Sono già partiti i festeggiamenti per celebrare i 30 anni dall’iscrizione nell’Unesco dei Sassi di Matera e del Parco delle chiese rupestri. Ad aprire il ricco calendario di eventi per il trentennale è stata la “sacerdotessa del rock” Patti Smith, che ha scelto Matera per una delle tappe del suo “A Tour Of Italian Days”. Tantissimi i temi che saranno toccati durante gli incontri e gli eventi in programma, che culmineranno sabato 9 dicembre: dal turismo alla cultura, si parlerà di sostenibilità e finanche di cucina e antichi sapori. Ma nessuna traccia di un tema cardine, che ha contribuito pesantemente a dettare la motivazione valsa ai Sassi il riconoscimento di patrimonio mondiale: il sociale.
Per motivare l’iscrizione dei Sassi di Matera nella sua lista, l’Unesco utilizza per la prima volta i concetti che poi raccoglierà nella definizione di Paesaggio culturale. Non un insieme elitario di monumenti, che esalta l’eccellenza del genio di un individuo, ma un ecosistema urbano, in rapporto armonioso con la natura, centrato sulla promozione delle relazioni sociali e mutualistiche tra le persone che lo abitano. Nei Sassi di Matera vengono rovesciate le categorie urbane che siamo abituati a riconoscere: la sua planimetria si sviluppa in verticale invece che in orizzontale, la costruzione lascia spazio ad ambienti scavati nella roccia, adattando grotte e pendii, un’architettura passiva e simbiotica unica nel suo genere.
Qui la scarsità delle risorse diventa occasione di innovazione sociale, la socialità viene disegnata attorno ai beni comuni: è infatti il complesso sistema di raccolta delle acque piovane a disegnare, letteralmente, i vicinati. Veri e propri nuclei di mutualità e inclusione, i vicinati sono le prime cellule sociali di Matera. Le acque piovane vengono convogliate dall’altopiano e, sfruttando la forza di gravità, attraversano un dedalo di canali, vasche di decantazione e palombari. Le linee d’acqua perimetrano così l’abitare sociale, fino a raccogliersi nelle cisterne comuni, attorno a cui si sviluppavano i vicinati.
È ancora leggibile nei Sassi di Matera il paesaggio preistorico, nei labirinti cavernosi, nella gestione delle risorse naturali, ma anche in alcuni tratti dell’organizzazione sociale delle comunità: un modo di vivere lento e sostenibile attento alle relazioni di mutualità e gestione del bene comune, unica via per sopravvivere alla scarsità di risorse.
Un’originale organizzazione sociale centrata sulla cura collettiva dei beni comuni, arrivata ininterrotta dal Paleolitico, ma che non ha retto l’impatto con la modernità. I Sassi negli anni ’50 furono sfollati con una legge speciale del Parlamento, le case divennero di proprietà dello Stato e gli ingressi furono murati per impedire alle persone di tornare a viverci: non arieggiate e oscurate al calore del sole subirono un rapido degrado. i Sassi di Matera divennero il più grande centro storico in Europa completamente abbandonato. Poi – è storia recente – l’ostinata lungimiranza di un circolo culturale, la disobbedienza caparbia di un gruppo di giovani che occupò un quartiere dei Sassi per non consegnarlo all’abbandono, l’iscrizione Unesco, il piano per i Sassi, fino alla nomina di Matera a Capitale europea per la cultura per il 2019, furono i protagonisti della svolta epocale che oggi consegna la bellezza di Matera a (ormai) quasi un milione di turisti all’anno.
I più attenti avranno notato in questo breve excursus tantissimi dei temi più cari a chi si occupa di innovazione sociale. Gestione collettiva dei beni comuni, abbandono e rigenerazione urbana, prorompente intervento statale e sfaldamento del civismo, mutualismo e reciprocità. Matera e i suoi antichi Rioni Sassi sono stati incredibile laboratorio di un Terzo settore che qui – sin dalla Preistoria – è sempre stato il primo. Ora, però, anche solo un pensiero sociale per i Sassi è quasi del tutto assente, se non per il tentativo (nobile) di alcune realtà del privato sociale di provare a sfruttare l’attuale processo di turistificazione per finanziare più canoniche azioni sociali. Un Terzo settore che non riesce a trovare la chiave per riappropriarsi dei suoi antichi rioni e una società che prova a farne a meno, rimpiazzandolo con concerti, spettacoli, pizzerie e convegni.
È possibile rintracciare tante delle intuizioni del modo millenario di intendere l’innovazione sociale a Matera, nelle cooperative e nelle associazioni che animano il Terzo settore locale. È la peculiare traccia genetica del sociale materano che stiamo provando a raccontare con Vita a Sud, che sopravvive e continua ad essere reinterpretata da chi lavora con le fragilità di oggi. Ma se da tempo sono state ormai abbattute le murature che chiudevano le porte delle case, ormai di proprietà demaniale, se la pubblica amministrazione e l’imprenditoria locale sono oggi protagonisti indiscussi della rinascita degli antichi rioni, il Terzo settore, qui, ancora non trova spazio. E finché quelle intuizioni che hanno dato vita millenaria ai Sassi non torneranno a popolarli, sarà vano il tentativo di convincere le famiglie a restare a vivere tra quelle strade impervie, difficile arrestare la musealizzazione che sta trasformando gli antichi Rioni nella Sassyland che sta inghiottendo i processi di rigenerazione che si stavano costruendo.
C’è stato un piano per il ripopolamento delle case nei Sassi, oggi occorre un piano per il ripopolamento delle relazioni sociali nei Sassi, e se è vero che si tratta di un patrimonio universale, questa sfida non può che diventare laboratorio di innovazione sociale per tutto il Paese.
Dal giornale Vita del 6 dicembre 2023
Sassi di Matera, foto di Teodor Kuduschiev su Unsplash
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