In questi giorni non sono appena gli antivirali che assumo per contrastare l’infezione da Covid a lasciarmi una sensazione di amaro in bocca ma piuttosto i fatti di cronaca nei quali mi imbatto sfogliando le rassegne stampa in rete, ancor meno tempo dedico in estate a televisione e social.
A sorpresa ho ricevuto nel pomeriggio la telefonata di un giornalista che, su uno degli ultimi episodi accaduti, mi domandava se ci fosse un commento da parte mia o della Chiesa!
Sulle prime sono rimasto interdetto, rinviando l’interlocutore alla lettura di un articolo che mi sembrava avesse ben commentato l’accaduto.
Poi ho pensato che non basta accontentarsi di semplici opinioni perché si finirebbe per tacitare le provocazioni che certi fatti inevitabilmente suscitano.
Ho ripreso allora ad osservare la foto in bianco e nero che avevo scelto ancor prima di dare un titolo al mio nuovo editoriale: un bimbo che corre da solo sul limitare tra la sabbia e le onde che si smorzano a riva. Sullo sfondo l’accecante bagliore del sole e una distesa enorme di acqua.
Mi sono rivisto di colpo bambino con la voglia di correre anch’io cercando di lasciare ad ogni passo una impronta del mio passaggio sulla riva.
Che contrasto con le storie che mi erano passate poco prima sotto gli occhi!
Ho provato a cercare le parole che potessero descrivere ognuna di quelle storie, quasi a svelarne le tracce che inesorabilmente esse hanno lasciato in chi le ha vissute.
C’è voluto poco per riuscire a individuare la terna così composta: Solitudine, Abbandono, Indifferenza.
L’esatto contrario dell’esperienza che si rinnova quando varco la soglia della Casa dei Giovani di Matera, un luogo che mi piacerebbe rinominare, non me ne voglia lo scrittore Daniele Mencarelli, “La casa degli sguardi”, titolo di uno dei suoi primi romanzi in cui racconta la storia di vite che si incrociano.
Da trent’anni questo luogo accoglie vite di uomini sfidati a non mentire più a se stessi prima ancora che agli altri. Nell’iscrizione affissa sulla parete della grande sala da pranzo si legge:
“Siamo qui perché non esiste un rifugio definitivo da noi stessi, fino a quando non ci confrontiamo nel cuore e negli occhi degli altri, continueremo a fuggire da noi stessi”.
In questa casa troviamo gli sguardi di Vittoria (il suo nome è già una promessa), di Tina, Antonio, Donato, Bruno e altri che sono lì per incoraggiare il cammino di libertà di quanti un tempo pensavano di cavarsela da soli ma poi sono inciampati lungo le strade della vita.
Oggi sono loro a fissarti dritto negli occhi quando vai a trovarli: il loro sguardo racconta di una promessa mantenuta perché è vero, non siamo soli!
Anche un cuore piccolo e meschino come quello raccontato da Claudio Chieffo nella “Canzone degli occhi e del cuore” può volare in alto verso il suo destino e “non riuscirono a fermarlo neanche i bilanci della vita, quegli inventari fatti sempre senza amore”.
Ascoltiamo tutto il brano facendo attenzione all’ultima strofa: “E adesso torna da chi sai, da chi divide con te tutto, abbraccia forte i figli tuoi e non nascondere il tuo volto, perché dagli occhi si capisce quando la vita ricomincia”.
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