Pasolini e il Vangelo secondo Matteo nei ricordi del cardinale Capovilla

Il ruolo del cinema ai tempi del dialogo “impossibile” tra laici e cattolici. Una testimonianza del card. Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni XXIII, sulla funzione che svolse in tal senso il film "Il Vangelo secondo Matteo".

Pier Paolo Pasolini girò il Il Vangelo secondo Matteo negli anni del Concilio Vaticano II. A questo evento ecclesiale si può dire che il film sia stato indissolubilmente legato, benché il regista fosse ritenuto, soprattutto in quel tempo, quanto di più distante potesse esserci rispetto alla Chiesa cattolica.

Il 4 ottobre del 1962, papa Giovanni XXIII si recava in pellegrinaggio ad Assisi, per pregare per la buona riuscita del Concilio Vaticano II che si sarebbe aperto di lì a qualche giorno. Era un viaggio destinato a fare epoca; non soltanto per la circostanza, certamente eccezionale, del Concilio, ma anche perché era la prima volta che un Papa varcava i confini romani dall’evento traumatico della fine del potere temporale, consumatosi ormai nel secolo precedente.

Si può immaginare il clima di entusiasmo popolare che accompagnò l’arrivo del Papa buono nella cittadina francescana. Ma altrettanto clamoroso fu l’impatto mediatico – come si direbbe oggi – cui concorsero simultaneamente l’importanza che andava assumendo la televisione in quegli anni, il rilievo internazionale del Concilio ecumenico e la novità della rivoluzione introdotta da Giovanni XXIII nei rapporti tra la Chiesa e il mondo.

Per una felice coincidenza, era presente ad Assisi, in quegli stessi giorni, Pier Paolo Pasolini. Era stato invitato dalla Pro Civitate Christiana, in occasione dell’annuale dibattito sul cinema che quella volta era dedicato al contestatissimo film pasoliniano Accattone. Il regista, così, si ritrovò immerso in quel clima di calorosa partecipazione, tanto che a un certo punto esclamerà: «Qui viene fuori un film su Gesù Cristo».

Fu il segretario di Papa Giovanni, il cardinale Loris Capovilla, a ricostruire in una vecchia intervista quei momenti. Di quell’intervista l’Eco di Bergamo, in un articolo del 2014, riporta qualche passaggio in cui lo stesso Capovilla ricorda che «aveva accompagnato Papa Roncalli nell’ormai celebre viaggio pastorale a Loreto, che poi fece tappa anche ad Assisi. Lì don Giovanni Rossi, fondatore dell’associazione Pro Civitate Christiana, aveva organizzato un convegno con esponenti della cultura, intellettuali e registi italiani. Tra questi c’era anche Pier Paolo Pasolini. Don Giovanni Rossi – ricorda Capovilla – invitò Pier Paolo (“lo chiamava infatti così, affettuosamente, per nome”) a unirsi a loro che andavano a incontrare il Papa. Pasolini disse di no: “Non per dispetto – sottolinea Capovilla – ma così, normalmente”. La sera, tornati dall’incontro, don Giovani Rossi disse a Pasolini: “Spero non ti dispiaccia se quando abbiamo ricevuto la benedizione, abbiamo pensato anche a te”. “Grazie – rispose Pasolini – perché anch’io ho pensato a voi”».

Ci aveva pensato perché aveva ingannato il tempo del mancato incontro con il Papa assorto nella lettura del Vangelo di Matteo. Lettura da cui scaturì, come si sa, l’idea del film.

Don Francesco Angelicchio, fondatore e primo direttore del Centro cattolico cinematografico, messo al corrente delle intenzioni del regista, ne rimase a dir poco impressionato; “Dio ce la mandi buona”, pensò con preoccupazione. Raccontò poi: «Un anno prima delle riprese, Pasolini si recò in Terra Santa per vedere i luoghi della vita di Gesù, poi però decise di girare il film in Basilicata scegliendo interpreti sconosciuti come il giovane attore di Barcellona Enrique Irazoqui, scelto perché evidenziava l’umanità di Cristo, il suo essere uomo tra gli uomini».

Sebbene l’idea di realizzare il Vangelo di Matteo sia scaturita dalla presenza di Papa Giovanni ad Assisi, probabilmente Pasolini avvertiva già la necessità per la cultura laica, addirittura comunista, di confrontarsi con l’esperienza religiosa. Era questa, del resto, una percezione allora abbastanza diffusa; cui darà voce lo stesso Palmiro Togliatti nel noto discorso alla Conferenza di Bergamo del ’63 su “Il destino dell’uomo”, quando affermò che l’aspirazione a un mondo più giusto non può contrapporsi al senso religioso dell’uomo e che anzi «tale aspirazione può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo». Togliatti si riferiva con questo all’incubo della bomba atomica che c’era particolarmente in quegli anni, dopo i fatti di Cuba.

Fino al secolo precedente, il mondo cristiano e quello pagano erano rimasti nettamente distinti e anche geograficamente ben distanti. C’erano da un lato le nazioni cristiane e dall’altro le cosiddette “terre degli infedeli” che non avevano tra loro relazioni se non quelle allacciate da qualche intraprendente missionario che si spingeva verso tali regioni, inaccessibili e remote. “Hic sunt leones”, ammonivano le carte geografiche; ci pensavano leoni e bestie feroci a scoraggiare quanti avessero avuto l’intenzione di varcare questi invalicabili confini.

