Omelia del giorno di Natale – 25 dicembre 2020

Carissimi fratelli e sorelle presenti nella nostra stupenda Basilica Cattedrale e voi che ci seguite da casa grazie all’emittente TRM, in questo giorno solenne i nostri occhi contemplano Dio che si è fatto carne, proprio come ognuno di noi, formandosi nel grembo di una donna, Maria, che lo ha partorito con le stesse doglie delle nostre mamme.

La meditazione della Parola mi suggerisce che Gesù, insieme a Maria e Giuseppe, ha vissuto un’esperienza molto simile a quella che stiamo sperimentando in questo tempo di pandemia. Da qui ripartiamo per esprimere la nostra fede che ci invita a riportare questa festa nella sua vera umanità, lontani dai frastuoni e da tutto ciò che non rimanda a Dio. Questo tempo così difficile e duro ci sta dicendo che dobbiamo ritrovare l’incanto del Natale di Gesù e, anche nelle case, sperimentare il silenzio per pregare davanti al presepe e contemplare Dio che si è fatto come noi: Bambino. Guardando la sua umanità in Gesù avvertiamo il bisogno di essere sanati e guariti interiormente.

Alla famiglia di Nazareth sono state chiuse tutte le porte: non c’era posto per loro né in albergo né negli ostelli e nemmeno nelle case private. Anche a noi, durante quest’anno, sono state chiuse le porte delle nostre case, delle scuole, delle palestre, dei cinema, dei ristoranti, delle pizzerie. Sono rimaste chiuse anche le porte delle piscine, delle piste da sci, dei teatri, dei musei, dei negozi, senza dimenticare che, nella prima ondata, non abbiamo potuto attraversare neanche le porte delle nostre chiese.

L’evangelista Giovanni nel prologo afferma che Gesù, Verbo di Dio, è venuto in mezzo a noi e al termine della sua missione è ritornato a Dio. Tutto ciò che ha detto e fatto non è stato altro che rivelazione del Padre.

Ad ognuno di noi, mai come in questo tempo, viene data l’opportunità di contemplare il mistero che si è svelato ai nostri occhi: le porte della vita divina si spalancano davanti a noi.

Purtroppo in tanti casi le mura domestiche si sono rivelate poco ospitali: chi è stato contagiato dal Covid19 o ha avuto contatti con qualcuno già positivo, vive la quarantena, isolato da tutti, soprattutto dagli affetti. Un saluto affettuoso a voi tutti.

Mi sono chiesto: perché la famiglia di Nazareth non è riuscita a trovare posto in nessuna locanda o casa? Possibile che nessuno abbia avuto pietà nel vedere una donna incinta in procinto di partorire? La spiegazione è riposta nella dottrina giudaica secondo la quale quando una donna partoriva rimaneva in uno stato di impurità che durava sette giorni se nasceva un maschio e quattordici se nasceva una femmina. Secondo quanto c’è scritto nel libro del Levitico (Lev 12,1-8) la madre doveva aspettare altri trentatrè giorni se aveva partorito un maschio e sessantasei in caso di femmina. Questo tempo serviva a purificarsi prima di portare un sacrificio al sacerdote del Tempio.

Questa è la ragione per cui nessuno voleva avere contatti con una partoriente: era immonda e tutto ciò che toccava diventava immondo. Come allora anche ai nostri giorni abbiamo constatato di trovarci di fronte ad una umanità chiusa nel proprio individualismo e indolente di fronte ai drammi e sofferenze di interi popoli volutamente tenuti ai margini della convivenza civile.

La stessa Vergine Maria, pur essendo Immacolata e senza peccato originale, si è docilmente sottoposta alla Legge mosaica, così come l’evangelista racconta. Non solo, ma portò una coppia di colombi al Tempio come offerta purificatrice.

Non vorrei forzare troppo l’interpretazione di quanto ha vissuto la famiglia di Nazareth, però mi sembra di trovare delle analogie con quanto stiamo sperimentando ai nostri giorni: non possiamo avere contatti, niente strette di mano, niente abbracci, niente scambio di pace, purifichiamo continuamente tutto ciò che tocchiamo, usiamo mascherine e ci laviamo spesso le mani per paura di prendere o trasmettere l’impurità del virus.

La Parola di Dio oggi si manifesta in tutto ciò che ci circonda, nella storia dell’umanità chiamata a riconoscere la sua presenza tra noi. Eppure abbiamo ascoltato che il “mondo” non lo riconobbe, né ricevette la Parola. “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. Ma in questo momento ci sentiamo aggrediti da un virus che si trasforma mettendo ulteriore apprensione e paura: ci manca l’ossigeno, anzi il vero ossigeno: Dio!

