Omelia del giorno di Pasqua 2022 di mons. Caiazzo

Carissimi,

Santa Pasqua a tutti voi convenuti nella nostra Basilica Cattedrale, a voi fratelli e sorelle che state visitando la nostra città, a quanti ci state seguendo da casa grazie al servizio di TRM. Tutti bisognosi della luce della risurrezione, tutti portatori della stessa luce nei diversi ambienti della vita quotidiana.

E di questa luce vorrei parlarvi oggi, di questa luce vorrei dare testimonianza. Mi è capitato spesso, nei miei anni di sacerdozio, di stare accanto a genitori che avevano perso un figlio o una persona cara. Ho sempre colto una grande sofferenza, per dirla con il vangelo, un grande masso sopra i loro cuori difficile da rimuovere.

Dalle loro lacrime, degli occhi smarriti e dalle loro mani vuote ho imparato ad amare ancor di più la vita e a servirla. Visitare alle prime luci dell’alba al cimitero e sostare davanti a quel loculo pieno di fiori contenente la persona cara, non annulla il dolore ma lo stempera al pensiero di poter stare, se pur ormai distaccati, spiritualmente più vicini.

Sono, soprattutto, le donne a custodire dentro di loro il segreto della vita, a non arrendersi mai, a lottare contro il nemico più grande: la morte. Loro, fin dal principio, sono state pensate da Dio per dare vita e mai morte, per custodire la creatura che sentono crescere nel loro grembo fino al momento in cui la affidano alla Vita attraverso i dolori del travaglio e del parto.

Né sono diverse le donne Ucraine o Russe o di altre parti del mondo!

L’irragionevole e assurda morte dei loro figli giovanissimi, delle persone care indifesi e innocenti, a causa della tempesta della guerra con la sua scia di distruzione e di sangue, fa esplodere il loro grido di dolore che sovrasta il tuono delle bombe.

Un macigno enorme sui cuori.

L’unica certezza è che siamo tutti figli di Dio. Ancor più sotto la Croce avvertiamo l’abbraccio di Dio per l’intera umanità. Le sue braccia sono stese sul legno della croce sia per chi ha aggredito sia per chi è stato aggredito. Della scelta di Papa Francesco di affidare una stazione della Via Crucis a una donna ucraina e ad una russa insieme si deve fare una lettura pastorale e non politica. Nello spirito dell’insegnamento di Gesù si cercano segni di riconciliazione nonostante la guerra continui a infuriare. Le due donne nel venerdì santo che hanno portato la Croce senza parlare, hanno camminato insieme accomunate dalla speranza che anche i due popoli fratelli possano ritrovare momenti di condivisione che siano preannunci di pace. Siamo o non siamo Cristiani? E se siamo cristiani, impotenti come ci sentiamo, cosa ci è dato fare se non pregare e dare segnali autentici di distensione e di speranza? Se non capiamo il senso della croce è meglio fare silenzio, piuttosto che trovare cavillosi pretesti per sterili contestazioni.

È il tempo in cui abbiamo bisogno di uomini che illuminino questo tetro momento storico e ci aiutino ad entrare nella luce della vita.

Il mattino di Pasqua le donne al sepolcro incontrano, nel loro dolore, due uomini sfolgoranti, vestiti di luce, una luce che fa ardere il cuore d’amore e del desiderio di far risorgere la vita. È la fede pasquale che ci indica di non cercare tra i morti Colui che è vivo: è risorto, non è qui!

Noi viviamo in funzione del mattino di Pasqua che annuncia che Gesù è risorto! La morte e il dolore causato dalla morte devono insegnarci che solo la potenza dell’amore può mettere fine ad ogni conflitto tra nazioni, tra persone, nelle famiglie. Solo la forza dell’amore può far tacere le armi, che seminano morte e distruzione, e costruire speranza per un’umanità nuova capace di camminare insieme, mano nella mano.

Come le donne al sepolcro, anche noi siamo invitati ad alzare gli occhi al cielo con l’anelito al Paradiso. Sono le parole scritte da un bambino ucraino di 9 anni per la sua mamma uccisa. Dice testualmente: “Penso che questi 9 anni siano stati i migliori della mia vita. Ti sono molto grato per la mia infanzia. Sei la madre migliore del mondo e io non ti scorderò mai. Spero che tu sia felice in cielo e spero che tu vada in paradiso. Ci vedremo in paradiso. Proverò a fare il bravo bambino per venire in paradiso da te». È la drammatica lettera scritta da Anatòly per la madre morta ma anche piena di speranza. La donna stava fuggendo da Hostomel, periferia di Kiev, ma la sua auto è stata colpita e lei è morta sul colpo, salvo il piccolo Anatòly.

