Primo maggio: festa per i lavoratori cristiani? San Giuseppe il “protettore e modello”

Primo maggio: giorno di festa per tutti i lavoratori e di sospirata vacanza per gli studenti. Ma perché la festa dei lavoratori cade proprio in questa data? E quale significato può avere per noi cristiani questa festa in cui si fa memoria di S. Giuseppe "patrono e modello dei lavoratori"?

L’1 maggio è la data che segna l’entrata in vigore nel 1867, a Chicago, della legge delle 8 ore di lavoro giornaliere e 48 settimanali.

In quella stessa data, in America a tutti nota per quella conquista, 19 anni dopo si tennero negli stessi USA delle manifestazioni ad oltranza per rivendicare tale diritto dove ancora si lavorava 12 o 16 ore al giorno. Proprio a Chicago una manifestazione finì nel sangue: una dinamite brillata contro le forze di polizia e la conseguente condanna a morte di cinque manifestanti. «Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!», disse uno di loro, August Spies.

E dall’1 maggio 1887, i lavoratori americani hanno iniziato a manifestare per i loro diritti e per i martiri di Haymarket Square di Chicago.

Illustrazione d’epoca raffigurante lo scoppio dell’ordigno a Haymarket Square,
il primo omicidio della storia a mezzo di dinamite

Il congresso internazionale socialista di Parigi nel 1889 estese le manifestazioni laburiste dappertutto. Così, in molti Stati di tutto il mondo, si continua ancora oggi in questa data a manifestare – o a festeggiare quando non ci sono diritti da rivendicare. Ma non in America, proprio dove la data del primo maggio trae origine, perché lì la giornata dei diritti dei lavoratori è stata poi fissata alla seconda domenica di settembre.

Vienna, 1 maggio 2013

S. Giuseppe, patrono dei lavoratori… e dei disoccupati

Nel 1955 – negli anni della rinascita post-bellica in cui il mondo del lavoro viveva un forte sviluppo senza però le adeguate forme di tutela in termini di salute, sicurezza e diritti – Papa Pio XII indicava Giuseppe di Nazareth, come “protettore e modello” di tutti i lavoratori: “un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia” (lo definisce Papa Francesco nella Patris Corde, n. 6). E la preghiera di colletta della celebrazione eucaristica della memoria liturgica di S. Giuseppe Lavoratore – fissata da Pio XII proprio al primo maggio, “festa dei lavoratori” – recita: “Per l’esempio di san Giuseppe siamo fedeli alle responsabilità che ci affidi”.

È questo il senso che dalla Patris Corde e dalla liturgia possiamo attribuire al lavoro: la laboriosità per il bene della propria comunità di appartenenza e la fedeltà alle responsabilità di cui si è affidatari.

È questo che oggi significa festeggiare il primo maggio.

Consapevoli, inoltre, della necessità che il proprio lavoro generi nuovo lavoro in una stagione in cui la collettività, soprattutto al sud, soffre per la disoccupazione. Nella consapevolezza della dignità e della gioia che prova chi mangia il pane frutto del proprio lavoro” (cf. Patris corde, n. 6).

E così da qualche anno qualcuno definisce il primo maggio la festa “dei lavoratori e… dei disoccupati”. Con la fiducia che S. Giuseppe possa accompagnare anche chi si impegna seriamente nel (ri)trovare una occcupazione.

Dignità del lavoro oltre che del lavoratore

Ma una festa dei lavoratori cristianamente intesa non può nemmeno prescindere – accanto alla considerazione dei problemi comunemente discussi della mancanza del lavoro e la dignità del lavoratore – dal considerare, di converso, la dignità del lavoro, frutto della condotta del lavoratore, magari opportunamente formato sulle modalità con cui offrire, con il proprio impegno, un servizio per essere strumento di progresso alla società tutta.

E l’intera società ha decisamente bisogno di tanti lavoratori che vivano quest’indole cristiana del lavoro. Eppure dalla “mentalità di questo secolo” (Rm 12,2) – che lavorativamente può essere concretizzarsi in forme di improduttività (alle volte anche legittimate), dall’assenteismo ingiustificato, dalle più o meno velate inimicizie che alle volte regnano nei contesti lavorativi – spesso non si sottrae nemmeno chi dichiara, magari in altri contesti, la propria appartenenza a Cristo.

Calzano ancora bene a questo proposito le parole di S. Paolo ai Romani: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1-2). Quale liturgia più meritoria per un laico che l’offerta, alle volte faticosa, del proprio impegno professionale? Diventa così altare la scrivania di un ufficio, la cattedra di una classe o il lettino di una sala operatoria!

Questo il senso del laicato attivo e maturo nel mondo d’oggi: una presenza testimoniale di servizio, che parla di Cristo con le opere, con uno spirito di servizio e di carità vissuto nei luoghi di lavoro, e “se fosse necessario anche con le parole”.

Ci è di esempio ancora S. Paolo, questa volta quando scriveva ai Tessalonicesi e, riferendosi a sé e ai suoi collaboratori, sottolineava: “non abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione” (2 Tes 3,9-11).

S. Giuseppe artigiano nell’arte

Alcune opere artistiche ispirate dalla figura di S. Giuseppe artigiano.

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Giuseppe Longo

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