La curiosa sorte di Jean Effel, disegnatore comunista

Le sue vignette, circa novecento tavole, fecero conoscere il racconto biblico del Genesi - anche nei paesi del “socialismo reale” - presentando un Dio come un padre premuroso che si prende cura amorevolmente delle sue creature.

Non è strano che quanti lavorano nelle arti creative mostrino interesse verso l’opera della creazione, intesa come creazione del mondo da parte del Creatore, opera che consapevolmente o no cercano di imitare. Questo in genere non è molto strano, ma nel caso di Jean Effel strano lo è certamente.

Vissuto in Francia dal 1908 al 1982, François Lejeune quando era giovane avrebbe voluto dedicarsi alla pittura o al teatro. Non ci riuscì, ma con lo pseudonimo di Jean Effel si fece strada come disegnatore umoristico e illustratore, lavorando anche nel campo della pubblicità e della grafica, compresa l’illustrazione delle copertine dei dischi – allora il mercato discografico era un bel business.

Di fede comunista, ebbe modo di collaborare con giornali di sinistra come Le Canard Enchêné e L’Humanité, oltre a numerosi altri giornali, non soltanto francesi. Su posizioni pacifiste – negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale prevalente era la componente pacifista nei movimenti di sinistra – fu anche molto attivo, com’era naturale, nella difesa dei diritti dei lavoratori.

Il suo supporto alle battaglie in favore della scuola pubblica e della laicità dell’insegnamento portate avanti dalla sinistra francese lo metteva in opposizione alle istanze della Chiesa sulla libertà di educazione. Nonostante ciò, Jean Effel finirà per essere ricordato quasi esclusivamente per le simpatiche vignette che disegnava, tutte rigorosamente fedeli al racconto biblico del Genesi, sui sette giorni della creazione. Anzi, a essere precisi, sui primi sei giorni; del settimo – scrisse – c’era poco da dire perché, com’è noto, nell’ultimo giorno il Signore si riposò.

In parte si tratta di un’incongruenza spiegabile alla luce della sua idea di presentare Dio nel suo aspetto antropomorfo e come un Dio-operaio che di fronte al gravoso compito di creare il mondo, da buon lavoratore non esita a rimboccarsi le maniche. Un Dio che per questo agli occhi di Jean Effel doveva sembrare, in un certo senso, un degno esponente della classe operaia; un po’ il compagno-Dio, per intendersi.

Ma, a parte questo, resta avvolto nel mistero che un comunista come Jean Effel possa passare alla storia dei fumetti per le sue ineccepibili rappresentazioni di Dio Padre, circa novecento tavole. Probabilmente non si troverà niente di più cattolico nel mondo delle illustrazioni di quanto lo siano le sue vignette, almeno guardando alla Chiesa com’è uscita dal Concilio Vaticano II.

Per la verità, su quello che avveniva al Concilio, anche qui non si sa come, questo disegnatore finì per ottenere informazioni di prima mano. Alcuni ecclesiastici, pungolati da giornalisti vaticanisti, a margine dei lavori dell’assise conciliare si lasciavano andare, come sono soliti fare i preti, a battute e frecciatine all’indirizzo di qualche padre conciliare che intendevano mettere alla berlina per qualche ragione. Questi aneddoti poi furono raccolti in un libro, Le “bolle” del Concilio, e a Effel fu chiesto di curare le illustrazioni. L’editore italiano del libro, il torinese Piero Gribaudi, oltre a sottolineare che i frizzi dei preti sul Concilio non erano un granché dal punto di vista umoristico, a proposito di Effel ricorda: «La storiella di p. 76, “Con la più grande agilità”, riguardante un nuovo tipo di danza inventata da Paolo VI, mi costò un richiamo del S. Uffizio che mi venne trasmesso dal Card. Pellegrino senza commento».

A parte questa parentesi, nemmeno tanto significativa, non è nell’ambiente ecclesiale che Effel trovò il suo trampolino di lancio. Com’era del resto inevitabile considerando le sue idee politiche, tra gli anni Cinquanta e Sessanta egli finì oltrecortina, nell’orbita cioè dei paesi comunisti, particolarmente della Cecoslovacchia. Le sue vignette sul Padreterno furono accolte favorevolmente in tutti i paesi dell’Est europeo.

Tanta era la sua popolarità da essere consacrata dai ritratti della nota fotografa ceca Marie Šechtlová, una specie di Cartier-Bresson dei paesi comunisti la quale diceva di volere, con la sua fotocamera, trovare la poesia. E in Jean Effel certamente c’era tanta di quella poesia che lei cercava.

Nessuno poteva aspettarsi un successo del genere in tale contesto. Perché Jean Effel era comunque un autore che veniva da un paese capitalista, perché i personaggi che disegnava erano tutti nudi e perché le sue storie erano ispirate alla sacra scrittura. Si trattava di tre tabù inviolabili per la severa censura comunista di un paese che, per giunta, professava l’ateismo di Stato.

