Pasqua nel terzo Millennio: fra tradizione, liturgia e fede

Pasqua è passaggio dalla morte alla vita, dall’egoismo alla fraternità, dalla guerra alla pace, perché Cristo è vivo ed è  risorto, “si,  è veramente risorto”, secondo il rito orientale.

Tela del Cristo risorto posizionato nella Chiesa Madre di Santa Maria della Croce in Ferrandina

Dalla fusione di due antichissime feste, nasce la Pasqua ebraica che celebra il passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla terra promessa. La prima, tipica dei pastori nomadi,  era detta “dell’agnello immolato” l’altra degli agricoltori era chiamata “festa degli azzimi”. Infatti quando i pastori in corrispondenza del plenilunio di primavera partivano per i pascoli estivi, usavano immolare un agnello il cui sangue era usato per cospargere le persone, i pali delle tende e  il gregge al fine di  tenere lontani gli spiriti del male. Anche la festa “degli azzimi” era celebrata nello stesso periodo in corrispondenza del raccolto dell’orzo che in Palestina avveniva nello stesso periodo marzo/aprile. Si buttava quindi il lievito vecchio e in attesa del nuovo si mangiava pane azzimo.

Il significato era lo stesso: il passaggio dal vecchio al nuovo, non a caso Pasqua in ebraico vuol dire “passare velocemente e senza far male”.  Da questi antichi riti trae origine la Pasqua cristiana, la prima domenica successiva al plenilunio di primavera la Chiesa celebra la festa più importante dell’anno liturgico nel ricordo del passaggio  dalla morte alla vita, dalle asprezze del Calvario alle dolcezze del Paradiso.

Nel primo millennio della storia cristiana, infatti, alcune forme di culto quali l’Angelus, il Rosario, le processioni con le immagini sacre non esistevano, perché ritenuta fondamentale la sola partecipazione alla liturgia eucaristica.  Successivamente, per rispondere ad una esigenza di maggiore partecipazione dei fedeli laici – che non capivano la lingua latina – si svilupparono le molte devozioni oggi tanto amate e venerate che spesso oscurano il cuore stesso della fede cristiana: la centralità del Cristo morto e risorto.

In particolare dopo il Concilio di Trento, si svilupparono molte confraternite devote ai “Misteri della Passione”  che  diedero vita alle  tante  processioni  che si snodano per le strade del nostro bellissimo Sud, vere e proprie rappresentazioni sacre della Via Crucis, la cui contemplazione alimentava la fede semplice dei nostri avi.

Devozioni dunque ma è il caso di proporle ancora nel nostro mondo votato allo spettacolo e inondato dall’intelligenza artificiale o forse è meglio archiviarle quale retaggio di una società che non esiste più? Domande cui è difficile rispondere in quanto le sensibilità, i sentimenti, le sensazioni sono personali e per fortuna non possono essere sostituiti da nessuna intelligenza naturale o artificiale che sia. Le tradizioni vanno sostenute purché non si riducano soltanto a forme esteriori lontane dal credo cristiano che pone al vertice della fede il Triduo pasquale.

Pasqua dunque quale passaggio dalla morte alla vita, dall’egoismo alla fraternità, dalla guerra alla pace, perché Cristo è vivo ed è  risorto, “si,  è veramente risorto” (si canta nella liturgia Orientale) non solo per gli uomini del suo tempo ma anche per  noi uomini del terzo millennio che Lo allontaniamo sempre più e Lo confiniamo  in cieli irraggiungibili. Sarà sempre così o Signore?

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Mario Di Biase

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