Avvertiamo, soprattutto in questo tempo cosi duramente provato a motivo di questa dilagante pandemia, una urgenza di fraternità, una urgenza di incontro vicendevole, un incontro del cuore di vita ma anche fisico.
C’è urgenza di cura, di cura reciproca:
Ormai, credo di poter dire che lo abbiamo compreso tutti: Nessuno si salva da solo! E non potersi salvare da soli implica che tutti abbiamo bisogno della cura di qualcuno o di qualcosa.
E’ centrale, in questo nostro tempo, il tema della cura.
La cura per l’ambiente( che ritroviamo al n.117 della Fratelli tutti), per il territorio. La cura per il bene comune, la cura per gli altri. La cura per noi stessi.
E’ davvero da approfondire questo interessantissimo tema della cura !
Si perchè, in fin dei conti, prendersi cura di qualcosa o di qualcuno o sentirsi presi in cura da qualcosa o da qualcuno da colore a questa nostra storia e ci permette di gustare fino in fondo il sapore più autentico della vita.
Un colore ed un sapore che rischiamo di non saper più apprezzare pur vivendo in una società iperconnessa.
E’ curioso che l’uomo contemporaneo pur sperimentando ogni giorno la molteplicità delle connessioni possibili viva , come mai prima d’ora, una forte dimensione individualista che spesso non gli consente di riconoscere il proprio prossimo e non gli permette di vivere a pieno quella dimensione dell’amicizia sociale (non social) che propria della fratelli tutti.
Al n.105 Papa Francesco lo chiarisce bene “l’individualismo è il virus più difficile da sconfiggere”. Quell’individualismo che non ci rende, più liberi, più uguali o più fratelli… Non è un caso che nell’omelia della Messa per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio proprio il primo giorno di questo 2021 il Santo Padre ci abbia ricordato: Oltre al vaccino per il corpo, “serve il vaccino per il cuore: e questo vaccino è la cura“. Perché “è importante educare il cuore alla cura”, “degli altri, del mondo, del creato”. “Non siamo al mondo per morire, ma per generare vita“, “non serve conoscere tante persone e tante cose se non ce ne prendiamo cura”. Allora in questi giorni si parla tanto, e giustamente di apertura o di riapertura, ecco noi abbiamo bisogno di incamminarci insieme verso la più importante delle riaperture quella nei confronti dei nostri fratelli.
Quell’apertura che si trasforma in incontro in accoglienza del fratello della sua vita del suo cuore, una progressiva apertura (per dirla con Francesco) che significa Pentecoste.
E’ lo Spirito, insomma, che ci offre la possibilità di comprendere quanto leggiamo nel n.106 dell’enciclica e cioè quanto vale l’uomo, quanto vale l’essere umano, quanto vale una persona sempre ed in qualunque circostanza.
E’ evidente – in questo nostro tempo – un deficit di fede, di moralità, una eclissi della dimensione comunitaria e quindi dei sentimenti di fraternità.
Sembra avanzare inesorabilmente la cultura dell’esclusione, dello scarto, dell’individualismo.
Questa nostra storia sembrerebbe volersi svuotare di relazioni, di legami, di responsabilità reciproche, divenendo così friabile e inconsistente.
Tutti noi, a motivo del frenetico quotidiano che viviamo, rischiamo di rimanere travolti da questo comportamento individualista che sembra imperante.
E’ importante sottolineare che non esiste solo un individualismo personale, esiste – purtroppo – anche un individualismo comunitario.
Ma in questa logica, che vorrebbe la fraternità come un fatto ideale non come una concreta esperienza, ci auguriamo emerga la testimonianza cristiana di una fede vissuta in pienezza ed autenticità.
La prima esperienza della persona è l’esperienza del “tu” e quindi del “noi”…mai dell’io. E’ il cosiddetto principio antropologico di base : so chi sono definendo e riconoscendo l’altro da me !
E’ vero, siamo nel tempo della globalizzazione, tempo che ridefinisce i limiti spazio-temporali ridisegnando gli scenari della vita quotidiana e privata degli individui ma è pur vero che, la persona esiste soltanto nella misura in cui esiste per gli altri, al punto che essere-esistere, cristianamente, sono sinonimi di amare. Il mondo ha bisogno di questa testimonianza cristiana secondo cui il verbo esistere-essere ed amare sono sinonimi.
E’ questo il tema della Cultura della Carità, che sta alla base della cultura dell’incontro: non può esservi cultura senza carità, nè carità senza cultura.
Ecco perché il Santo Padre ci invita a promuovere il bene morale (il n.112) che si sostanzia nel cercare, disinteressatamente, il bene dell’altro….quale frutto prezioso di una conversione personale che si concretizza nella vita promuovendo i valori, del rispetto, della libertà, della solidarietà
Una solidarietà, come leggiamo nel n.115 che si esprime concretamente nel servizio, in quel servizio all’uomo, che può assumere forme e modalità differenti a seconda dei contesti o delle ispirazioni ma che sempre cerca il volto del fratello, tocca la sua carne.
