Carissimi, è con grande gioia che torno a trovarvi dopo un anno, per presiedere questa celebrazione eucaristica, mentre a Quito è in corso il 53° Congresso Eucaristico Internazionale.
Un sentito ringraziamento va all’Arcivescovo Metropolita Mons. Alfredo José Espinoza Mateus e al Segretario generale del Congresso, D. Juan Carlos Garzon, che hanno voluto che vivessimo insieme e con voi e il vostro amato parroco, P. Estiven Vallejo, questo momento speciale.
Saluto e ringrazio il Presidente dei Congressi Internazionali, P. Corrado Maggioni, per la sua vicinanza e stima, insieme a P. Vittore.
La liturgia della Parola odierna ci aiuta ad entrare nel cuore del Congresso: Fraternidad para sanare el mundo, che non è solo un evento, ma un invito a confrontarci con le sfide contemporanee che la Chiesa e l’umanità affrontano; ci indica, attraverso i suoi figli, la strada che da sempre lo Spirito del Signore ha ricordato alla Chiesa di ogni tempo, alle prese con contraddizioni, scandali, scelte di vita sbagliate. Da tutto ciò, l’umanità ne rimane ferita, anche per la mancanza di testimonianza e fedeltà al vangelo.
Il contesto della comunità di Corinto, descritto nell’epistolario paolino, è emblematico delle sfide che affrontano le chiese in contesti culturali complessi. Allora, molti credenti si adeguavano allo stile di vita dei pagani per cui venivano espressi commenti poco edificanti da parte dei non credenti i quali non esitavano ad additare la Chiesa come un luogo di immoralità. Era, allora come ancora, l’atteggiamento tipico di comunità immature, incapaci di crescere tanto da abbracciare ogni cosa e ogni scelta contraria all’annuncio evangelico
L’immagine del “lievito vecchio” è potentemente evocativa, rappresenta l’iniquità che contamina e, pertanto, va sradicato, per ritornare ad essere azzimi nella sincerità e verità di Cristo nostra Pasqua: passare all’azzimo, dunque, simboleggia un ritorno alla purezza e all’essenzialità della fede cristiana.
Quanto avveniva a Corinto avviene ancora ai nostri giorni. C’è una umanità che ha bisogno di essere ascoltata, capita e aiutata ad essere sanata perché, a sua volta, aiuti a sanare tante coscienze sviate che servono subdolamente se stessi usando il nome di Dio.
Penso a tutti coloro che fanno parte di organizzazioni mafiose, ai narcotrafficanti, alla cultura di morte che sempre più dilagante si esprime nel disprezzo della vita dal suo concepimento alla sua fine non più naturale.
Penso alla violenza soprattutto in contesti familiari dove si arriva ad uccidere per conflitti irrisolti o mancanza di comunicazione. Ma penso anche alle guerre tra cristiani dove si continua a versare il sangue dei fratelli attraverso dittature di pensiero e di azione mentre, gli stessi dittatori, ostentano la loro partecipazione alle funzioni religiose con la benedizione di quanti guidano determinate Chiese. Penso anche a coloro che in nome del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe lottano provocando un bagno di sangue innocente: ognuno dei due vuole la morte dell’altro.
Sono alcuni degli scandali che gridano l’immoralità dell’agire umano, e come il sangue di Abele, al cospetto di Dio continui a chiederci: “Dov’è tuo fratello?”
E proprio nel brano del vangelo che, Gesù, si presenta àncora di salvezza per il mondo intero. L’uomo affetto da una mano paralizzata viene cercato dal Maestro, mentre i moralisti, in nome delle loro convinzioni, cercano solo un pretesto per condannare Gesù.
A volte, come in genere si dice, sono gli uomini di Chiesa che fanno i puritani, si scandalizzano degli errori degli altri, delle loro malattie e loro stessi vivono situazioni a dir poco imbarazzanti che solo Dio e la loro coscienza conoscono.
