Michele Iurilli, sacerdote ed educatore del clero lucano

In un articolo de La Discussione, il giornalista Michele Rutigliano suggerisce il metodo educativo seguito dal rettore del seminario regionale di Potenza come modello da assumere nel Sud per il Piano di ripresa e resilienza.

La Discussione fu fondata da Alcide De Gasperi come settimanale di area democristiana e oggi, dopo la fine della DC e di tutti i suoi epigoni, viene pubblicato con periodicità quotidiana, sganciata da ogni appartenenza politica. Michele Rutigliano, lucano di Ferrandina, è uno dei collaboratori del giornale, dopo una lunga carriera giornalistica che lo ha visto impegnato negli uffici stampa del Parlamento, del Quirinale, della Regione Lazio. In un recente articolo sulla Discussione ha accennato alla sua esperienza di alunno del seminario di Potenza, del clima che regnava in quell’ambiente particolare al tempo della sua giovinezza, del grande valore che quell’esperienza potrebbe avere oggi.

Quando era un ragazzo, nella prima metà degli anni Sessanta, Rutigliano manifestò alla famiglia un desiderio improvviso, quasi impellente di verificare un percorso vocazionale. L’intenzione era di diventare prete e da un giorno all’altro – letteralmente – volle essere portato in seminario. L’anno scolastico era già iniziato da qualche giorno e, senza nemmeno dare il tempo alla mamma di preparare i bagagli con gli effetti personali, se ne andò al Pontificio Seminario di Potenza, che si trova sulla via Marconi.

Michele Rutigliano riprende oggi sulla Discussione quanto aveva scritto anni fa in un libro intitolato Alla mirè, edito da Altrimedia e poi ristampato da La Caravella, libro che in uno dei racconti si sofferma sugli anni del seminario, a partire dall’accoglienza ricevuta dal rettore mons. Michele Iurilli il quale, invece di dargli il benvenuto, cominciò a brontolare perché l’alunno non si era presentato in tempo per l’inizio dell’anno scolastico, sottolineando anche che sulla puntualità, in quel posto, non c’era tanto da scherzare. Gli assegnò un letto nella camerata e gli ordinò di raggiungere in fretta la sala dove erano in corso le prove dei canti liturgici. «Non perdere altro tempo» tuonò, «che tu sei già arrivato con due giorni di ritardo».

Dal racconto che se ne fa nel libro sembra di cogliere un certo disappunto per questo trattamento subito all’ingresso in seminario. Ma Rutigliano non pensa quanto sia stato invece fortunato; poteva benissimo capitargli di essere mandato indietro in malo modo, per quella imperdonabile mancanza di puntualità, sulla quale ben poco poteva valere la giustificazione che la decisione di andare in seminario era stata una decisione del tutto improvvisa e imprevedibile, una specie di folgorazione.

Tra le cose memorabili riportate nel libro Alla mirè, l’autore ricorda che il monsignore definiva “infallibile” il metodo educativo cui si ispirava e che consisteva in terribili punizioni e addirittura nella pretesa di controllare il contenuto della corrispondenza che l’alunno seminarista inviava alla propria famiglia; oltre, cosa ancora peggiore, nel leggere pubblicamente le parti della lettera che riteneva censurabili.

Ma qui veniva fuori tutta la particolarità, si potrebbe dire la grandezza, del rettore Iurilli. Perché oggetto di censura non erano affatto le opinioni espresse o le segrete confidenze riportate nella corrispondenza; tutto ciò che egli riteneva censurabile si riduceva, in fondo in fondo, agli errori di ortografia. Che egli chiamava “orrori” perché, appunto, lo facevano inorridire. Iurilli aveva un nemico dichiarato e usava tutta la sua forza – e ne aveva eccome – per combattere questo spregevole nemico: l’ignoranza.

