Parole e gesti storici, che devono lasciare il segno

Papa Francesco nel suo viaggio in Iraq lancia un’esortazione a tenere duro. «Gesù – ha detto il papa – cambiò la storia. Come? Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi; così Dio realizza le sue promesse».

Come si fa a non fermarsi, riflettere, pregare, distillare con gli occhi le immagini e le parole preziose e straordinarie che ci sono venute dai giorni della visita di papa Francesco in Iraq nei primi giorni di marzo? Come si fa a consegnarle al flusso informativo che oggi sempre più, travolge e sfuma, dimentica e supera, tra una canzone e una partita, un delitto e una polemica politica? Sarebbe, se cedessimo a queste dinamiche, come uno sperpero, un talento sotterrato e dimenticato. Un talento che è della Chiesa intera, che dobbiamo sentire nostra come comunità dei credenti, che il suo rappresentante più illustre ci ha donato e che bisogna far fruttare.

Perché quelle messe, quelle passeggiate tra le rovine di una terra martoriata e tra la gente sofferente, quelle omelie e quelle preghiere, praticate in serenità in un evidente contesto rischioso, sono la migliore, concreta, potente parola di pace, di umiltà, di rispetto, di fedeltà al Vangelo che si potesse dare. Di fronte a tutto l’odio del mondo, quello potente e devastante dei terrorismi, Cristo ha vinto, ha trionfato. Sul dolore dei cristiani uccisi e scacciati, ancora una volta la potenza del messaggio che difende l’umile e i poveri, i perseguitati e “gli scarti” come li chiama Francesco, il papa ha costruito un futuro di speranza e di convivenza civile.

«Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra.», ha detto a Mosul. Lo ha dimostrato con forza anche a dispetto di coloro che erano contrari a questa visita. «Questa convinzione – ha aggiunto – parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione».

E allora, se accogliamo questo principio, proviamo a rispondere, ciascuno in cuor proprio, senza alcuna pretesa di convertire alcuni se non il proprio io, alle domande che Francesco pone nella messa celebrata sabato pomeriggio, 6 marzo, nella cattedrale caldea di San Giuseppe, a Baghdad, momento conclusivo della seconda giornata del viaggio. «Possiamo chiederci: e io, come reagisco alle situazioni che non vanno?», e sì che di avversità, in questi mesi drammatici, ne stiamo vivendo tante… «Di fronte alle avversità – riflette il papa – ci sono sempre due tentazioni. La prima è la fuga: scappare, voltare le spalle, non volerne più sapere. La seconda è reagire da arrabbiati, con la forza. È quello che accadde ai discepoli nel Getsemani: davanti allo sconcerto, molti si diedero alla fuga e Pietro prese la spada. Ma né la fuga né la spada risolsero qualcosa. Gesù, invece, cambiò la storia. Come? Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi; così Dio realizza le sue promesse».

Ecco, di fronte a queste parole chiare, noi, in tutta sincerità, chiediamoci come reagiamo?

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Domenico Infante

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