L’avvento della società della comunicazione, però, aveva improvvisamente annullato queste distanze, riportando le dimensioni dell’intero pianeta a quelle di un “villaggio globale”. Credenti e non credenti si ritrovarono così a convivere e, inevitabilmente, a confrontarsi. Certo, fu rilevante a questo proposito il magistero di Giovanni XXIII che non soltanto invitava a seguire la strada del dialogo, accantonando secolari contrapposizioni, ma addirittura intravedeva in questo confronto la missione stessa della Chiesa.

Non tutti la pensavano, ovviamente, come papa Giovanni. Nemmeno tra gli stessi cattolici. Ma nessuno poteva sottrarsi alla sfida. Certamente non intendeva sottrarsene Pier Paolo Pasolini, che per marcare questo suo desiderio di confronto, questa sintonia se non proprio identificazione con la persona di Cristo, assegnò nel film il ruolo della Madonna a sua madre Susanna. Segno di questa sintonia si può vedere anche nella dedica che il regista volle dare nel film: «Alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII».

Tutto questo non succedeva a caso; proprio il cinema aveva rappresentato il “campo neutro” in cui cattolici e laici avevano tentato di aprirsi al dialogo. Già Pio XII aveva presente l’importanza per la Chiesa di questo nuovo strumento di comunicazione. Lo scrive Mons. Dario Edoardo Viganò, Vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e Presidente della Fondazione MAC (Memorie Audiovisive del Cattolicesimo): «il 16 novembre del 1959 nasce la Filmoteca Vaticana con lo “scopo di raccogliere i film che interessino la Sede Apostolica”. Lo scopo, definito nello Statuto, è quello di “raccogliere e conservare film e registrazioni delle riprese televisive che hanno attinenza alla vita della Chiesa […]”. L’apertura di Pio XII e di Giovanni XXIII al cinema trova un momento di particolare importanza durante il Concilio con il film “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pier Paolo Pasolini».

Molti cattolici ritenevano che la cultura cattolica avrebbe dovuto imporre la propria influenza sul cinema. Tra questi, particolarmente il ministro Giulio Andreotti che sulla Rivista del Cinematografo (n. 6-7, 1956) scriveva: «Il tempo stringe, e chi arriverà per primo a costruire il cinematografo in parecchie centinaia di piccoli comuni, particolarmente nel sud, certamente avrà in mano un mezzo decisivo, specie per l’orientamento delle nuove generazioni».

Ma, in realtà, questo muro contro muro dei cattolici non ci fu. Anzi, nel suo libro Il Vaticano II e la comunicazione, Viganò riporta la testimonianza al mensile 30Giorni (dicembre 1994), rivista diretta dallo stesso Andreotti, resa dal cardinale Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni: «Il Vangelo secondo Matteo venne proiettato in prima mondiale al Festival di Venezia, città di cui era patriarca il cardinale Giovanni Urbani. Anche lui, naturalmente, andò alla prima al Lido. Mi raccontò più tardi, alla presenza anche di padre Riccardo Lombardi e di monsignor Galletto […] che la sera, seduto nel motoscafo che lo riportava a casa dopo la proiezione, era stizzito: “Pasolini non ha capito il Vangelo: Gesù non è così”. Ma poi il cardinale continuò: “Eppure, rientrando nella mia camera, ho ripreso in mano il Vangelo di Matteo e l’ho riletto di corsa. E mi sono accorto che Pasolini aveva, pur da laico, portato sullo schermo esattamente il Gesù di Matteo. Con grande fedeltà, parola per parola”. Io, lo confesso, [- prosegue Capovilla -] rimasi un po’ sbalordito dalla sua confidenza: il cardinale era una vera autorità nel campo degli studi biblici, una materia che aveva insegnato per lunghi anni in seminario. Possibile che avesse bisogno del film di Pasolini per accorgersi di cosa aveva scritto Matteo?»

Partì quindi l’iniziativa, imprevedibile e clamorosa, di una richiesta della segreteria del Concilio e dell’Ufficio Cattolico Internazionale del Cinema, perché si potesse proiettare il film di Pasolini ai padri conciliari. È ancora il card. Capovilla a raccontare: «Ricordo perfettamente come durante il Concilio venne dato pubblicamente l’annuncio che ci sarebbe stata una proiezione de “Il Vangelo secondo Matteo” riservata ai Padri. Fu una proiezione ufficiale, non certo fatta alla chetichella».

Qualche tradizionalista, polemicamente, parlò di “Pasolinata conciliare” e di padri conciliari che si erano concessi una pausa di lavoro per assistere a un “comizio comunista”. Ma non era questa la posizione della Chiesa. I vescovi partecipanti al Concilio infatti accorsero numerosi all’Ariston di Roma per assistere, come scrisse il quotidiano Le Monde, alla proiezione del film «del regista marxista Pier Paolo Pasolini».

Alla fine della visone del film i vescovi tributarono venti lunghi minuti di applausi al film di un regista “marxista” che farà scoprire nuovamente al mondo intero il volto umanissimo di Cristo. Perché questo Vangelo, come ha detto mons. Angelicchio, «evidenziava l’umanità di Cristo, il suo essere uomo tra gli uomini».

Possibile che la Chiesa, come ha osservato il card. Capovilla, «avesse bisogno del film di Pasolini per accorgersi di cosa aveva scritto Matteo?» Evidentemente sì. C’è stato bisogno di Pasolini per demolire l’idea triste di un Dio lontano e sordo al grido degli uomini.

C’è stato bisogno di Paolini per esprimere la consolante attesa di un Dio-uomo talmente uomo da rendere gli uomini, i singoli uomini, perfino simili a Dio.

Card. Loris Capovilla
Ricardo Ciccone, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/ff/Capovilla.cardinal2014.jpg

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Paolo Tritto

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