Matera. La visita-testimonianza di S.B. il Card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca dei latini di Gerusalemme

Dopo la tappa a Rimini – per introdurre il Meeting per l’Amicizia dei Popoli – e a Salerno, nel pomeriggio di venerdì 23 agosto 2024 il patriarca di Gerusalemme dei Latini S.B. il Card. Pizzaballa giunge a Matera per illustrare da testimone oculare lo scenario bellico che martoria la terra in cui si è fatto uomo il Figlio di Dio in modo particolare dallo scorso 7 ottobre
La parola ai vescovi Mons. Carbonaro e Mons. Caiazzo e a S.B. il Card. Pierbattista Pizzaballa

Una Sala Conferenze della Casa di Spiritualità “S. Anna” gremita di popolo lucano desideroso di ascoltare il racconto del conflitto israelo-palestinese attraverso la vivavoce di un testimone d’eccezione, il patriarca di Gerusalemme S.B. il Card. Pierbattista Pizzaballa. “Una persona che sta sul posto e nel silenzio tesse relazioni quotidiane tra ebrei e musulmani con i quali da anni ormai condivide l’esperienza di vita con tutte le problematiche, le sofferenze, le speranze, ma anche le ingiustizie che vengono perpetrate”, sono le parole di Mons. Antonio G. Caiazzo nell’introduzione dell’incontro di cui ha fatto da moderatore.

Un momento così difficile sta vivendo la Terra Santa, a cui Matera è legata a doppio nodo: ad Ain-Karim “è presente un’icona della nostra Madonna della Bruna”, ha evidenziato ancora il nostro arcivescovo, e inoltre Betlemme – alla lettera “casa del pane” – è gemellata con Matera, “città del pane”. Ecco quanto siamo interpellati a farci carico del problema della pace che affligge la Terra Santa.

E “Matera fa anche parte – ha sottolineato nel suo saluto il sindaco dott. Domenico Bennardi – del coordinamento nazionale per i diritti civili e la pace.

“A noi rimane solo la preghiera, forza segreta e potente che arriva al cuore di Dio”, le parole di Mons. Davide Carbonaro, presidente della Conferenza Episcopale di Basilicata, nel prendere la parola per i saluti.

“E se c’è la guerra – ancora Mons. Caiazzo – la colpa non è solo da una parte”.

La guerra del 7 ottobre

Tanti i conflitti nel tempo, ma questa guerra ha un impatto più importante delle precedenti non solo in termini economici, ma in particolare emozionali sulla popolazione.

“Israele è nato come luogo in cui gli Ebrei fossero al sicuro, come fosse casa loro. Eppure, lo scorso 7 ottobre, 1200 Israeliani sono stati uccisi in modo feroce e centinaia sono stati deportati a Gaza ad opera dei Palestinesi: non solo dei combattenti di Hamas ma di tutti i Gazawi (gli abitanti di Gaza, n.d.r.). Un trauma indescrivibile”, sono le parole di S.B. il Card. Pierbattista Pizzaballa.

“Non si è fatta attendere la ritorsione dello stato d’Israele: bombardamenti a tappeto della striscia di Gaza: mancano acqua, elettricità e sistema fognario. Scuole distrutte, perché considerate rifugio dei combattenti di Hamas. Quel poco che non è andato distrutto sta servendo come punto di rifugio e di asserragliamento. Sebbene sui numeri ci sono versioni divergenti, la sostanza non cambia: una guerra che sparge sangue di morti dirette e indirette, ovvero di coloro che muoiono per mancanza di assistenza sanitaria e viveri”, ha continuato il patriarca di Gerusalemme.

“Uno dei problemi per la striscia di Gaza è l’introduzione dei viveri: l’accesso del cibo è limitato ad un solo punto ben definito. Da ottobre utilizziamo cibo a lunga conservazione, senza frutta e verdura”.

“Con l’attacco di Israele a Gaza è iniziato anche l’attacco dal Libano con lanci di razzi quotidiani. E sono pressocché quotidiani gli scontri tra la popolazione palestinese e i coloni ebrei”.

“Divisioni interne che l’Occidente non può capire: non solo ‘contro’ o ‘a favore’ della pace, ma anche legate alla figura dei leader politici rispettivi”.

“Uno dei problemi di questa guerra consiste anche nella mancanza di una visione politica del post-conflitto: 5 milioni di Palestinesi e 7 milioni di Ebrei resteranno lì, gli uni vicino agli altri con tanto carico di odio. E a Gaza ci sono tanti giovani palestinesi che stanno crescendo con l’odio nel cuore per Israele.

L’unica soluzione è portare fuori i Palestinesi, dicono gli Israeliani e il loro motto è ‘insieme vinceremo’: non c’è prospettiva di pace ma di distruggere Hamas, che non è né una persona, né un’organizzazione bensì un’ideologia. Non si può uccidere un pensiero!”.

La Chiesa palestinese

“La Diocesi Palestinese è molto composita: si estende su quattro stati – Giordania, Israele, Palestina e Cipro – con lingue e culture diverse. Alcuni cattolici sono sotto le bombe, altri nell’esercito a combattere. Tutti desideravano che il vescovo parlasse loro: cosa avevano in comune? Abbiamo dovuto lavorare sodo per trovare cosa ci unisse, al di là degli orpelli”.

“A Gaza si contavano all’inizio del conflitto 1017 cristiani, ora sono divenuti 631, tutti asserragliati nel complesso della chiesa adattata a rifugio. Alcuni sono morti sotto le bombe, altri a causa della mancanza di assistenza sanitaria, altri ancora sono scappati – pagando il pizzo – attraverso l’Egitto”.

