Carissimi, fratelli e sorelle, istituzioni civili e militari, confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose,
anche noi, come Chiesa di Tricarico, abbiamo dato inizio ufficialmente alla celebrazione del Giubileo del 2025 con il rito introduttivo della statio presso la chiesa di S. Francesco e la breve processione verso la Cattedrale.
Siamo nel pieno clima del S. Natale di Gesù e la festa della Sacra Famiglia che celebriamo è il modello a cui ispirarsi. Purtroppo oggi non è più così. I modelli sono ben altri e a questi ci si conforma. Dominano la scena i “miti” che hanno successo nei diversi settori dello spettacolo, della politica, dell’imprenditoria. Ci chiediamo ancora una volta: quante famiglie hanno celebrato realmente il Natale di Gesù?
Eppure, all’inizio del Giubileo 2025, noi volgiamo lo sguardo, la mente ed il cuore proprio verso la famiglia di Nazareth. In questo modo possiamo comprendere meglio la valenza della Porta Santa dove l’evangelista Giovanni ci presenta Gesù che parla di se stesso come di una porta. La Porta Santa diventa il passaggio obbligato per chi vuole seguirLo, trovando in Lui la redenzione da ogni peccato e la salvezza. Maria, sua Madre, e Giuseppe, papà che l’ha accolto e cresciuto, ci indicano questa porta da attraversare.
Come ci ha ricordato Papa Francesco nel dare inizio all’Anno Santo, aprendo la porta Santa di S. Pietro, “questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù.
Nella lettera pastorale che vi ho scritto per il Giubileo, tra le altre cose metto in evidenza come “Noi sappiamo che là, dove la ferita del peccato ha costruito il regno della morte, Dio ha fatto sgorgare la vita dalla ferita del costato di Cristo (cf. Gv 19, 34). Guardando le piaghe del Cristo crocifisso le contempliamo come ferite d’amore che, anche oggi, continuano a guarire quelle dell’odio, della violenza e che rendono la nostra vita triste perché è stata privata dell’identità di figli e fratelli. La nostra speranza è Cristo… Nel tempo del cammino sinodale stiamo intravedendo una Chiesa che ci invita a vivere, ed essere partecipi del grande pellegrinaggio, sorretti dalla speranza, «con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (Lc 12,35), verso il Regno. Questa consapevolezza ci aiuta a condividere non solo le gioie e le speranze, anche le tristezze e le angosce degli uomini di questo tempo. Facciamo parte di «questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio». Pur consapevoli che non siamo perfetti, la speranza che abita in noi ci impone di non rimanere una comunità statica, seduta.
Il Giubileo diventa un’occasione unica per riscoprire che, come cristiani, siamo chiamati ad essere seriamente «viandanti di speranza». Tutto sarà possibile se saremo capaci di lasciarci incontrare dal Signore, risentire la sua voce che chiama, anche oggi, a seguirlo, toccare con mano quella fiducia pasquale che sana ferite, fa risorgere a nuova vita.
Questo Giubileo chiede a noi presbiteri, diaconi, religiosi/e, consacrati/e di rinnovare, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, soprattutto nel momento in cui nel calice mettiamo il pezzo di pane consacrato, che siamo chiamati ad essere uomini e donne di comunione, obbedienti al magistero della Chiesa e al Papa.
Lasciamo che Cristo, nostra vita e nostra speranza, viva in noi e attraverso di noi viva nei fratelli a noi affidati. Siamo chiamati ad essere ministri che celebriamo Cristo e non noi stessi, annunciando la vittoria di nostro Signore sulla morte. Mostriamo il volto della speranza e non della morte. I fedeli hanno bisogno di noi, di volti sorridenti, di sentirsi incoraggiati, di vedere in noi la gioia di vivere il nostro ministero e la nostra consacrazione con entusiasmo.