Rutigliano ricorda che Iurilli diceva, senza mezzi termini, che la Chiesa non sa che farsene dei preti ignoranti. Qualcuno troverà questa un’espressione brutale. Ma il sacerdote non arretrava di un passo, era intransigente; per lui, il grande nemico dell’uomo è l’ignoranza. La cosa è confermata anche da altri suoi ex alunni i quali ricordano che poteva capitare di incontrare Iurilli anni dopo, anche vent’anni dopo, e si poteva essere certi di vanire apostrofati per un brutto voto preso in prima media o anche per qualche strafalcione, tipo aver scritto una volta “cartollina” con due elle. Di fonte a “orrori” di questo tipo il metodo “infallibile” usato da Iurilli prevedeva, per esempio, la punizione di dover riscrivere, sotto il suo sguardo minaccioso, per 500-1000-1500 volte l’intera frase contenente l’errore.

Quella del monsignore potrebbe sembrare severità esagerata, un eccesso del suo temperamento; in realtà non c’era niente di tutto questo, se non la volontà di applicare nel modo più rigoroso possibile le disposizioni del Concilio di Trento, allora ancora in vigore, con la quali si era stabilito che per riformare la Chiesa e per porre un argine al dilagare degli scandali, nel modo più risoluto bisognava liberarsi dell’ignoranza del clero.

L’ignoranza impedisce agli uomini di affrontare la realtà con adeguati strumenti di conoscenza. E quindi impedisce di essere veri uomini, di essere cioè dignitosamente adulti. In ultima analisi, impedisce loro di essere liberi e onesti, quindi credibili.

Capitava poi di parlare con lui di quei seminaristi che non avevano corrisposto alle attese, che cioè avevano rinunciato a completare il percorso di formazione in seminario e a diventare preti. In questi casi, egli che pure era un educatore severissimo, sapeva reinterpretare tutto ciò con inaspettata dolcezza. Per dire che comunque lui dei suoi ragazzi ne aveva fatto degli uomini, perfettamente in grado di esercitare la loro libertà. E di questo lui era contento; perché finchè un uomo è libero, ha sempre una possibilità per essere felice.

Perché Michele Rutigliano torna oggi a raccontare questa storia su La Discussione? «Quanta saggezza e lungimiranza nei Seminari di allora!» scrive, «Se Lo Stato avesse seguito quello stesso criterio, oggi, nel Governo della “Res Publica” non avremmo funzionari, politici e amministratori ignoranti. Senza questo piombo nelle ali, staremmo qui a raccontare tutta un’altra storia. Diversa non solo per l’Italia, ma soprattutto per il nostro Mezzogiorno».

Di cosa ha bisogno il nostro paese e il Sud in particolare? A domande come queste solitamente si risponde che c’è bisogno di risorse economiche, di soldi. Anche al Recovery Plan messo a disposizione dall’Unione Europea, il Piano di Ripresa e resilienza, si guarda come a qualcosa che consiste in una promessa di fondi. Ma – sostiene Rutigliano – tutto questo, fossero anche centinaia di miliardi di euro, non basterà se non si avrà un capitale umano su cui investire per generare una vera ricchezza. Un capitale che non potrà crearsi senza uno sforzo educativo straordinario, nel quale bisognerà impegnare tutte le energie disponibili.

Bisognerà dotare le giovani generazioni di tutti gli strumenti necessari per affrontare la realtà in modo che siano capaci di determinare un reale cambiamento. Non si potrà fare tutto questo senza acquisire le conoscenze necessarie e lo spirito necessario per dominare gli scenari futuri, le nuove e complesse tecnologie.

Il metodo “infallibile” di mons. Michele Iurilli, ovviamente, è oggi in larga misura inapplicabile; ma, nel ringraziare Michele Rutigliano per la lucidità di questo suo ricordo personale, lasciamoci infiammare dall’epica crociata di Iurilli contro l’ignoranza che – diciamo la verità – ancora ci condiziona pesantemente, come “piombo nelle ali”.


Mons. Michele Iurilli, è nato a Bari nel 1917 ed è morto a Bari nel 1988. Prelato d’onore di Sua Santità, ha guidato come rettore il Pontificio Seminario Regionale Minore di Potenza e il Seminario Liceale Regionale di Poggio Galeso a Taranto.

Il Pontificio Seminario Regionale di Potenza in una “cartollina” dell’epoca

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Paolo Tritto

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