“Carissimi,
la storia della nostra comunità è segnata da eventi importanti e significativi, tra questi la data della Dedicazione della nostra Chiesa riedificata, il 31 gennaio 1998.
La memoria grata di questo evento ci fa riflettere sull’importanza della Chiesa per la nostra vita di fede e per tutta la comunità”
sono le parole di don Filippo, parroco di S. Giovanni Bosco, alla comunità locale.
Da una settimana, Marconia è in festa. Celebra l’anniversario di una data importante: la riedificazione della sua parrocchia dopo sette anni di precarietà, dopo sacrifici che hanno unito una comunità.
Come la fine della deportazione per l’antico popolo eletto che ancora oggi ricordiamo ogni anno nella S. Pasqua.
Festeggiare tale evento significa riprendere coscienza di essere comunità che ritrova nella chiesa la sua casa. Rilanciarci per un impegno sempre più autentico.
Ammirare la bellezza delle nuove vetrate che verranno benedette questa sera dall’arcivescovo S. E. Mons. Antonio G. Caiazzo alle ore 18 prima dell’inizio della S. Messa ci invita a rendere sempre più magnifiche le nostre vite.
Riflettere sull’ampiezza degli spazi – fatti di sale, biblioteca, campi da gioco, una grande aula per celebrare “ben strutturata nei suoi focus liturgici”, come qualcuno testimoniava dal microfono 25 anni fa – amplia i confini del nostro cuore e ci invita a strutturare per bene la nostra esistenza.
Non ha senso avere un tempio bello se non si è una comunità bella, accogliente come i luoghi che ci accolgono, calorosi come il tepore che in queste serate d’inverno in essi apprezziamo.
Non ha senso festeggiare una chiesa se non siamo Chiesa.
E allora? E festa sia!
E l’augurio di una vita gioiosa e di autenticità cristiana per ogni figlio di questa comunità per i prossimi 25 anni!
Di seguito alcuni contributi di amici che hanno concorso nel tempo con la loro preziosa presenza ad arricchire la comunità di S. Giovanni Bosco, fatta di una molteplicità di gruppi, associazioni, movimenti, forze propulsive che il parroco don Filippo cerca giorno per giorno di armonizzare.
Per leggere ogni contributo si clicca sul titolo e si apre l’articolo.
La parrocchia san Giovanni Bosco in Marconia di Pisticci si prepara alla
celebrazione della festa del santo Patrono e al XXV Anniversario della Dedicazione
della Chiesa. Quale occasione più bella per portare a termine l’impianto iconografico
della Chiesa, costituito da 12 vivaci e colorate vetrate istoriate.
Le ultime, in fase di installazione, saranno inaugurate proprio il 31 gennaio p.v.
all’inizio di una solenne celebrazione presieduta dall’Arcivescovo di Matera – Irsina,
Mons. Giuseppe Antonio Caiazzo.
Da sempre la Chiesa ha evangelizzato attraverso l’arte, dipingendo le pareti
delle chiese con imponenti cicli pittorici, raffiguranti scene della Bibbia, Antico e
Nuovo Testamento, Vita dei Santi, e che hanno rappresentato una vera e propria
catechesi per immagini, la così detta “Bibbia dei poveri”.
Anche la Chiesa di Marconia, riedificata e inaugurata venticinque anni fa, sin
dall’inizio ha inteso raffigurare scene del Vangelo attraverso il linguaggio della vetrata.
La prima vetrata, al tempo della costruzione della Chiesa, è stata il Rosone
raffigurante Maria Assunta in cielo. Poi negli anni successivi sono state realizzate, alla
destra del presbiterio, due vetrate, alte oltre sette metri, raffiguranti le Nozze di Cana
e la Pentecoste. Alla sinistra del presbiterio altre due vetrate: la Crocifissione e
l’Ultima cena. Nei catini del transetto, a destra la Natività e a sinistra il Battesimo di
Gesù.
Per ricordare l’anno di san Giuseppe, 2021, sono state realizzate, a destra
dell’assemblea, le vetrate dell’Annunciazione e del Sogno di san Giuseppe.