Nel tempo in cui tutto si massifica e ci si adatta ad uno stile di vita omologato, sono tante le testimonianze di quanti, toccati dalla grazia divina, nonostante sofferenze di vario genere, malattie, ingiustizie, trovano la forza di trasformare quel dolore in celebrazione di partecipazione alle sofferenze di Cristo che vivono anche nel proprio corpo. Tutti siamo testimoni, consacrati e laici, dei grandi insegnamenti che ogni giorno riceviamo da fratelli e sorelle, piccoli, giovani e adulti che ci incoraggiano a vivere la nostra esistenza con coraggio, tenacia, ed entusiasmo.
La Chiesa, attraverso i suoi figli, nella sapienza ricevuta da Dio per opera dello Spirito Santo, sa benissimo che dare da mangiare a chi è nel bisogno e nella necessità vuol dire nutrire quanti si sentono fragili perché abbandonati e pieni di paura. Così come dare da bere a chi ha sete significa, ai nostri giorni, fermarsi, dedicare tempo e ascoltare chi è solo, chi ha lasciato la sua terra in cerca di un mondo migliore, diverso. Tutto questo significa riaccendere la speranza e mostrare il volto del Dio di Gesù Cristo che provvede alle necessità primarie dei suoi figli.
Non c’è gioia più grande di quando si restituisce dignità alla persona ammalata nel cuore, nella mente, nel corpo, aiutandola a liberarsi dal peso del dolore che l‘affligge
Eppure spesso anche noi che celebriamo l’Eucaristia, la misericordia di Dio, mostriamo una fede mascherata da forme devozionali che vorrebbero mettere a tacere quanto la coscienza ci rimprovera o teme.
Il Giubileo del 2025 diventa una grande occasione, anche per i non credenti, a riscoprire che non siamo solo carne ma anche spirito. E lo spirito ha bisogno di essere nutrito perché la carne stia meglio, ricevendone grandi benefici.
Possiamo riscoprire, così, il rapporto imprescindibile che esiste tra fede e azione, per ridare speranza all’umanità che in questo momento sembra orfana di Dio. L’uomo lo ha messo da parte, assurgendosi a dio e ascrivendo a sé l’assurdo potere di decidere sulla vita e sulla morte
Sicuramente durante questo Giubileo ci metteremo in cammino, attraverso pellegrinaggi organizzati o da soli, verso i luoghi a noi più cari: da Roma, cuore del cristianesimo, ai nostri santuari. Cammino autentico di coloro che si mettono seriamente alla sequela del Signore che viene. E il Signore si fa vedere nella carne di bambini, di giovani, uomini e donne, malati, anziani che aspettano nelle loro case o in ospedali e case di cura, in RSA, una visita, una stretta di mano, un sorriso… Il vero pellegrinaggio è quello che, partendo da casa, ci fa uscire, attraversare strade ed entrare nei luoghi dove c’è la vita che ci aspetta: lì c’è il Signore.
Ed è proprio in questo giorno santo sarete in cinque a ricevere il ministero dell’Accolitato. Nella Chiesa di Gesù Cristo, riscoprendo la ministerialità, si risponde alla chiamata del Signore per servirlo come Lui vuole e dove Lui vuole. Non sono importanti i titoli né i calcoli che non vengono da Dio, ma la disponibilità a servire Cristo e la Chiesa con la gioia e la pace interiore.
A voi, carissimi Vincenzo, Salvatore, Michele, Antonio e Salvatore dico semplicemente: ogni giorno entrando in chiesa attraverserete la Porta. Ricordatevi che quella porta rappresenta Cristo. In Lui, con Lui e per Lui vivete la vostra vita e il ministero che la Chiesa vi affida. Custodi e portatori di Cristo nel mondo. La Madonna e S. Giuseppe vi accompagneranno con la loro vicinanza e preghiera.
Così sia.
+ Don Pino, Arcivescovo
Si ringrazia Vito Sacco per la concessione delle foto.
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