Ecco ritornare nella mente di molti le parole di apprezzamento e gratitudine che Mons. Davide Carbonaro aveva espresso nel suo saluto iniziale per i cattolici d’Israele “che rimangono in questi luoghi martoriati dalla violenza e continuano ad abitarla, nonostante le innumerevoli difficoltà. Come Maria ai piedi della croce, con tutta la sua statura, su quel lembo di terra bagnato di sangue, anche oggi, innocente”.

“La comunità cattolica – continua Pizzaballa – è privilegiata: il resto della popolazione vive sotto le tende, in questo periodo ci sono 40 °C all’ombra”.

“Gran parte delle attività della Chiesa in Palestina sono sospese: sono tutti stanchi”.

Il dialogo interreligioso

“Gli ebrei non si sono sentiti sostenuti dai cristiani che mai si sono pronunciati sull’eccidio del 7 ottobre scorso o hanno espresso rammarico su quanto sta accadendo.

È un momento di grande crisi in fatto di dialogo religioso, ma che ci insegna – questo un barlume di luce – il metodo da seguire nel post-conflitto: un ecumenismo di ‘comunità’, non di ‘élite’, tra vescovo e rabbino”.

Quale speranza?

“Questa la domanda che spesso mi viene posta.

Gli organismi multilaterali (ONU, Unione Europea…) sono risultati molto impotenti in questa situazione bellica.

Invece, singoli individui, famiglie e associazioni, pur non potendo rovesciare le sorti amare di questo conflitto, sono una rete importante di riferimento dove abitano e si intrecciano persone che non seguono le ‘narrative’ ma cercano di pensare in maniera diversa e perseguire la pace. Gruppi in cui non ci si pone la domanda: tu con chi dei due combattenti stai?

‘Dobbiamo cercare queste persone perché verrà il momento in cui avremo bisogno di loro’, mi diceva un anziano signore. Questo il piccolo resto dal quale potremo ripartire trovando forme e modi per ricostruire quello che in questo momento è distrutto: la fiducia.

Fiducia che nasce non da discorsi, ma da relazioni e gesti concreti. Una situazione allora complicata ma non senza speranza.

Importante il contributo di una Chiesa che costruisce relazioni responsabili, capace di mediare un dialogo interreligioso. A noi cristiani viene detto: ‘Se ci siete anche voi, l’incontro tra musulmani ed ebrei non è più esclusivamente politico, diventa religioso. Poi, voi siete pochi: non avete potere e avete la possibilità di neutralizzare l’elemento politico che in questo momento divide’”.

Un applauso scrosciante conclude la testimonianza dal teatro di guerra e una serie di domande consentono un dialogo arricchente.

Un rosario della Terra Santa è stato consegnato dal Patriarca ai vescovi presenti e al sindaco di Matera. Un versamento per le popolazioni della Terra Santa martoriate dalla guerra verrà effettuato dai vescovi lucani in questi giorni come segno concreto di vicinanza consapevole.

Inoltre, per i cittadini che vogliano contribuire concretamente per un sollievo materiale di sopravvivenza della gente che soffre anche la fame nei territori interessati dalla guerra, si riportano nel seguito gli estremi bancari su cui si possono versare le somme che perverranno direttamente al patriarcato di Gerusalemme:

IBAN: IT78L0538716100000007000272

Intestato ad Arcidiocesi Matera-Irsina

presso BPER Banca

Dopo aver indirizzato all’Assunta una preghiera composta proprio dal Card. Pizzaballa per il dono della riconciliazione e della pace in Terra Santa, tutti tornano a casa con una consapevolezza diversa sullo scenario israeliano.

Sincera gratitudine del Cardinale per la genuina accoglienza

Profonda gratitudine e sincera riconoscenza ha espresso S.B. il Card. Pierbattista Pizzaballa al sindaco e a tutta la comunità di Matera per la calorosa accoglienza, genuina e cordiale, segno tangibile della generosità e del calore umano che caratterizzano il popolo materano.

“La bellezza e la storia di Matera, unite alla spiritualità che si respira nelle sue antiche vie, hanno lasciato in me un’impronta indelebile.

La mia visita è stata arricchita non solo dalla scoperta delle meraviglie culturali e artistiche che la vostra città offre, ma soprattutto dall’incontro con persone che incarnano lo spirito di accoglienza e dialogo che rappresentano il vero cuore della nostra società.

Spero che le nostre strade possano incrociarsi nuovamente in futuro, affinché possiamo continuare a costruire ponti di collaborazione e amicizia tra le nostre comunità”.

Facciamo nostro, all’indomani di questo evento ricco di apprezzamenti, l’auspicio, espresso da Mons. Davide Carbonaro nel saluto iniziale, “che possiamo ricambiare questa visita, sebbene ora possiamo dire, con il salmista, che ‘i nostri piedi si fermano solo alle tue porte, Gerusalemme’.

La pace dobbiamo sostenerla a partire dalla porta accanto, prendendoci cura gli uni degli altri. Cominciamo da noi regalando non pistole di plastica ai nostri figli e a spegnere giochi ma pastelli colorati e offriamo loro la possibilità di disegnare questo mondo con i colori dei sogni e della speranza”.

Si riporta di seguito l’intervento tenuto da S.B. il Card. Pierbattista Pizzaballa:

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Valentina Epifania

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