dovere che hanno di partecipare attivamente alla vita pubblica, di contribuire all’attuazione del bene comune, di adoperarsi alla luce della fede e con la forza dell’amore. (Pacem in terris)
Noi cristiani non possiamo stare a guardare, non possiamo rifugiarci dentro le angustie paratie di una fede intimistica e privata: Abbiamo il dovere di essere presenti in nome ed in forza della nostra fede, la dove gli uomini vivono la loro esperienza quotidiana di lavoro, fatica, di malattia, di isolamento, di solitudine, di angoscia o di disperazione.
C’è un bisogno di fede che è reclamato dalla storia, dalla stessa realtà, perché il mondo ha bisogno di Cristo e quindi dei Cristiani.
La tecnologia, la scienza, l’economia, la politica stanno ridisegnando i confini tradizionali del sapere e della convivenza, in un crogiolo di culture che postulano nuove sintesi. E’ diffuso un forte senso di incertezza.
Ma è proprio tale incertezza a rendere nuovo, in un certo senso, il tempo che viviamo e in gran parte inedite le sfide che esso presenta: sfide di carattere culturale, educativo, morale, spirituale…ambientale… di fronte alle quali nessuno di noi può restare indifferente, proprio perché i cristiani vivono il radicamento nel mondo come vocazione particolare.
Ma questa sfida non può essere raccolta in solitudine.
Solo coniugando i nostri rispettivi e complementari compiti, di pastori, di religiosi e di laici, di associazioni e di movimenti la Chiesa sarà in grado di «fare di Cristo il cuore del mondo».
Che vale meditare sulla fede se non si intraprende con vigoria quell’ampia tessitura di opere e che la fede stessa esige? Opere non solo individuali, ma opere collettive… (G. La Pira)
La vita cristiana, ormai lo sappiamo bene, non afferma la sua originalità solo nell’ambito della coscienza ma interviene per determinare, con il suo peso, anche le scelte culturali e sociali, le leggi e gli ordinamenti.
La fede è forza, è dinamismo, è profezia e noi di questa profezia vogliamo maturare la consapevolezza di doverne essere testimoni.
Laici, allora, come profeti coraggiosi dell’amore, come profeti coraggiosi di quella civiltà dell’amore tanto desiderata da San Giovanni Paolo II.
Nel mistero della comunione ecclesiale dobbiamo ricercare la coralità di una risposta armonica e differenziata alla chiamata e alla missione che il Signore affida a ogni membro della Chiesa. Evangeli gaudium n.272 (io sono una missione)
Il momento attuale richiede cristiani missionari, non abitudinari. Per questo ribadiamo spesso quanto ci ha ricordato Papa Francesco che vogliamo fare a meno di quei comportamenti sostanziati dal “si è fatto sempre così!”.
L’essere aggregati, in associazioni, movimenti, in consulte diocesane o regionali, non mortifica la spiritualità specifica anzi la presuppone, la incoraggia, la alimenta…non c’è il tentativo di omologazione o di stare dentro una piatta identità ma c’è il desiderio di armonizzare tutte le presenze perché crescendo insieme, guardandosi, incontrandosi ed edificandosi, possa crescere la santità della Chiesa e possa essere donata una speranza al mondo.
La molteplicità e la varietà delle aggregazioni esige complementarietà e convergenza nel «partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l’uomo e di rinnovamento per la società»
La fede, lo sappiamo bene, non ci rende avulsi dalla storia perchè la fede legge la storia come un cammino del cui sviluppo siamo responsabili con le nostre scelte e con le nostre azioni.
E’ per questo avvertiamo quella che Benedetto XVI definiva “doverosità” interiore che ci spinge all’impegno, al confronto, all’approfondimento, alla riflessione. Anche intorno a temi delicati o preoccupanti.
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D’altro canto, questo triste momento storico che ci è dato di vivere a motivo della dilagante pandemia, proprio come Francesco ci suggerisce, dovrebbe oramai averci insegnato che “nessuno si salva da solo”, che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
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