La morte di Sammy Basso e le parole che ha voluto lasciarci come testamento interrogano ciascuno di noi. Ma non soltanto ci interrogano, perché quello che questo ragazzo è stato rappresenta una rivoluzione del nostro modo di concepire la vita. Dalla testimonianza di questo ragazzo affetto da progeria, che è una malattia che in sostanza costringe un giovane a vivere in un corpo da vecchio, noi tutti abbiamo imparato che anche una persona malata può essere felice.
Abbiamo potuto imparare che per essere felici, sono necessarie soprattutto due cose: il desiderio di vivere intensamente la propria vita, quindi la condizione e le circostanze che determinano la propria vita, e inoltre l’idea nella quale tanti uomini purtroppo ormai non credono più, l’idea cioè che ci sia qualcuno da cui attendersi di poter essere aiutati. Sammy tutto questo lo sapeva e, andando via, ha voluto rivolgersi alla nostra dimenticanza, che forse è la vera malattia che deprime gli uomini. Ha voluto raccomandarlo con le semplici ma forti parole della fede cristiana: «Non stancatevi mai, fratelli miei, di portare la croce che Dio ha assegnato ad ognuno, e non abbiate paura di farvi aiutare nel portarla, come Gesù è stato aiutato da Giuseppe di Arimatea».
Sammy ci sta dicendo che non c’è nessuna ragione per non essere lieti. In nessun caso, nemmeno in un caso estremamente drammatico come è stato il suo. Non c’è nessuna ragione perché noi poveri uomini dobbiamo abbandonare la speranza. Guardiamoci intorno: c’è per tutti qualcuno che misteriosamente ci segue amorevolmente nel nostro percorso verso il destino finale. Un passo dietro di noi c’è quel “Giuseppe di Arimatea” disposto a rendere leggero il peso della nostra, inevitabile croce. E che dietro questo qualcuno c’è anche un altro Qualcuno che possiamo scrivere con la maiuscola e che è più forte di noi, più forte di tutto il male che minaccia ognuno di noi e il mondo intero.
Nella ricerca di questo qualcuno, Sammy non si è risparmiato. Ha fatto cose impossibili, è andato fino in capo al mondo. Perché il suo cuore era certo di trovare quello che cercava. E perché sapeva che il cuore non sbaglia mai.
Per questo, il cardinale Pietro Parolin, apprendendo della morte di Sammy, ha detto che per noi la vita di questo ragazzo è come una luce che può rischiarare il nostro doloroso cammino, una luce che non si spegnerà. «Ho avuto anch’io modo di conoscere personalmente Sammy» ha dichiarato Parolin, «perché l’ho incontrato un Natale, a casa mia e successivamente quando è venuto in udienza da Papa Francesco. Considero ciò una grazia speciale, perché Sammy è stato una grande luce che si è accesa nella notte del mondo. Molti, in questi giorni, hanno messo in rilievo i differenti aspetti della sua persona. A me stupì il fatto che come mi scrisse egli fosse interessato anche alla questione Israelo-palestinese e ne possedesse buona conoscenza, avendola studiata a fondo. Nell’occasione si offrì di mettere se stesso a servizio della pace in quella drammatica situazione, oggi ulteriormente aggravatasi, perché – così affermava – ho capito quanto possa essere importante anche solo la volontà del singolo per cambiare le cose e per dare speranza. Ci ha lasciato davvero una inestimabile testimonianza di vita e di fede! Mentre affidiamo Sammy alla misericordia del Padre mi auguro che la luce che egli ha acceso continui a illuminare e a riscaldare il cuore di tutti noi e, attraverso di noi, i cuori di quanti soffrono e cercano ragioni per vivere e sperare».
Le ragioni, di cui parla il cardinale, ognuno di noi può trovarle nella vita appassionata di Sammy Basso. Una vita vissuta in maniera tanto intensa da spingere l’uomo – per Sammy lo è stato – anche a voler sfidare Dio, a voler lottare con Dio, come fu per il patriarca Giacobbe. Sono queste, infatti, le ultime parole del testamento che ci lascia questo giovane amico: «Non rinunciate mai ad un rapporto pieno e confidenziale con Dio, accettate di buon grado la Sua Volontà, poiché è nostro dovere, ma non siate nemmeno passivi, e fate sentire forte la vostra voce, fate conoscere a Dio la vostra volontà, così come fece Giacobbe, che per il suo essersi dimostrato forte fu chiamato Israele: Colui che lotta con Dio».
Sammy Basso è stato uno di quei forti che hanno saputo affrontare questa lotta. Tante cose sono state dette e scritte sulla sua morte. Ma le parole più vere, anche in questo caso, sono quelle dell’apostolo Paolo. Sammy Basso ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa, ha conservato la fede. Ora resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, certamente vorrà consegnargli.
Nel 2005 la famiglia di Sammy, assieme ad un gruppo di amici, ha fondato l’Associazione Italiana Progeria Sammy Basso (A.I.Pro.Sa.B.) per fare emergere l’interesse sulla progeria anche in Italia e per sostenere la ricerca con la raccolta di donazioni.
Scrivi un commento