Da ultimo, in questi giorni, alla sinistra dell’assemblea: Le beatitudini e la
Trasfigurazione, mentre, la cappella dedicata a san Giovanni Bosco è corredata dalla
vetrata raffigurante la Creazione, ispirata alla Laudato si’ di papa Francesco.
Gratitudine immensa va alla Comunità tutta che nel tempo, con la propria
generosità, ha permesso di poter realizzare tanto lavoro.
Un ringraziamento particolare va ai Padri Maristi che hanno curato le prime
sette vetrate; alla ditta Vetrate artistiche fiorentine, nella persona di Francesco e
Paolo, per la professionalità e la celerità nella realizzazione, ai Comitati Festa
Madonna delle Grazie che hanno contribuito nel realizzare due vetrate e, infine, a
quanti guardandole si soffermeranno non solo ad ammirarne la bellezza ma a
contemplare e a meditare sui Misteri che ripresentano.
La vetrata delle Beatitudini
Il Vangelo di Matteo al capitolo 5, nel discorso della montagna, elenca otto
beatitudini, un programma di vita cristiana, che i Santi hanno realizzato in pieno,
conformandosi in tutto al Signore Gesù.
La vetrata, infatti, oltre al Maestro, Gesù, raffigura il volto di dieci Santi e Beati.
Dall’alto: san Giovanni Paolo II e Santa Teresa di Calcutta,
San Josè Escriva de Balaguer e san Giuseppe Moscati,
santa Gianna Beretta Molla, Beato don Pino Puglisi, Beata Chiara Luce Badano,
Beato Carlo Acutis, Beato Piergiorgio Frassati, Beato Rosario Livatino.
Un cartiglio riporta una per tutte le beatitudini: “Beati gli artigiani di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio”. L’ultimo pannello in basso, ora solo con vetri
colorati, sarà completato con l’immagine del Venerabile don Tonino Bello.
La vetrata della Trasfigurazione
La scena evangelica della trasfigurazione, profezia della imminente Pasqua del
Figlio di Dio, riporta tutti i personaggi presenti nel racconto: Gesù in vesti bianche,
Mosè con in mano le Tavole della Legge ed Elia con un rotolo profetico, Pietro,
identificato dalle chiavi, Giovanni dal volto di ragazzo, Giacomo che contempla
estasiato. Gesù, raffigurato come risorto, con nelle mani il segno dei chiodi, esprime
bene il senso della Trasfigurazione come anticipo della Pasqua.
La vetrata del Creato
La cappella di san Giovanni Bosco, all’ingresso della Chiesa, è corredata da una
vetrata che raccoglie, in un vortice di luce e di colori, tutta la Creazione, fino a
raffigurare in alto il cielo di Dio, il paradiso. Dal mare abitato da pesci e sormontato
da un sole infuocato, alla terra ricca di semi da cui germoglia l’albero della vita, al di
sopra campeggia la colomba della pace, il cielo stellato e la luna, e il cielo dorato.
La varietà dei colori, dei volti, dei segni ben esprime la ricchezza e la vivacità
della comunità parrocchiale che dalla sua fondazione ha fatto tanto cammino, guidata
all’inizio da don Amedeo Forte, per un breve periodo dall’allora don Pierino
Tamburrano, e per quarantasei anni dai Padri maristi.
Tante opere sono state realizzate ma, soprattutto, tanta grazia di Dio ha
arricchito le anime e rende ancora oggi viva e feconda, anche di vocazioni, tutta la
parrocchia.
A Dio, datore di ogni bene, al Figlio Gesù salvatore e allo Spirito Santo sia gloria
nei secoli dei secoli.
Era il 31 gennaio 1998 ed io, giovane studentessa all’Università di Roma, ma da sempre legata alla mia parrocchia d’origine San Giovanni Bosco, mi misi in viaggio verso Marconia per essere presente alla solenne celebrazione della Dedicazione della nuova Chiesa, finalmente pronta dopo diversi anni di “precarietà”.
Il parroco di quegli anni era p. Michelangelo Cicalese e il vescovo Mons. Antonio Ciliberti: nei miei ricordi e nel mio cuore è ancora viva l’immagine dei loro occhi felici e della loro gioia per quanto si stava celebrando.