Gesù a quest’uomo malato dice: “Alzati e mettiti qui in mezzo”, perché tutti possano vederlo ma tale gesto indica, soprattutto, che l’uomo deve ritornare al centro di ogni logica umana e, in questa logica, tornare a guardarlo per quello che effettivamente è: un fratello da amare ed aiutare nella sua malattia. Le parole di Gesù sono come un invito ad avere coraggio, a vincere ogni paura, ogni vergogna e ritornare finalmente a vivere.
Questo ci suggerisce che credere significa ripristinare al centro la vita reale delle persone, allontanandosi dalla logica distorta di difendere a tutti i costi schemi che, anziché onorare Dio, lo offendono.
Contemplando Gesù Eucaristia che rimette l’uomo al centro dell’attenzione, rende possibile che l’uomo stesso ritrovi la dignità perduta, anche perché, chi lo addita come peccatore, non è più santo di lui. Solo così chi giudica e chi viene giudicato potrà uscire dalla condanna di rimanere relegato nella tristezza e nel chiuso di un mondo senza speranza.
Anche oggi, non ci sono “i cattivi senza Dio” da una parte e “i buoni” perché si riempiono la bocca di Dio, dall’altra. Ogni uomo viene posto, indiscriminatamente dal Signore, sempre al centro delle sue attenzioni, nessuno escluso, perché ognuno è unico, irripetibile, amato in quanto figlio.
Gesù chiede a questo uomo di stare al centro e, agli scribi e farisei, di guardarlo, affinché gli sguardi che si incrociano possano ridestare i cuori e tutti si riscoprano fratelli. Se è vero che Gesù guarisce fisicamente l’uomo dalla mano inaridita, rimane sempre il rammarico di vedere buona parte dei presenti rimandare la guarigione spirituale o addirittura allontanarla. D’altronde è la guarigione più difficile.
Bisogna avere il coraggio e la forza come “L’uomo dalla mano paralizzata di alzarsi e andare nel mezzo”. Proprio come Quito che si trova geograficamente al centro del mondo ma in questi giorni sente particolarmente presente Gesù nell’Eucaristia, cibo di vita eterna, pane spezzato, sangue versato per tutti per la remissione dei peccati. Quito in questo momento storico è posta da Gesù e dalla Chiesa al centro dell’umanità chiamata a guardarle le tante mani inaridite, le tante paralisi spirituali, la disperazione dei tanti gridi di dolore a cause di ingiustizie, per essere sanati dalla presenza viva e reale di Gesù nell’Eucaristia che ci dice di tendere a lui tutte le mani.
Quito diventa così cuore del mondo dove i figli di Dio Padre e della Chiesa hanno l’occasione di riscoprirsi fratelli attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, guariti nelle profondità per essere nel mondo operatori di pace, di giustizia, di fraternità. Quito, come lievito nuovo, che fa fermentare la pasta che diventa pane buono perché condiviso, spezzato, gustato insieme.
Dopo Matera, la città italiana dove il Signore mi ha inviato come pastore, e dove nel settembre 2022, abbiamo celebrato il Congresso Eucaristico Nazionale: “Torniamo al gusto del pane. Per una chiesa eucaristica e sinodale”, stiamo vivendo oggi le stesse intensità ma insieme a voi con una rappresentanza significativa: ben 22 partecipanti tra fratelli, sorelle e sacerdoti.
A Quito è convenuta tutta la Chiesa capace di mostrare il suo dolore, gridarlo a Dio al solo scopo di ritornare a vivere e far vivere attraverso il virus dell’amore, la condizione della condivisione dove i fratelli sono sempre vittoriosi e gioiosi nel desiderio di percepire quel legame. Di una cosa siamo certi: dalla propria malattia, dal proprio dolore si ritroverà forza e sarà risurrezione.
Affidiamo queste nostre giornate alla Vergine Maria, Nuestra Señora de Fátima, in comunione con Papa Francesco, in questi giorni missionario in una parte dell’umanità stanziata in Asia, in comunione con tutta la Chiesa sparsa nel mondo, certi di ritrovare con lei il coraggio di ripetere con rinnovato entusiasmo il nostro “Si” a suo Figlio, Gesù.
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