Le cronache di questi giorni ci hanno consegnato un Natale che ci ha sorpreso e che, indubbiamente, ha finito per mettere in crisi le nostre convenzionali rappresentazioni della nascita del Signore. Perché non si possono tenere fuori dall’evento del santo Natale quelli che sono i fatti che le cronache riportano.
Ogni fatto che accade, senza alcuna esclusione, avviene infatti per ridestare in noi la memoria dell’amore del Signore che, appunto con il Natale, ci raggiunge. E questo è, in un certo senso, un paradosso. Perché si tratta di una memoria che rivela tutta la forza drammatica della nascita di Cristo. Che non è certamente venuto per alleviare appena il dolore del male, per anestetizzarlo. Ma che è venuto, più radicalmente, per vincere il male. Pertanto, in questo evento divino come è il Natale non può non esserci anche la considerazione del male che opprime gli uomini in ogni epoca. Non sarebbe giusto. Perché Cristo è venuto proprio per ristabilire la giustizia.
Negli ultimi giorni dell’anno 2024 ci giungevano, insieme a tante tristi notizie, anche quelle agghiaccianti che provenivano dalla martoriata Gaza: la morte per freddo di alcuni neonati. In questi pochi giorni si è avuta notizia di almeno sei di questi casi.
Eravamo, almeno qui in Occidente, tutti distratti dal clima euforico delle feste natalizie e forse non ci abbiamo fatto caso. Oppure, pur essendocene accorti, abbiamo ritenuto che questi fatti interessassero territori distanti da noi e popolazioni meno fortunate di noi. Abbiamo ritenuto dunque che questi fatti non ci toccassero. Era una distrazione consapevolmente colpevole la nostra, ma – come si dice in questi casi – “the show must go on”, la festa deve continuare. Ammesso che quello del santo Natale debba essere considerato uno show.
Un evento però ha messo in crisi anche questo nostro alibi. Perché tutto quello che stava avvenendo a Gaza, perché tutto quello che stava avvenendo in territorio ucraino e in tante di quelle regioni dove si combatte questa terribile guerra mondiale a pezzi, come l’ha definita papa Francesco, perché qualcosa di tutto questo, inaspettatamente, è accaduto anche qui da noi.
La notizia è giunta nel giorno dopo il Capodanno. Quando, intorno alle 9:30, è stato rinvenuto, come scrive l’agenzia ANSA, «un neonato senza più vita nella culla termica che si trova accanto alla chiesa dedicata a San Giovanni Battista, nel quartiere Poggiofranco del capoluogo pugliese».
Nella parrocchia barese, infatti, è attiva da anni una “culla termica” sul modello delle “ruote” dei monasteri dei tempi antichi, dove possono essere consegnati i neonati non desiderati o di cui i genitori ritengono non possano farsene carico.
«Nessun bambino è un errore» recita il manifesto che si trova davanti all’ingresso della culla termica della chiesa di Poggiofranco a Bari, «se sei in una situazione difficile e non riesci a prenderti cura del tuo bambino, lascialo nella culla termica. Nel più completo anonimato sarà accolto e assistito». Il servizio è assicurato dalla stessa parrocchia in collaborazione col reparto di neonatologia del vicino Policlinico.
Ma qualcosa questa volta purtroppo non ha funzionato. Il parroco non ha ricevuto nessun segnale di alert che normalmente giunge sul suo cellulare nel momento in cui si attiva automaticamente il sistema di riscaldamento dell’incubatrice. Si ipotizza che non fosse stata richiusa la porta della stanza della culla termica, cosa che fa scattare l’allarme, o che si possa essere verificato un guasto durante un blackout che ha interessato il quartiere qualche giorno prima.
Si fanno queste e altre ipotesi. Ma tutto questo interessa gli inquirenti. Quello che invece interessa noi sono i fatti. Cioè, che ci sono dei bambini innocenti che muoiono così. E che tutto questo non possiamo considerarlo estraneo al fatto che Cristo è venuto tra noi.
Perché il Natale ha tutta questa drammaticità che non può essere da noi ignorata. Lo ha detto bene il vescovo di Bari, mons. Giuseppe Satriano, nella lettera che ha scritto nella tragica circostanza della culla termica di Poggiofranco: «Con amarezza profonda prendiamo coscienza che dietro la vetrina luccicante del Natale, esistono storie di solitudine, di fragilità e di disperazione, che non possiamo ignorare».
«Onoriamo il senso profondo del Natale» ha concluso mons. Satriano, «facendo in modo che eventi come questo non rimangano solo segni di dolore, ma anche di riflessione e cambiamento».