Sono passati 25 anni da quel giorno, io non sono più una studentessa universitaria, ma sono moglie di Berardino, che sta scrivendo con me questi ricordi, perché presente anche lui in quegli anni, e mamma di Marianna e Pierpaolo, che con tanti altri ragazzi della loro età hanno vissuto infiniti momenti in questa parrocchia e in questa Chiesa, a partire dal loro Battesimo, al percorso come Ministranti, al servizio all’altare, alla Prima Comunione, alla Cresima e a tanti altri momenti belli e significativi per la loro crescita.
Quanti volti e quante storie ha raccolto la Chiesa San Giovanni Bosco!
Tanti matrimoni sono stati celebrati, a tanti bambini sono stati donati i Sacramenti, tanti nostri fratelli e familiari hanno ricevuto l’ultimo saluto, tante famiglie sono state aiutate in momenti di difficoltà, tanti ammalati sono stati confortati nelle loro sofferenze.
È una chiesa bella, luminosa, curata e amata dai tanto cari Padri Maristi, che fino a qualche anno fa sono stati tra noi come guide e pastori, ma è ancor di più un tempio santo, fatto di pietre vive, che con passione, amore e dedizione, sotto la guida dei nostri sacerdoti don Filippo, don Massimiliano e don Fabio e delle nostre Suore Missionarie Mariste, si dedicano a costruire, seppur con fatica, il regno di Dio in mezzo a noi.
Queste poche righe non vogliono essere celebrative, ma semplicemente una testimonianza della bellezza della Parola di Dio, che ogni giorno viene proclamata nella nostra Chiesa e portata fuori dalle sue mura da tanti uomini e donne di buona volontà, che si dedicano al servizio della catechesi, della liturgia, del canto, dell’animazione, della cura ai poveri e agli ammalati e in generale a rendere bella la vita di tutta la comunità.
Auguri a tutti noi per questo momento di gioia e di festa, ma soprattutto auguri alla nostra comunità per altri anni ancora di servizio e testimonianza, soprattutto ai fratelli lontani, che cercano in noi un modello ed un esempio, ma anche un aiuto e una guida per affrontare le tante sfide che la vita ci presenta ogni giorno.
Io, da catechista, e Berardino, oltre che catechista anche da insegnante, sentiamo di augurare soprattutto ai tanti bambini e ragazzi di Marconia di entrare nella nostra Chiesa e trovare amicizia, allegria e accoglienza.
“Se vuoi che i giovani facciano quello che tu ami, ama quello che piace ai giovani”…
sia don Bosco il nostro maestro e la Beata Vergine Maria il nostro modello.
Rosalia e Berardino Vinci
Era il 31 gennaio 1998 quando S.E. Mons. Antonio Ciliberti consacrava la nostra chiesa dedicandola a S. Giovanni Bosco. E oggi festeggiamo il suo 25° compleanno!
Per la nostra comunità, e soprattutto per noi giovani, questo è giorno di festa, un grandioso avvenimento di fede e di gratitudine verso nostro Signore Gesù Cristo e la Vergine Maria da noi invocata con il nome di Madonna delle Grazie.
Molti ricordano ancora la celebrazione solenne della dedicazione che ha reso quell’edificio sacro per sempre, luogo di incontro di giovani e anziani in un unico corpo che è la Chiesa, dove ci si dedica al servizio di Dio, all’assistenza dei poveri, alla catechesi. Casa di preghiera, dove invocare il Suo nome, nutrirsi della Sua Parola, vivere dei sacramenti.
Papa Benedetto disse: “La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da lui e non può essere da lui separata. Con lui anche noi siamo pietre vive costruite come edificio spirituale, luogo di dimora per Dio (Ef 2,20-22)”.
Attraverso il segno del tempio siamo incoraggiati ad essere pietre vive.
In 25 anni, da quel giorno, molto è stato fatto per noi giovani.
Questa chiesa ha accolto e ha fatto crescere tante generazioni che ora rendono armoniosa e forte la nostra comunità.
Sul suo sagrato sono passati tanti bambini: hanno giocato, sono cresciuti, molti hanno creato famiglia, altri hanno accolto o stanno accogliendo un’altra vocazione… scelte diverse che portano tanto frutto.
