Omelia della Santa Notte di Natale

Omelia della Santa Notte di Natale di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico.

Carissimi,

nella vita di ciascuno di noi si succedono tanti eventi dei quali siamo a volte protagonisti, a volte spettatori. Eventi che in ogni caso condizionano in positivo o in negativo la nostra esistenza.

Questa notte, in tutto il mondo, celebriamo il più grande e straordinario evento mai avvenuto e che ha cambiato la storia dell’umanità: il Dio Bambino, “nato da donna” (Gal 4,4), venuto ad abitare e stare in mezzo agli uomini

Che bella la descrizione fatta dall’evangelista quando dice: “un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 7. 12. 16). Attorno a questa mangiatoia si muovono personaggi, come i pastori, che escono dal buio della loro storia di emarginati e dannati, ed entrano nella pienezza della luce divina che li avvolge facendo loro sentire i brividi dell’amore verso l’Amore che si è fatto carne nella loro carne.

I pastori non si sarebbero mai mossi dal loro ambiente, nel quale erano stati costretti a vivere. Eppure proprio il coro degli Angeli che canta dona loro la pace. Viene loro indicato il vero segno della vittoria della vita sulla morte, su ogni tentativo di soffocarla, annientarla: il Bambino che nasce in una stalla, poiché ai genitori, Maria e Giuseppe, viene negato un posto più decente. Ogni bambino che nasce, fin dai primi vagiti, fa sentire il suo grido di attaccamento alla vita, il bisogno di latte che nessuna mamma potrà mai negargli porgendogli il suo seno. Ma il Bambino di Betlemme ha molto di più di una qualsiasi creatura: è il Messia, il Salvatore, il Signore.

Questo mistero divino svelato ai pastori – uomini che non conoscevano le Scritture, anzi veniva loro impedito di entrare perfino nel Tempio -, viene rivelato a noi, uomini di questo tempo, nell’era della comunicazione in cui sempre meno si comunica tra le persone e, di conseguenza, con Dio. Eppure ogni notte di Natale quest’evento ci viene riproposto per aprire il nostro cuore e la nostra mente alla grandezza e alla potenza dell’Amore che scende dall’alto.

Un bambino ha bisogno di cure, di attenzioni, di coccole, di affetto incondizionato: un’operosità amorosa e impegnativa attivata con volontà e costanza, mai per forza. Potremmo dire che ognuno di noi ha colto fin dalla tenera età, la sua vera natura che lo rivela, a sé e al mondo, mendicante di amore. A pensarci bene anche Dio, incarnandosi in Maria, è venuto tra noi come mendicante d’amore.

Lo sconvolgimento della storia sta proprio in questo: Dio, da Dio, quindi Creatore degli uomini e di tutto l’universo, continua a farsi stringere al nostro petto, a ricevere carezze, ad essere nutrito, lavato e vestito. E, come ogni creatura, avrà la forza di vivere, crescere ed agire se sarà accolto ed amato. Questo significa che ci sarà ricchezza se ognuno diventerà culla di Dio, oppure miseria, con le conseguenze terrificanti alle quali stiamo assistendo sull’intera terra, se ognuno si renderà l’arido sepolcro di Dio. Qui è il grande paradosso: lui, per amore nostro, diventa vulnerabile, quindi mortale, mentre noi pensiamo di essere Dio, onnipotenti e padroni della vita, della storia.

Gesù, nascendo, si è consegnato a noi per servire l’intera umanità. Continua a insegnarci che sicuramente c’è un modo più bello di esistere, di vivere, rafforzando i vincoli di fraternità che vincono lo scontro, la solidarietà nel sentire la potenza dell’Amore che ci trascina a condividere l’esistenza, l’accoglienza che ci fa scoprire figli dello stesso Dio che si adora rivestendo corpi nudi, riempiendo bocche affamate, condividendo l’esistenza. Come ci ricorda Papa Francesco, “Nessuno si salva da solo. Siamo tutti sulla stessa barca”.

Questa notte ci ricorda che il Natale di Gesù è la presenza di Dio tra noi, chiamati a vivere insieme con tutti, nessuno escluso. Diversamente contribuiremo a seminare la morte dell’umanità che sprofonda nelle stragi innocenti e nel sangue versato, sangue che ha lo stesso colore per i russi come per gli ucraini, per i palestinesi come per gli ebrei, per gli europei come per gli africani. Ciò a cui stiamo assistendo, attraverso i tantissimi conflitti bellici, è la sconfitta di una umanità senza più Dio. Incapace di commuoversi di fronte al Dio Bambino.  

