Manifesto di Ventotene: malumori che vengono da lontano

La questione della democrazia nei differenti punti di vista tra maggioranza e opposizione

Le affermazioni di Giorgia Meloni riguardo al Manifesto di Ventotene espresse durante il suo intervento nell’Aula di Montecitorio del 19 marzo hanno suscitato vive proteste, come sappiamo, tra i banchi dell’opposizione, occupando per un bel po’ le prime pagine dei giornali.

Con le sue parole, il presidente del Consiglio intendeva dissociarsi dalle dichiarazioni del parlamentare Giuseppe Provenzano, intervenuto poco prima nello stesso dibattito in aula, secondo il quale «mai come oggi per noi è attuale lo spirito del Manifesto di Ventotene», spirito che sarebbe emerso, a parere del parlamentare, nella manifestazione per l’Europa che si era tenuta a Roma nel sabato precedente.

A proposito delle idee europeiste del Manifesto di Ventotene, tirato in ballo da Provenzano, Giorgia Meloni ha affermato in maniera perentoria: «Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia». Rigettando dunque lo spirito di Ventotene secondo il quale – sono le parole testuali del Manifesto riprese dal presidente – «Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. […] Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e, attorno ad esso, la nuova (…) democrazia».

Ovviamente, quando si parla di “dittatura del partito rivoluzionario” è inevitabile che venga in mente lo spettro della rivoluzione bolscevica e in questo senso la presa di distanza di Giorgia Meloni non avrebbe dovuto sorprendere più di tanto.

Tuttavia, l’approfondimento del testo avrebbe chiarito manifestatamente che l’intento degli estensori del Manifesto non voleva riferirsi al partito bolscevico bensì ad un partito di persone che vogliono formare  «un nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia», nel senso moderno dello Stato nascente proposto da Francesco Alberoni.

Ma in fondo nemmeno la questione di Ventotene in sé avrebbe dovuto sorprendere. Perché si tratta di una disputa che ha radici lontane e tutto era partito ben prima della manifestazione “pro Europa” di sabato 15 marzo. La questione era stata posta con forza, per esempio, nell’agosto scorso durante il Meeting di Rimini, in un clima certamente meno infuocato rispetto a quello che si è visto a Montecitorio ma anche in quel caso non senza una certa vivacità.

Al Meeting 2024, il dibattito sul tema “Cantiere Europa” ha visto la partecipazione di Antonio Decaro, presidente Commissione ENVI al Parlamento Europeo; Carlo Fidanza, capo delegazione FdI del Gruppo ECR; Nicola Procaccini, co-presidente del Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR); Massimiliano Salini, vicepresidente del Gruppo PPE; Antonella Sberna, vicepresidente Parlamento europeo.

Nel corso del dibattito riminese, è stato proprio il neo europarlamentare barese a tirare fuori il Manifesto di Ventotene. La cosa non otteneva il consenso degli altri relatori presenti e probabilmente Decaro non si aspettava che la sua idea potesse essere rifiutata in termini netti, ritenendo ovvio il consenso attorno all’utopia federalista di Ventotene. Antonio Decaro diceva: «Io credo ancora all’Europa come l’avevano immaginata Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene. Secondo me, quel Manifesto è ancora oggi la guida più importante per chi svolge questa attività nel Parlamento Europeo. Dobbiamo impegnarci nella costruzione di quella che chiamavano “un’anima europea”, che deve prevalere sugli egoismi nazionali, nel nome della solidarietà, della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale».

Dopo Antonio Decaro, a Rimini prendeva la parola Nicola Procaccini, del gruppo dei Conservatori e Riformisti dell’Europarlamento ma che nella politica nazionale fa riferimento a Fratelli d’Italia. Il quale diceva: «Metto un po’ di pepe, tanto so che Antonio potrà poi replicare in un secondo giro, altrimenti non mi permetterei. Quando sento parlare del Manifesto di Ventotene, beh, mi si drizzano i capelli, come vedete. Perché il Manifesto di Ventotene propugna l’abolizione delle nazioni. Vedo, è scritto nero su bianco. È un ideale che rispetto, ma che è diverso dal mio».

Al di là dell’ironia sui capelli che si drizzano – l’onorevole Procaccini è completamente calvo – si può vedere benissimo che la conclusione della frase è sostanzialmente identica a quella pronunciata dalla Meloni e che ha fatto tanto scalpore. Per dire come la critica a Ventotene da parte del governo covasse già da tempo e che non è affatto questione marginale; non può essere considerata una banale levata di scudi durante un dibattito parlamentare. È davvero interessante conoscerne le ragioni e come queste ragioni siano maturate.

Ragioni che da un po’ di tempo serpeggiavano e di cui se n’è occupato particolarmente Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; il quale è, con ogni probabilità, il vero suggeritore dell’anatema della Meloni su Ventotene. Mantovano su questo era andato giù in maniera dura nel corso di un evento organizzato nel 2023 dal mensile Tempi – siamo anche in questo caso nell’orbita del popolo del Meeting di Rimini.

In quella occasione, il sottosegretario aveva ripreso alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene nel quale egli diceva di cogliere un senso di sfiducia verso il metodo democratico e verso il valore del consenso popolare nella vita politica italiana.

Secondo l’interpretazione di Mantovano, per gli ispiratori del Manifesto di Ventotene il popolo italiano non sarebbe depositario di valori autenticamente democratici o almeno del modello di democrazia secondo i principi ispiratori della Rivoluzione francese.

Mantovano attribuisce per questo un significato sostanziale al passaggio del Manifesto dove si sostiene che in determinate circostanze «la prassi democratica fallisce clamorosamente». Vedendo, in questo, il tentativo di contrastare la sovranità popolare, o addirittura un vero attentato alla democrazia. Sono affermazioni, da ambo le parti, indubbiamente forti ma non prive di un concreto fondamento storico.

Queste ragioni meritano sicuramente di essere approfondite. Intanto si può già fare notare come se da parte della sinistra si attribuisce al governo una scarsa sensibilità democratica per quella radice fascista che le viene attribuita, in maniera speculare è il governo che vede nell’opposizione un rifiuto delle regole democratiche e della sovranità popolare come viene espressa nelle urne, in ragione di superiori principi democratici stabiliti nei circoli di intellettuali illuminati. In parole povere, al netto di un processo di attualizzazione dei contenuti del Manifesto che entrambe le parti sembra non abbiano fatto, da posizioni diverse e ognuno con le sue ragioni, ci si accusa reciprocamente della medesima cosa: di rifiutare la democrazia. Un nodo che non è facile sciogliere ma che è il vero problema che oggi bisogna sciogliere per fare quel passo avanti per avere una democrazia compiuta in Italia.

Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20-21 marzo 2025
Il Presidente Meloni alla Camera
Immagine con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

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Paolo Tritto

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