I giovani di allora, certo sono diversi da adesso, com’è giusto che sia: ogni generazione ha i suoi aneliti e lascia il suo profumo.
Ogni luogo della nostra chiesa è stato ed è uno spazio utile per la crescita della fede di noi giovani. L’oratorio è ancora oggi un luogo non solo di gioco e ritrovo ma, come voleva il nostro S. Giovanni Bosco, anche di raccoglimento e preghiera, perché recitando magari un rosario prima di giocare i giovani diventassero “buoni cristiani e onesti cittadini”.
È importante per noi giovani essere incoraggiati e non crescere in un ambiente di sfiducia che distrugge ogni sogno e ogni forma di speranza. Aiutateci con la preghiera a costruire un mondo migliore come Dio lo ha pensato nel suo progetto di amore per i suoi figli.
Gabriella Lauria
Quale dono più bello per una comunità di un prete che da essa viene generato? Figlio della comunità parrocchiale di S. Giovanni Bosco è don Antonio Di Leo, di cui di seguito una breve video intervista, ricca di spunti e di inediti e bei particolari.
E sono in cammino verso il sacerdozio altri due giovani di “S. Giovanni Bosco” presso il Seminario Maggiore Interdiocesano di Basilicata: Carlo Casalaspro, al quinto anno, e Nicola Zaffarese, al secondo. La preghiera di noi amici della Diocesi per loro non può mancare né per loro né perché ogni giovane risponda con generosa gioia alla chiamata che il Signore gli volge.
Sono passati già venticinque anni dalla riedificazione e inaugurazione della nostra Chiesa.
Non possiamo dimenticare la gioia provata nel vedere la nostra nuova “casa”. Si, perché per noi, dell’Azione Cattolica, la Chiesa e la parrocchia sono la nostra “casa”.
In questi venticinque anni ci siamo presi cura di questa casa.
Non è stato facile! Eppure sempre nuove persone, adulti, giovani, ragazzi hanno desiderato fanne parte.
Insieme ai nostri Pastori, ci siamo impegnati a vivere, ciascuno a propria misura e in forma comunitaria, l’esperienza di fede, l’annuncio del Vangelo e la chiamata alla santità.
Il cammino di AC ci ha permesso di conoscere Gesù, la bellezza della sua Parola in modo gioioso e concreto.
Abbiamo cercato, sempre, di accogliere, coinvolgere e avvicinare le persone più fragili, spesso sole e la ricompensa più grande è sempre stata il sorriso e la gratitudine.
Andare avanti anche nelle difficoltà, pensare alle nuove generazioni, riscoprire se stessi, imparare dagli altri – dai bambini, dagli adulti, dagli anziani -, collaborare, crescere insieme ci ha resi una vera “squadra”.
Il gioco, la preghiera, i momenti di Adorazione, la Celebrazione Eucaristica, la formazione, gli incontri diocesani, il Grest… sono tutte espressioni del nostro servizio umile, senza clamori, ma senza dubbio, concreto ed efficace, sorretto da una fede semplice e autentica.
Il gruppo degli adulti, in particolare le mamme della nostra associazione, sentono forte l’identità associativa e ne hanno fatto prerogativa della propria vita a servizio della Chiesa e di chiunque incroci il loro cammino. Sempre pronte a sostenere, con il loro silenzioso operato ogni iniziativa dei giovani e dei ragazzi, disposte a rammendare e a intessere trame, a impastare, creando occasioni di ascolto e di testimonianza viva anche nelle situazioni più ordinarie, con lo spirito di chi sa che in Dio vi è conforto, sostegno, riparo.
A noi sta a cuore la nostra parrocchia “la Chiesa in mezzo alle case, in mezzo al popolo” come ci ricorda Papa Francesco e ci auguriamo, per i prossimi anni, di diventare sempre più “credenti, responsabili e credibili”.
Buon venticinquesimo a tutta la comunità!
L’Azione Cattolica Parrocchiale
La parrocchia di Marconia venne affidata ai maristi nel 1974. Sei parroci, affiancati da una dozzina di viceparroci, sino al 2020 hanno animato questa comunità nello sforzo di coltivare nella Comunità una fede “semplice come Maria”.