È vero, il senso profondo e più vero del santo Natale è proprio questo. Leggendo attentamente il Vangelo, ce ne potremo accorgere bene: quanto di questo dolore era presente in quella famiglia che aveva trovato riparo in una grotta di Betlemme, mentre “al freddo e al gelo”, come recita un canto popolare, nasceva il loro bambino, il nostro Bambino Gesù.
Sappiamo dal Vangelo che Erode cercava questo bambino per ucciderlo, come ucciderà tanti altri neonati in quelle sconvolgenti giornate che seguirono quella nascita. Non è una strage di neonati innocenti come quella di Betlemme che è avvenuta a Gaza? Non è questo ritrovarsi “al freddo e al gelo”, quello stesso che c’era a Betlemme, che ha spezzato la vita innocente del neonato a Poggiofranco?
Queste vite nel breve tempo della loro vita, questi piccoli corpi, sono stati però anche questi un dono. Dobbiamo dirlo. Sono stati un dono certamente per loro stessi. Sono stati un dono anche per ciascuno di noi. Tra i tanti doni ricevuti, infatti, anche questi sono stati un dono per noi. Un dono tanto amaro quanto prezioso; forse più importante di tutti. Il dono di quelle lacrime che hanno la forza di rimettere il cuore umano, con tutto il suo dolore, al centro di tutto.
Quanto dolore doveva esserci a Betlemme in quella drammatica notte di duemila anni fa. Lo sapeva bene Maria, la mamma di Gesù, alla quale dissero “una spada ti trafiggerà l’anima”. Lo sapeva bene Giuseppe che capì subito che doveva organizzare una fuga per mettere al sicuro la sua famiglia. E infatti Giuseppe, Maria e il Bambino dovettero partire verso l’Egitto. Dirigendosi proprio, come ritengono alcuni biblisti, verso quella terra prospiciente il territorio egiziano che oggi chiamiamo Striscia di Gaza. Come tutto si ripete nella storia! O forse, come diceva San Paolo, la storia tutta in Cristo viene misteriosamente ricapitolata.
Della situazione, carica di tensione, che c’era a Betlemme sapevano bene i Magi, giunti qui nel giorno dell’Epifania, giorno della manifestazione del Signore. Fu per questo motivo che vollero intraprendere il viaggio di ritorno senza passare da Erode che li aspettava col suo piano genocida. Fu per la prudenza dei Magi, fu per il realismo di Giuseppe che Gesù fu risparmiato in quella che sarà la Strage degli Innocenti.
Senza la sollecitudine di Giuseppe, senza la prudenza dei Magi, poteva finire diversamente. E, probabilmente, di Gesù non ne avremmo saputo niente. Sarebbe passato senza che ce ne accorgessimo. Come del resto capita anche a noi in tante di quelle nostre distratte giornate. Gesù sarebbe passato senza che si fosse saputo il suo nome. Come è successo a quel neonato di Poggiofranco che se n’è andato appunto senza nemmeno un nome.
Proprio questo è il senso di quell’Epifania che celebriamo, proprio su questo la liturgia ci spinge a riflettere. E, come abbiamo detto prima, gli stessi fatti che accadono. Il giorno 29 dicembre, presso la cattedrale di Tursi, si è tenuta la cerimonia che ha dato l’avvio all’inchiesta della beatificazione del Servo di Dio don Tommaso Latronico che non pochi lettori di questo giornale hanno conosciuto. A proposito dell’Epifania, don Tommaso scriveva: «La festa che oggi si compie, è più importante della stessa nascita di Cristo. A che sarebbe valso che Dio si fosse fatto uomo, che avesse patito, fosso morto per noi… se non fosse incontrabile dall’uomo (dalle genti)? Che sia incontrabile significa che diventi il contenuto della felicità presente».
Tutto questo poteva non accadere. E la nostra dimenticanza rischia infatti di farci vivere proprio così, come se questo non fosse accaduto. Invece nell’Epifania siamo condotti qui, a contemplare la manifestazione del Signore. Poteva non accadere. Ma è accaduto.
Dio ha voluto che accadesse. Il male è stato vinto e il Salvatore è qui davanti a noi. Tanto vicino da poterlo vedere, da poterlo prendere tra le nostre braccia, come uno dei tanti neonati. Come lo hanno preso, alla stessa maniera di come lo hanno preso in braccio i poveri pastori accorsi alla grotta di Betlemme e che ebbero il privilegio di vederlo per primi.
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