Come ogni anno è iniziato l’anno scolastico, ma non senza problemi. Oltre a quelli organizzativi, in Basilicata si è riscontrato un ulteriore e drammatico calo di studenti (1826). Tuttavia, nonostante la riduzione del numero degli studenti, “l’organico (stando alle dichiarazioni della dirigente dell’Ufficio scolastico regionale Claudia Datena) del personale docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario assegnato dal Ministero dell’Istruzione e del merito è rimasto invariato rispetto all’anno scolastico precedente”. Quest’ultima notizia rassicurante non può certamente nascondere la gravità della situazione demografica della Basilicata che vede calare costantemente il numero di abitanti dal 1975 con un’impennata negativa nel 2008 a causa della grande recessione internazionale con conseguenti riflessi nazionali.
Ma il calo demografico lucano è dovuto soprattutto a cause endogene quali una diffusa presenza di aree interne che presentano condizioni di perifericità in termini di distanza dai fondamentali servizi di istruzione, sanità e trasporto che concorrono allo spopolamento. Peraltro, la prevalente presenza di anziani nelle aree interne contribuisce ad aggravare la situazione. Poi, il resto lo fa la mancanza di attività produttive e quindi una endemica negativa situazione occupazionale. In definitiva, se non si mettono in atto provvedimenti di sviluppo delle aree interne certamente nei prossimi anni caleranno non solo alunni ma anche scuole e insegnanti.
Ma sull’orizzonte di una scuola che voglia essere più efficace e attrattiva per far crescere gli studenti e con loro l’intera comunità civile lucana si profila uno scenario non proprio roseo anzi nero. Infatti, la legge 86/2024 sull’Autonomia differenziata è stata approvata e tra le funzioni che potranno essere delegate alle regioni c’è anche l’Istruzione. L’ultimo Rapporto dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo, di istruzione e formazione dice che i divari territoriali tra Nord e Sud restano marcati. L’applicazione dell’Autonomia differenziata può essere fatta solo dopo che il governo avrà individuato i Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni che la Costituzione, all’articolo 117 comma “m”, prevede debbano essere garantiti su tutto il territorio nazionale in misura uguale. Il divario della qualità dell’istruzione tra Nord e Sud è di 27 punti, ma i Lep saranno parametrati sui risultati del Nord o su quelli del Sud? Come si farà per garantire un servizio di qualità a tutti ed in egual misura indipendentemente dalla regione di nascita? E ciò vale anche per altre funzioni delegate come, ad esempio, la sanità.
Peraltro, il funzionamento della scuola comporta un servizio di carattere sociale, come la mensa scolastica, che sul territorio nazionale è presente in misure molto disparate. Infatti, Save the children sostiene che in Italia il 55,2% degli alunni ha accesso alla mensa scolastica nella scuola primaria ma in cinque regioni del Sud si registrano le percentuali più basse di scolari che usufruiscono del servizio di refezione scolastica (l’11,2% in Sicilia, seguito dal 16,9% in Puglia, il 21,3% in Campania, il 25,3% in Calabria e il 27,4% in Molise, 38,6% in Basilicata); situazione ben diversa in Liguria (86,5%), Toscana (82,7%) e Piemonte (79,4%). E lo stesso vale per il tempo pieno. Anche se in Basilicata i valori sono più alti tra le regioni meridionali, sembra non esistere una capacità di riavvicinare i valori lucani a quelli delle regioni settentrionali tanto più che occorrono risorse economiche notevoli che non si sa da dove prendere.
E intanto le guerre continuano e non si intravede, per adesso, la loro fine. Questa situazione non rende certamente più facile l’adeguamento dei Lep ai livelli settentrionali nell’Istruzione ma anche nella sanità ed altri settori di primaria importanza perché per fare questa operazione occorrerebbero moltissime risorse finanziarie che non ci sono e ce ne saranno sempre meno visto che non si riesce a fermare i venti di guerra.
Come concludere? Forse una riflessione fatta sul tema che ha scelto il Papa nei giorni scorsi sulla prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali può indicare una strada. Si dice, infatti, che “Per noi cristiani la speranza è una persona ed è Cristo. Ed è sempre legata ad un progetto comunitario; quando si parla di speranza cristiana non si può prescindere da una comunità che viva il messaggio di Gesù in modo credibile a tal punto da far intravedere la speranza che porta con sé, ed è capace di comunicare anche oggi la speranza di Cristo con i fatti e con le parole”. In altre parole, la speranza è fondamentale ed il messaggio di Cristo deve parlare a tanti uomini affinché i governanti possano riflettere prima di mettere in campo delle leggi che comportano riforme che alla lunga potrebbero anche compromettere l’unità nazionale. Ma la speranza in Cristo deve guidare gli uomini anche a realizzare una scuola che faccia crescere e sviluppare in egual misura gli studenti in tutto il territorio nazionale. Sempre la speranza in Cristo dovrebbe guidare la mano dei governanti e dei potenti della Terra affinché si possa mettere in atto una forte azione diplomatica per fermare le guerre ma anche assicurare il rispetto dei diritti inviolabili derivanti dalla sovranità nazionale dei paesi di appartenenza.
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