Di seguito una breve testimonianza di p. Giovanni Danesin, ultimo parroco marista (2012-2020).
In ottobre 2020 i padri maristi è chiesto di ripartire: p. Giovanni a Roma dov’è parroco, p. Lorenzo diviene cappellano del carcere di Pratola Peligna (AQ). Si è insediato, così, don Filippo Lombardi, prima coadiuvato da don Alberto Delli Veneri (sino ad ottobre 2022), ora da don Massimiliano Nanna e don Fabio Vena.
Per noi, “ragazzi” del ’58, la chiesa San Giovanni Bosco di Marconia è il simbolo della nostra storia a tutto tondo: è stata, per tutti, la casa della crescita spirituale e sociale; il punto di riferimento degli “sfollati” del rione Croci di Pisticci; il luogo nel quale abbiamo costruito il nostro futuro.
Nessuno può aver dimenticato i giochi sul sagrato (allora sopraelevato di soli 3 gradini) e le liti superbe, di aspiranti “diaconi”, per fare il chierichetto e nessuno può aver cancellato dalla propria memoria l’emozione che avvampò piccoli e adulti quando, nel 1970, don Pierino Tamburrano donò alla comunità il Crocifisso del maestro Alfredo Innocenzi e che oggi, grazie alla sensibilità di don Filippo Lombardi, è di nuovo in chiesa dopo anni di esilio incompreso.
Se si nutrivano dubbi o si aveva bisogno di un consiglio c’era sempre “un prete per chiacchierar” anche quando la popolazione soffriva perché a causa dei lavori di ristrutturazione non c’era più la chiesa e le funzioni religiose si svolgevano in un vicino locale messo a disposizione dall’amministrazione comunale.
Negli ultimi 5 lustri qualcosa è cambiato, non c’è più la “chiesa domestica” degli anni ’50, quando fu costruita, ma c’è un edificio moderno, con un aspetto imponente e un ampio sagrato da cui si può osservare la piazza principale.
Le vetrate lungo le pareti impreziosiscono il luogo sacro e vengono apprezzate dai visitatori che soprattutto nel periodo estivo non mancano. Diversi sono stati i religiosi che si sono avvicendati alla guida della parrocchia e di tutti la comunità conserva un buon ricordo. Il cambiamento strutturale e l’avvicendarsi dei diversi sacerdoti non ha però modificato il ruolo della parrocchia che continua ad essere un punto di riferimento per gli abitanti e a svolgere una grande funzione sociale sostenendo persone in difficoltà siano esse praticanti o meno. Collabora con le altre associazioni presenti nel territorio accettando le sfide dei nuovi tempi e apre le porte a tutti perché l’importante oggi è trovare nuove strade, come suggerisce papa Francesco.
Giovanni Di Lena
Strano destino quello di Marconia che, nonostante la giovane età, conta tre edifici religiosi sorti nel medesimo sito. Il presente contributo, intende raccontare brevemente la storia degli edifici intorno a cui è cresciuta la comunità.
Non ci sono dubbi che la colonia confinaria di Bosco Salice, sorta nel 1940 a completamento della bonifica[1] che il regime fascista andava proponendo per ruralizzare il Paese, avesse un pur piccolo luogo di culto come in ogni contrada che in quel periodo sorgeva in Italia e nelle colonie d’oltremare; lo stesso Centro Colonico Villaggio Marconi, l’attuale Centro Agricolo (1937- 38), ha la chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù a chiusura del fronte opposto alla strada provinciale. [2]
Secondo Ferruccio Canali e Virgilio Carmine Galati che si sono occupati di plantatio ecclesiae nelle città di fondazione del Ventennio, la colonia confinaria di Bosco Salice era dotata di una cappella appena fuori l’ambito di quella che attualmente è piazza Elettra; essi dicono «Il lotto per la chiesa, in posizione un po’ disassata, di fronte alla Casa del Fascio, in questo caso non occupava una localizzazione preminente, poiché si intendeva, per ovvi motivi, fornire al fulcro politico, con l’annessa caserma della Milizia, il risalto principale nella composizione urbana».[3] Evidentemente, la cappella è l’inequivocabile segno della fondazione della comunità cattolica in Bosco Salice o, come è più esatto dire, è il segno della plantatio ecclesiae, del radicamento della chiesa “di persone” in un territorio in via di antropizzazione.
