Lo sfruttamento del suolo, infatti, ha provocato e sta causando eventi climatici devastanti; il consumo di suolo sembra inarrestabile e se continuerà così sarà difficile sfamare miliardi di persone. Diventa, pertanto, importante affrontare due aspetti del problema strettamente connessi tra loro: il consumo di suolo (cementificazione, consumo di suolo agricolo, errata pianificazione del territorio) e il futuro di quei luoghi, le città, in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Le tematiche saranno affrontate alla luce delle due Encicliche sociali “Laudato Si” e “Laudate Deum”.
E’ opportuno partire dall’importante messaggio della “Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace” che la “Commissione Episcopale ha formulato per la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che si è celebrata il 10 novembre 2024, nella diocesi di Assisi/Foligno con il Titolo: “La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile”.
La Celebrazione è stata preceduta, sabato 9 novembre, da un Seminario di studio in cui, dopo l’introduzione sul Messaggio dei vescovi a cura di don Bruno Bignami – direttore Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana – sono stati affrontati i seguenti temi: “La terra non sarà distrutta. Una economia capace di speranza non vana” a cura del prof. Luigino Bruni, economista e saggista e “L’innovazione tecnologica e gestionale per un sistema agroalimentare sostenibile e redditizio” a cura del prof. Angelo Riccaboni, docente di economia all’Università di Siena.
Il messaggio è una profonda riflessione sul futuro dell’umanità, sull’attenzione che individualmente e collettivamente dovremmo avere verso il Pianeta, per noi cristiani il Creato, la nostra “Casa Comune” che chiede attenzione e rispetto.
Messaggio per la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento
10 novembre 2024
“La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile”
Nel dipinto Il Seminatore (1888), Van Gogh scambia i colori: il cielo è dorato come la messe matura e la terra che accoglie i semi ha il blu del cielo. Ogni volta che un contadino semina, il cielo viene sulla terra. E il seminatore volge le spalle al tramonto per dirigersi verso un’alba nuova. Nel disorientamento che proviamo mentre ci chiediamo dove siamo e quale direzione prendere, nella terra troviamo la speranza per il domani. Questo senso di fiducia nel futuro si amplifica, da un lato, nella gratitudine per il Creato ma, dall’altro, viene adombrato dalla preoccupazione crescente per uno sfruttamento che mette a rischio l’agricoltura e la vita delle persone.
Quando, durante l’Ultima Cena, Cristo «prese del pane e dopo aver reso grazie, lo spezzò…» (Lc 22, 19), di che cosa ringrazia? Certo, benedice la mensa e il pane che diverrà memoriale della sua Pasqua, della fraternità e della gioia del prendere cibo insieme, ma ringrazia anche di tutti i benefici della creazione: del grano e dei grappoli della vite, della fatica intelligente che li trasforma in cibo e bevanda. La creazione è il dono. Dobbiamo ringraziare per quanto abbiamo ereditato e comprendere quanto questo sia prezioso, soprattutto di fronte agli effetti drammatici della crisi ecologica. La gratitudine, infatti, deve trasformarsi in impegno, in progettualità, in azioni concrete se vogliamo evitare che i paesaggi diventino un lontano ricordo di quello che sono stati e i territori dei frammenti, residuo dello scarto e dell’abbandono.
Solo salvaguardando il terreno e, insieme, le attività agricole e gli agricoltori, può essere perseguito un
uso dinamico ma sostenibile che limiti il consumo e lo spreco di territorio e, allo stesso tempo, tuteli le produzioni alimentari e la biodiversità. Il rinnovamento degli stili di vita è una via possibile e percorribile per supportare le politiche ambientali e ri-orientare l’economia nel segno della sostenibilità e della giustizia. L’agricoltura deve mantenere le sue basi ecologiche, che non ha mai dimenticato, ma che rischia di smarrire se insegue il paradigma tecnocratico, che porta alla ricerca di un modello di produzione volto solo alla massimizzazione del profitto. E, di conseguenza, all’abbandono dei campi, alla dismissione di alcune coltivazioni e, in molti casi, della stessa attività agricola a cui, a causa delle difficoltà strutturali dell’agricoltura nazionale, viene preferita la rendita derivante dal consumo del suolo o dal ritorno del bosco non curato.
Nella cultura agricola, invece, la terra è sempre stata considerata preziosa, tanto che veniva utilizzata
con cura, senza mai essere impoverita pregiudicandone l’uso futuro. I suoi frutti sono sempre stati
destinati a tutti, favorendo la giustizia sociale, con un regime inclusivo delle pratiche agronomiche
autoproduttive e forme di scambio improntate a criteri di reciprocità e solidarietà. Questo patrimonio
di attenzioni e di tradizione non può essere dissipato, in quanto rappresenta uno stimolo per guardare
al futuro e affrontare in modo costruttivo le sfide odierne, dando soluzione a quelle problematiche
che, in varie occasioni, sono state portate alla luce da quanti sono impegnati nel mondo agricolo, che
chiedono un confronto e un dialogo a più voci sul rapporto tra uso della terra, agricoltura, sostenibilità
e tutela del lavoro delle nuove generazioni. Anche la progettualità sostenibile, come l’istallazione di
impianti fotovoltaici, deve vigilare affinché ci sia sempre compatibilità con la produzione agricola.
Sono questioni centrali per il futuro della nostra Europa.
È tempo di fermare il consumo del suolo, in particolare quello agricolo, che va destinato alla produzione di cibo. Le innovazioni, culturali e sociali, possono aiutarci a ricostruire legami con un’identità rurale che può favorire una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’ecologia integrale. Solo così sarà possibile dimorare sulla terra, trovando l’equilibrio tra uomo e natura e rilanciando la centralità dell’essere custodi del Creato e dei fratelli.
È tempo di coinvolgere le nuove generazioni nella cura della terra indirizzando a un diverso modello economico, riducendo sprechi e consumi, riscoprendo le potenzialità delle comunità locali e salvaguardando le conoscenze tradizionali, riconoscendo il giusto compenso ai produttori e raddrizzando le distorsioni dei sussidi.
Il nostro Paese è un laboratorio ideale, per diversità di ambienti e condizioni socioeconomiche, per sperimentare vie nuove nelle tante forme di agricoltura. Vanno sostenuti i molti giovani – anche immigrati – che hanno deciso di intraprendere questa strada tornando alla terra, pure nelle situazioni più difficili della collina interna e della montagna. Facciamo appello ai giovani agricoltori e ai centri di formazione che li preparano a un lavoro qualificato, perché si sentano protagonisti con la loro attività, di questo momento cruciale della storia, nel quale il loro contributo è fondamentale. Troppo spesso gli imprenditori agricoli non sono stati percepiti come una risorsa indispensabile per la produzione di cibo sano, disponibile per tutti e di qualità.
Mentre non possiamo non riconoscere gli elementi di verità esistenti nelle denunce di insostenibilità ambientale e sociale di tanta agricoltura industriale (non per nulla definita agrobusiness), auspichiamo che si promuovano politiche nazionali ed europee che ripropongano corrette riforme agrarie, adeguato riconoscimento economico del lavoro agricolo e del valore dei prodotti agricoli, riduzione degli sprechi dal campo alla tavola, valorizzazione dell’agricoltura familiare. La polarizzazione tra agricoltura convenzionale e biologica o altro non serve: occorre fare rete e integrare, per combattere la dispersione delle comunità, soprattutto di quelle interne del nostro Paese, e dell’ambiente da cui proviene sostentamento e salute per tutti.
Roma, 2 giugno 2024
Solennità del SS. Corpo e Sangue del Signore
La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
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