A Effel capitò di trasgredire tutti questi tabù in un colpo solo. Un giorno era con la fotografa Marie Šechtlová alla presenza di suo marito alla quale Effel si rivolse per farle dono di un suo nuovo libro ma anche per avere una valutazione su quanto prevedibilmente avrebbe potuto incassare dai diritti per la diffusione di quel libro in Cecoslovacchia; “quanto mi daranno per questo libro?” chiese. Lo interruppe il marito della Šechtlová: “vent’anni ti daranno”. Effel invece riuscì a farla franca.

I libretti sulla creazione del mondo ebbero una diffusione enorme soprattutto in Unione Sovietica dove andavano via come il pane e con tirature dieci volte superiori a quelle, pur rilevanti, del mercato editoriale francese. Tanto che, nel 1958, una produzione cecoslovacca decise di ricavarne un film a cartoni animati, intitolato ovviamente “La creazione del mondo”. Un film che sarà distribuito anche in Italia anni dopo, purtroppo col discutibile titolo “La Bibbia secondo Pierino”. Titolo sbagliatissimo perché Effel non era affatto un Pierino qualsiasi.

Al massimo della sua notorietà, tanto per dirne una, sarebbe stato accolto in pompa magna al Cremlino per il conferimento del Premio Lenin per la pace, un premio col quale si diceva di voler promuovere “il rafforzamento della pace tra i popoli”. Era il maggio del 1968 e si capisce bene l’ironia della sorte. A Mosca erano già accesi i motori dei carri armati per andare a reprimere la Primavera di Praga. La celebrazione del “rafforzamento della pace tra i popoli” mostrò in quella circostanza il suo volto effimero. Possiamo immaginare quanto ci deve essere rimasto male il povero Jean Effel. Che comprenderà così che la sua avventura oltrecortina, tanto poetica, finiva lì.

Un anno dopo, in Italia viene pubblicato il volumetto …e Dio creò il cielo e la terra. L’editore Gribaudi ricorda: «Libretto strepitoso, tutto di deliziose vignette, e successo altrettanto strepitoso. La prima edizione comparve il 30 ottobre 1969, ma la prima ristampa fu già a novembre dello stesso anno e la terza a febbraio del ‘70, non più cartonata ma in brossura con alette. Nel 1988 ne fu fatta un’edizione in formato 16×11, ma quelle precedenti sono da preferirsi. Dalla mia “presentazione”: “Opera di un autentico poeta… questo Dio dai tratti così umani, che con tanta cura trae dalla sua inesauribile fantasia un mondo ricco di mille meraviglie e lo foggia, lo guida, lo educa nei minimi dettagli, è l’emblema cordiale di una ‘fatica d’amore’ carica di una tenerissima partecipazione alle sorti dell’universo”. Il fatto curioso è che a queste parole aggiungevo: “È scontato che la familiarità poetica con cui Jean Effel tratta delle ‘cose celesti’ potrà riuscire non gradita a qualcuno, tanto più che l’umorismo di questo grandissimo disegnatore nasce da un’abilissima concatenazione di parecchi piani prospettici…” Il che significa che i tempi erano davvero ancora grigi e la prudenza non era mai troppa».

Se quest’opera poteva “riuscire non gradita a qualcuno” era per tante ragioni; per esempio, perché si vedeva il compiacimento del comunista Effel davanti al fatto che, come scrisse, Dio aveva messo il cuore dell’uomo a sinistra e perché questo cuore lo aveva fatto di colore rosso. E in ciò il suo comunismo, fatto di poetiche visioni, vedeva un significato politico. Poteva riuscire non gradito anche perché Effel disegnava un Dio scomposto, tutto ricurvo sull’opera della creazione. Addirittura come una vecchia magliaia che con i suoi ferri lavora al mantello lanoso della pecora.

Quanto distanti erano queste rappresentazioni dagli stereotipi del tempo se soltanto pensiamo che in quegli anni si disegnava Dio stilizzato in un misero triangolo equilatero con un occhio al centro. Per Effel è proprio col lavoro delle sue mani che Dio, come del resto fa ogni uomo, vuole affermare se stesso. In una delle ultime vignette sulla Creazione, si vede Dio che ci tiene a chiarire che tutto quello che ha fatto non bisogna attribuirlo “a cause sovrannaturali”; per dire che tutto era invece ottenuto col sudore della sua fronte e non con un miracolo strepitoso, come ci si deve aspettare da Dio.

È un’eresia questa? Può darsi. Eiffel non si preoccupava se le sue idee fossero eretiche o meno. Forse lui stesso credeva che fossero tali. Resta il fatto che fu lui, eretico e comunista, a presentare il Dio della Rivelazione nel mondo ostile dell’illuminismo francese e in quello del “socialismo reale” che si professava ateo e che perseguitava i credenti.

Un fatto soprannaturale è, semmai, questo. È questo aver saputo presentare un Dio umano e premuroso che pazientemente insegna alle foche a nuotare, ai fenicotteri a reggersi sui trampoli, agli orsi polari a camminare sul ghiaccio. E che ha messo nel petto di Adamo un cuore capace di palpitare per la sua deliziosa compagna, Eva.

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Paolo Tritto

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