Tuttavia, la chiesa di cui si ha memoria, è quella che l’architetto Salvatore Masciandaro ultimò nel 1958 e che, nel 1991 fu demolita a causa di cedimenti strutturali dovuti soprattutto a difetti di costruzione, aggravati dalle scosse del sisma del 1980.[4]
Con la fine del Fascismo il 25 luglio del 1943, la colonia confinaria aveva cessato la propria attività ma, prima di vedere la nuova interpretazione, occorrerà attendere la Liberazione del 25 aprile 1945, quindi la fine della guerra nel settembre del 1945, la nascita della Repubblica il 2 giugno 1946 e la promulgazione della Costituzione repubblicana che entrò in vigore il 1° gennaio 1948. In questi anni di ri – nascita e ri – costruzione del Paese, la ex colonia confinaria fu vissuta dai contadini che coltivavano i terreni bonificati, tra cui erano ex confinati che avevano deciso di rimanere in questo territorio, evidentemente considerato accogliente. Tuttavia, prima che Bosco Salice cambi nome, bisognerà attendere il Decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 1956, n. 262 (Attribuzione ufficiale della denominazione “Marconia” ad una frazione del Comune di Pisticci – Matera); grazie ad esso, l’insediamento di Bosco Salice si chiamerà definitivamente Marconia in onore di Guglielmo Marconi scomparso nel 1937.
Nel 1958, la chiesa di Masciandaro era sostanzialmente laddove è l’attuale e, come questa, aveva ingresso a sud-est e presbiterio a nord-ovest.
L’architetto, che è l’autore di altre chiese della Diocesi di Matera – Irsina tra cui quella della Madonna del Carmine a Tinchi (Pisticci), quelle della Santissima Addolorata, san Paolo Apostolo e Cristo Re a Matera, Mater Ecclesiae a Bernalda, a Marconia propose un impianto ecclesiologico basilicale in cui prevaleva la dimensione longitudinale su quella trasversale. Procedendo dal sagrato sollevato su tre gradini, era il porticato con tre fornici arcuati, il vestibolo e l’aula liturgica a navata unica. A sinistra era il battistero a forma di semi-ottagono saldato alla parete e a metà aula erano due cappelle che si fronteggiavano. Sul fondo leggermente concavo, era il presbiterio alto due gradini a cui se ne aggiungeva un terzo dove, prima che venisse adeguato alle norme liturgiche del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962 – 1965), era l’altare versus absidem. Dell’apparato tridentino, dopo l’adeguamento liturgico rimase la custodia del Santissimo Sacramento al centro della concavità e quindi allineata all’altare versus populum. Il concavo muro absidale non era estradossato in quanto, all’esterno, era un alto muro piano che conteneva dodici finestre divise in due ordini: il primo illuminava l’ambiente di servizio dietro l’abside e il secondo illuminava l’aula. A sormonto del muro concavo era un soppalco a cui si accedeva attraverso una scala a sinistra; inoltre vi era un secondo soppalco al di sopra del vestibolo, probabilmente pensato per ospitare un organo a canne che non fu mai collocato. A questo soppalco si giungeva da una scala all’interno del campanile che, chiudendo il lato sud-ovest, si offriva interamente alla vicina piazza. L’aula era illuminata dalle sei finestre absidali, da sei finestre sul fronte principale (cinque arcuate e una circolare) e da venti finestre a losanga distribuite al centro dei lati lunghi.
Le travi e i pilastri in cemento armato, erano estradossati all’interno e soprattutto all’esterno; al momento della demolizione, erano di colore grigio su ampie superfici bianche.