 “La pandemia del Covid19 ci ha messi di fronte a un evento traumatico che ci costringe a un nuovo apprendistato: ragione, lavoro, relazione, vicinanza, sicurezza, democrazia, povertà, disabilità – ma anche fede, Chiesa, spiritualità, sacramenti, prossimità – sono ancora lì, ma non sono come prima. Il nostro tempo si è interrotto, una frattura si è instaurata. Ci scopriamo feriti là dove nemmeno immaginavamo. Affamati di parole che abbiano il coraggio di affrontare la radicalità del presente, non vogliamo disperdere il pianto e i timori di questo momento. Non si tratta di inventare narrazioni consolatorie, ma di cercare parole che sappiano dire i processi mentre vengono vissuti, e contribuire, per quel che possiamo, a «svegliare l’aurora»”. (Il Centro Fede e Cultura “Alberto Hurtado”, unità accademica dell’Università Gregoriana di Roma, ha pubblicato un e-book per aiutarci a leggere e a interpretare il tempo che stiamo vivendo: “Vedo la notte che accende le stelle – Sentieri in tempo di pandemia”).

Il rischio che noi cristiani possiamo correre è esattamente questo: non riconoscere la presenza di Dio tra noi, non accogliere la Parola che ci chiede di diventare carne nella nostra carne, di ripensare la nostra vita e rileggerla secondo quanto Dio ci sta comunicando.

È giusto e sacrosanto il desiderio di tornare a vivere la normalità della vita, ma a noi cristiani viene chiesto di più: far entrare la luce divina nelle nostre case e farci abbagliare meno da quelle artificiali.

Giuseppe e Maria si erano recati a Gerusalemme per obbedire al censimento che imponeva agli abitanti di registrarsi nel luogo dal quale proveniva la propria stirpe. Un’obbedienza, la loro, faticosa in quanto dovevano percorrere da Nazareth a Gerusalemme 150 Km a piedi e per di più con Maria che da un momento all’altro avrebbe potuto partorire.

Anche noi in questo tempo stiamo ricevendo, attraverso i diversi DPCM, molte prescrizioni alle quali attenerci. Ci costa molto non poter stare con i nostri affetti più cari, non poter alleviare le loro solitudini. Quanta sofferenza ci provoca il non poter condividere il dolore, non poter consolare o essere consolati per la morte di una persona cara: nemmeno un funerale! È tutto così assurdo, disumano!

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. La paura, la stanchezza, la rabbia, il dolore hanno bisogno di essere illuminati, sostenuti. Allo stesso modo, le schermaglie politiche e le continue campagne elettorali hanno bisogno di essere purificate e indirizzate verso un impegno concreto per il bene di tutti. Dio vuole stare vicino all’uomo, ecco perché la sua Parola si è resa presente e visibile a noi nella persona di Gesù, “pieno di grazia e di verità”.

Giovanni nel prologo aggiunge: «Il mondo fu fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe». Mai come quest’anno l’evento pandemico ci sta riportando all’essenza del Natale: il festeggiato è Gesù ed è lui che ci invita a far festa, facendoci partecipi del suo essere Dio.

Questa è la Parola viva di Dio, presente in tutte le cose, che brilla nelle tenebre che non hanno il potere di spegnerla. È stato così in passato, in momenti duri e difficili come questo, lo è anche oggi: il bisogno di Dio rinasce sempre nel cuore umano. Non c’è stato e non ci sarà mai nessuna scuola filosofica, nessun contesto culturale, nessun regime, capaci di soffocare il desiderio di Dio.

In questo tempo noi cristiani, come Maria, siamo chiamati a dare alla luce Gesù, mostrando la gioia che caratterizza la nostra vita di uomini pieni di speranza e di fiducia.

Attualissime le parole di Don Tonino Bello, quando afferma: «Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con lui, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, lo stupore della vera libertà». E ancora: «Chi spera cammina, non fugge! Si incarna nella storia! Costruisce il futuro, non lo attende soltanto! Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma! Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare. Cambia la storia, non la subisce»!

È il tempo della purificazione, di lasciarci incontrare da Dio, di ritornare al Tempio con il desiderio di adorare il Signore della Vita, Gesù, di riannodare relazioni interrotte, in modo da essere una umanità che, dopo il travaglio del parto, mostri il volto bello di come Dio da sempre l’ha pensata.

Così sia.

Don Pino

Redazione

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