A Natale non si diventa più buoni! E’ il falso messaggio pubblicitario che ha il fine unico del guadagno! Natale è ogni giorno! E’ l’occasione quotidiana che a noi viene concessa per uscire dall’indifferenza, dall’apatia, dal silenzio omertoso, e diventare operativi indicando, senza nessuna pretesa ma con convinzione, orizzonti e mete lontani da raggiungere, speranza che diventa certezza di una umanità senza guerre, povertà, ingiustizie. Un’umanità ritrovata, come Adamo ed Eva, e rivestita di Dio che torna a chiamarlo Padre perché si riscopre nel Figlio, composta di milioni di figli, come parte di unica famiglia.

Il Natale di Gesù ci ricorda che lui è la vera Pace e che il pane va spezzato e condiviso sempre e che la guerra del grano non può diventare uno strumento di ricatto per ottenere la vile vittoria. L’’acqua non può essere negata per costringere alla resa, senza nessuna pietà, gli innocenti, scudi umani immolati; che l’elettricità non può essere interrotta anche per le culle di neonati costretti ad una agonia inenarrabile. Non a caso abbiamo sentito nella seconda lettura S. Paolo che diceva che la nascita di Gesù continua ad insegnarci nel tempo a “vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (cf Tt 2, 11-12).

L’umanità ha bisogno d’incontrare Dio, di trovarlo, in mezzo a tanta stoltezza ed esperienze negative, tornando ad adorare la vita nelle sue infinitesime debolezze e fragilità, nel segno di un bambino, avvolto in poche fasce e posto in una mangiatoia che irradia luce mentre si nutre a quel seno di Madre piena di grazia e benedetta fra tutte le donne. Proprio in quella terra, santificata dalla sua nascita, scorre sangue innocente, evaporano lacrime amare, si perdono nel vento le grida di dolore, tutti ormai sospendono il respiro dinanzi le mortifere armi da fuoco.

Nel mondo non c’è pace perché manca l’amore. C’è solo violenza che ha la pretesa di seppellire i diritti più elementari della convivenza umana. E’ così in Terra Santa e Palestina, in Ucraina come in tante altre parti dell’Africa, del mondo intero.

Questa notte avvertiamo l’urgenza di ritornare al fondamento della festa del Natale di Gesù. La gioia non può essere contenuta nel cuore di pochi intimi, ma, come abbiamo ascoltato, la gioia che la abita è gioia “per tutto il popolo”, per l’intera umanità destinataria dell’amore di Dio.

Che tristezza venire a sapere che la cometa non annuncia più la nascita di Gesù ma fa “cucù”, mentre “il Natale di Gesù” è diventata “una festa nel cielo blu”: sono alcune maestre di una scuola elementare in provincia di Padova che hanno pensato bene, in nome dell’inclusione, del rispetto, della cultura di cancellare quanto a noi più caro. Che poi, inclusione, rispetto e cultura non si realizzano defraudando una tradizione a vantaggio di un’altra, semmai affiancando le due distinte realtà, ognuna con una sua precisa dignità ad esistere.

Auguro a tutti, anche alle maestre padovane, non un semplice Buon Natale, ma di tornare a volgere lo sguardo su questo Bimbo affinché ognuno senta il bisogno di imparare e, a sua volta insegnare le cose più ovvie o elementari della vita per vincere la tentazione dell’essere inclusivi a prescindere, sfociando nella blasfemia, nel virtuale ed uscire dalla pericolosa spirale dell’intelligenza artificiale che non aiuta a generare vita, fraternità, prossimità. Infatti una banca dati potrà contenere sapienti ricchezze culturali ma non avrà mai lo stesso calore di un abbraccio o di una sincera stretta di mano.

S. Natale a tutti fuggendo la tentazione della frenesia di bruciare la nascita di Gesù nel giro di poche ore e lontano da quella grotta che 800 anni fa, S. Francesco d’Assisi, ha pensato bene di ripresentare come scena davanti alla quale fermarsi, pregar e meditare.

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