Nella logica della convivialità delle differenza dobbiamo cercare tutto ciò che ci unisce, i nostri legami di fraternità …perchè legami qualificano il nostro vivere insieme….. soprattutto oggi che nuove vulnerabilità si manifestano e chiedono di essere accompagnate con «il ritmo salutare della prossimità e della vicinanza umana» . Solo quando facciamo progredire il rapporto tra gli uomini arricchiamo di senso e significato oltre che la nostra vita il contesto sociale in cui viviamo. Questo è promuovere il bene morale! Riconoscere che esistiamo solo nella prospettiva delle nostre relazioni, dei valori che poniamo in essere nel quotidiano delle nostre vite.
Per dirla con Dostoiesky… Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere ma nel sapere per cosa si vive…
E’ tanto di moda oggi parlare non più di bene comune ma di beni comuni…ricapitolando le riflessioni prodotte intorno a questo tema con il concetto di civiltà e di modernità di una società…per intenderci sempre più spesso si misura il valore di una società (o di un contesto sociale) dal modo in cui in questa ci si prende cura dei beni comuni…
ma se è vero che la modernità e la civiltà di una società, in ossequio a quella rivoluzione comunitaria di cui tanto spesso si parla nei contesti socio-politici- oggi si misura dal modo con cui all’interno di questa società ci si prende cura di qualcosa (beni comuni) è più vero che ma ci si deve dimenticare di doversi sempre prendere cura di qualcuno…il bene comune che poi è il bene morale.
Voi tutti sapete che il bene comune non è la mera somma dei beni di ciascuno…il bene comune non è mai una somma…al più è un moltiplicatore (operazione matematica in cui per non avere risultato zero…nessuno dei fattori del prodotti deve essere pari a zero) questa immagine della moltiplicazione ci restituisce l’idea, nella logica del bene comune, che una società ha valore quanto tutti i suoi membri hanno valore ( non sono zero per intenderci) perchè nel caso in cui qualcuno non abbia valore ovvero abbia valore pari a zero (perchè escluso, reitto, emarginato) perde valore la società intera (la moltiplicazione darebbe zero come risultato, anche se qualcuno valesse milioni, altri centinaia e pochi unità).
Ora proprio come nella logica del bene comune francesco ci ricorda in questo capitolo dell’enciclica che non genererebbe un mondo migliore per l’umanità neppure la mera somma degli interessi individuali.
Un mondo migliore, aperto, è possibile nella logica della moltiplicazione del bene morale che ci consente di intravedere quali siano le reali priorità della vita e di lottare contro la disuguaglianza, la povertà, la mancanza di lavoro.
Un fondamento, quello del bene morale, Solido… parola la cui radice etimologica è la stessa del termine solidarietà.
Del resto, tutto nella nostra vita nasce grazie ad un incontro: l’incontro personale che abbiamo fatto col Signore. Dalla radice di questo incontro è generato il nostro desiderio ed il nostro bisogno di incontrare.
Incontriamo (andiamo incontro) perché incontrati (Dio stesso è venuto incontro a noi).
Occorre, allora, fare la propria parte per ridonare agli altri ciò che abbiamo ricevuto, in termini di vita, salute, cultura, di patrimonio umano, di fede.
Ma, se il principio del meritarsi il posto tra gli altri è vissuto con spirito egoistico oppure con la rigidità di chi riconosce solo i propri criteri di giudizio, inizia l’emarginazione..
Quando riteniamo che il posto nella società ci sia dovuto e non ci pensiamo come esseri relazionali inizia, lo scarto, l’individualismo.
Per questo la cultura dell’incontro confligge con la cultura della rivendicazione di spazi sociali o culturali.
I cristiani non rivendicano spazi sociali o culturali, al più fanno spazio – nella società – a quel Dio di cui hanno fatto esperienza concreta.
La fraternità, fondata sull’esperienza personale, va comunque sempre alimentata, approfondita e purificata, non va mai ritenuta scontata.
Chiunque vive l’incontro con l’altro, in famiglia, sul lavoro, in casuali incontri, si accorge che tra persone si instaura un’alleanza immediata e quasi istintiva.
Noi cristiani sappiamo che questa istintiva alleanza che si instaura tra gli uomini ha una radice divina.
Risiede nel cuore di ogni uomo quell’anelito di fraternità che fa sentire ognuno di noi patrimonio dell’altro.
Papa Francesco, ha osservato, che le persone spesso si “incrociano fra loro, ma non si incontrano, si vedono ma non si guardano”.
Che il Signore ci conceda di fermarci, di guardare e non solo di vedere, di incontrare e non solo di incrociare.
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