Come detto, questa chiesa fu demolita nel 1991 per essere sostituita da quella attuale, progettata dall’ing. Saverio Riccardi in qualità di funzionario del Provveditorato alle Opere Pubbliche di Basilicata (ufficio di Matera) e consacrata il 31 gennaio 1998. Propone sostanzialmente lo stesso impianto tipologico e quindi il medesimo impianto ecclesiologico basilicale; è orientata come la precedente ma, a differenza di quella, presenta un alto sagrato per aerare la cripta prima inesistente. Al posto del porticato su pilastri, ha un esonartece a cui segue il vestibolo che, per dimensioni, è assimilabile ad un endonartece. Come la precedente, rivela il campanile alla piazza dallo spigolo sud. Il fonte battesimale di forma ottagonale è nella cappella destra, mentre il coro è nella cappella sinistra. Anche qui, il muro absidale è concavo e non è denunciato all’esterno dove, invece, è un ampio muro piano con cinque finestre invisibili all’interno. Ancora come la precedente, il vestibolo è sormontato da soppalco con accesso dalle scale della torre campanaria. L’illuminazione naturale è affidata alle finestre del tiburio centrale e a dieci finestroni stretti a tutta altezza che ospitano vetri istoriati (quelli a destra dell’ingresso, sono stati inseriti in occasione del venticinquesimo anniversario che si sta vivendo in questi giorni). La sacra effige di san Giovanni Bosco a cui la chiesa è dedicata, è stata collocata a destra dell’endonartece, ovvero in prossimità del confessionale; la vetrata policroma che fa da sfondo all’effige è stata collocata anche in occasione del venticinquesimo. Il pavimento è in marmo Trani Filetto Rosso Ionico con fasce a croce in travertino Persiano; all’inizio è lo stemma con la scritta “Sub Mariae nomine” che, voluto dai padri Maristi, testimonia il loro lungo ministero pastorale. Il controsoffitto è in legno bugnato separato dal luminoso tiburio.
Il 25 marzo 2022, è stato inaugurato il nuovo sagrato progettato da chi scrive, al posto del precedente ormai diffusamente dissestato. Oltre alla nuova scala meno inclinata della precedente e perciò più sicura, è stata realizzata la nuova rampa per i diversamente abili all’interno della quale è una sorta di “sacello” con la sacra effige di san Pio da Pietrelcina. A differenza della versione precedente, il sagrato si rivela sia all’ala nord-ovest del porticato della piazza e sia alla stessa piazza, ripristinando il tradizionale rapporto tra architettura chiesastica e luogo pubblico.
Orbene, intorno a questi tre edifici cultuali, negli anni si è strutturata la comunità cattolica di Marconia che, guidata da pastori diocesani e religiosi, deriva dalla religiosità popolare di Pisticci e da quella innestata dai forestieri che qui, sebbene confinati, furono accolti con fraterna amicizia.
[1] Altre due componenti erano le quote agrarie sui terreni bonificati con le case coloniche (i cosiddetti caselli) e il Centro Colonico Villaggio Marconi, oggi Centro Agricolo, lungo la strada provinciale Pisticci – San Basilio.
[2] In origine, la chiesa era intitolata al Santissimo Sacramento e il servizio religioso era assicurato da preti italiani e croati confinati (fonte: Arcidiocesi di Matera – Irsina in sito www.chiesadimaterairsina.it). Va ricordato che a Tinchi, già nel 1929, la maestra di scuole elementari Angelina Lo Dico, fece realizzare la cappella dedicata a Cristo Re; inoltre, l’intensa fede della comunità contadina è rivelata dal gran numero di cappelle rurali sparse nel territorio collinare a servizio delle contrade.
[3] Ferruccio Canali e Virgilio Carmine Galati, “Tra Adriatico e Ionio (1924 – 1942)” in Pasquale Culotta, Giuliano e Glauco Gresleri “Città di fondazione e plantatio ecclesiae”, Editrice compositori, Bologna, 2007, pp. 168 – 169
[4] Per quanto riguarda i difetti di costruzione, questi furono denunciati con sufficiente anticipo dal parroco don Amedeo Forte al Vescovo del tempo, Monsignore Giacomo Palombella che, purtroppo, non gli credette. Tra i due nacque una sostanziale diffidenza che ebbe, come conseguenza, l’interdizione del prete a celebrare i Santi Misteri per un certo periodo. A distanza di oltre un trentennio, i fatti diedero ragione a don Forte: a causa dei difetti di costruzione, l’edificio rivelò talmente tanti gravi dissesti che fecero decidere di demolirlo.
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