Questo è il tempo, carissimi, delle scelte. Dopo i due anni di pandemia e ora la guerra, siamo invitati ad uscire dalla miopia del vivere quotidiano spingendo lo sguardo verso mete che hanno il profumo dell’eternità. Anche nel modo di intendere la nostra fede, spesso vissuta come un rifugio, scudo scaramantico senza vita, senza speranza. Ricordo il mio parroco che diceva: spesso intendiamo la fede come un soprammobile che sistemiamo ora in un posto ora in un altro.

È il tempo di uscire dal sepolcro del cenacolo, liberi dalle paure e dalle incertezze, nella certezza che tutto non è finito. Mentre le donne dal sepolcro vuoto, dove era stato posto Gesù morto, corrono verso il cenacolo per annunciare che Gesù è risorto, Giovanni e Pietro, invece, escono allo scoperto e corrono verso il luogo dove avevano lasciato la morte: e lì, ora, c’è solo la luce della vita che illumina il mattino di un nuovo giorno.

Ciò che i discepoli vedono nel sepolcro sono i segni che hanno avvolto la morte: il sudario, le bende. Ma quel sepolcro è vuoto: non c’è la morte perché è stata annientata per sempre.

Questa certezza, prima delle donne e poi dei discepoli, dona la forza e la consapevolezza che bisogna tornare a correre per le strade dell’umanità con nuovo entusiasmo, nuova voglia di trasmettere vita, parlando un linguaggio nuovo, più umano ma anche più divino. Non possiamo illuderci di credere nel Dio di Gesù Cristo, nella Madonna e nei Santi e andare avanti senza speranza, senza futuro.

Celebrare la Pasqua del Signore significa vedere con occhi nuovi e rendersi conto che la forza della fede fa rotolare sempre i macigni che nascondono i nostri dolori e le nostre paure.

Celebrare la Pasqua del Signore significa irradiare l’amore per ritrovare vita e desiderio di dare un volto nuovo alla nostra storia, nonostante le ingiustizie, le tragedie e i dolori che ognuno si porta dentro.

Il Calvario è il luogo della cattiveria umana, del sangue innocente versato, dell’egoismo, ma anche dell’impotenza, del pianto e delle urla strazianti, tangibili segni di disperazione e di speranza sconfitta. Dio è morto!

Il Calvario è assistere increduli e sgomenti, come la Madonna, alla morte di un figlio, raccogliendone, quando si è più fortunati, l’ultimo sguardo. Spesso nemmeno questo.

Il Calvario si chiama anche Ucraina e Russia. Sono decine di migliaia le mamme e i papà che piangono i loro figli e per i quali probabilmente non avranno nemmeno la consolazione di portare un fiore sulle loro tombe.

Il Calvario è ingiustizia a scapito della vita, della pace che viene seppellita dal macigno della corsa frenetica al riarmo e da un linguaggio incapace di intraprendere seriamente un percorso di mediazione.

La Pasqua, invece, è risurrezione di Cristo sulla morte basata sulla forza divina capace di eliminare i massi che sigillano la vita consegnandola alla morte.

La Pasqua, invece, è la risurrezione di Cristo che ci porta la pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo”. Il Risorto è il Crocifisso che non stabilisce né una tregua nei conflitti né assenza di guerre per il quieto vivere. La pace che Gesù Risorto ci porta attraversa i conflitti, il male, ogni tipo di ingiustizia e dona la pace al cuore dell’uomo che diventa costruttore di pace.

La Pasqua, invece, è la risurrezione di Cristo che riaccende la speranza che sul Golgota come sulla tomba torneranno a spuntare i fiori che coloreranno la terra seppellendo le armi e distruggendo gli egoismi. Il profumo riempirà i cieli da cui cadranno non le bombe della distruzione e della morte ma il respiro della nuova primavera.

La Pasqua, invece, è la risurrezione di Gesù. Significa che siamo figli, quindi fratelli e discepoli di un Dio che è vivo perché è Amore. E se ognuno di noi crede nell’amore vero, allora non ci potrà essere posto per la morte.

Mi piace chiudere questa riflessione pasquale con le parole di Margherita Guidacci che dice:

Dalla prima stella di sangue nasce tutto un firmamento. La morte ha fatto il nido in tutti i nostri orologi. Il mio dolore mi sta sempre davanti. La giovane dalla schiena spezzata, i fanciulli arsi. Le macerie dei corpi tra le macerie dei muri. Chi ci darà coraggio? Dov’è la nostra speranza? Alto si leva il lamento sopra le nostre vie.
Patria dell’uomo è l’uomo e noi siamo tutti in esilio. Ma tu che ci hai creato una volta, Signore, puoi crearci di nuovo. Spezza il cuore di pietra, dacci un cuore di carne.

Auguri di Santa Pasqua a tutti: la speranza non è l’ultima a morire, anzi non muore. La speranza è una sola: Gesù Cristo sempre vincitore sulla morte.

Don Pino

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