Volume di Roberto Cipriani – Franco Angeli Editore, Milano, 2020, pp. 500, euro 30
Dopo circa 25 anni dalla precedente indagine, svoltasi nel 1994-95 (cfr. V. Cesareo, R. Cipriani, F. Garelli, C. Lanzetti, G. Rovati, La religiosità in Italia, Mondadori, 1995), una nuova ricerca – questa volta sia quantitativa (3238 questionari) che qualitativa (164 interviste in profondità) – si è svolta nel 2017 ed ha dato luogo a due pubblicazioni principali: la prima, principalmente a carattere quantitativo, di Franco Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna, 2020 e la seconda di Roberto Cipriani, L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2020. Quest’ultima è stata la base di partenza per altre sei pubblicazioni di approfondimento, edite nella collana “Laboratorio Sociologico” dell’editrice Angeli.
Il volume di Cipriani, L’incerta fede, rende conto dei risultati soprattutto della ricerca qualitativa, che si è sviluppata attraverso una duplice procedura: 78 interviste sono state condotte lasciando completa libertà all’intervistata/o di esprimersi sulla sua vita, sui suoi valori, sul senso dell’esistenza, sul vissuto quotidiano ed altro ancora, per tutta la durata dell’intervista, senza che siano state poste domande specifiche da parte dell’intervistatore; 86 interviste hanno avuto una prima parte del tutto simile allo svolgimento di un’intervista totalmente aperta ed una seconda parte più centrata su alcuni aspetti particolari, cioè la vita quotidiana e festiva, la felicità ed il dolore, la vita e la morte, Dio, la preghiera, le istituzioni religiose, papa Francesco. Su questi ed altri aspetti sono stati fatti dei confronti fra gli esiti dell’inchiesta quantitativa con questionario condotta da Garelli e quelli dello studio qualitativo ad opera di Cipriani.
Per oltre mezzo secolo si è parlato di secolarizzazione e di fine della religione, a partire dal noto saggio di Sabino Acquaviva su L’eclissi del sacro nella civiltà industriale, pubblicato dalle Edizioni di Comunità nel 1961. Ebbene, allo stato attuale l’eclissi prosegue ma non diventa totale e dunque non cancella del tutto, metaforicamente, la presenza dell’astro della religione. Quello che si registra in continuazione è il calo della pratica religiosa, passata in Italia dal 31,1% (percentuale media accertata nel 1994-95 per la frequenza settimanale) al 22% (dato risultante dall’inchiesta svolta nel 2017).
Una delle novità più interessanti della nuova ricerca è rappresentata dall’emergere evidente della spiritualità che a poco a poco subentra alle forme tradizionali di religiosità. La spiritualità si fonda soprattutto su un sentimento profondo accompagnato da valori di riferimento e da un comportamento che ne deriva, manifestandosi specialmente ma non esclusivamente nell’adesione e dedizione a forme di volontariato ed a nuove esperienze sul modo di pregare o comunque di mettersi in relazione con il soprannaturale. Il termine spiritualità (o altre parole affini) è presente nelle interviste qualitative circa il 9% delle volte (99 occorrenze) di quanto fatto registrare dal concetto di religione (1109 occorrenze). Inoltre quanti manifestano orientamenti di tipo più spirituale che strettamente religioso sembrano maggiormente aperti verso altre confessioni religiose, diverse dalla propria di riferimento (per la socializzazione e l’educazione ricevute). Ciò che accomuna la scelta della spiritualità è la tendenza a fare a meno dell’istituzione religiosa. Ma in alcuni casi si tende anche a considerare Dio non necessariamente legato ad una specifica religione.
Un altro carattere originale che risulta particolarmente evidente nell’indagine qualitativa è la presenza di una sorta di “religione dei valori” che richiama da vicino la cosiddetta regola d’oro (golden rule), cioè il non fare agli altri quello che non si vorrebbe fare a se stessi. Sulla base di questo principio diverse persone si orientano e decidono il da farsi. Sono 428 le indicazioni che riguardano specifici valori che costituiscono i riferimenti essenziali dei 164 intervistati, nell’ordine: famiglia, giustizia, solidarietà, accoglienza, condivisione; seguono poi, un po’ più distanti: lavoro, amicizia, amore, educazione, cultura, tradizione, religiosità, devozione, libertà.
La maggior parte dei risultati scaturiti dall’analisi qualitativa corrisponde a quanto ottenuto attraverso i questionari. Per esempio, a proposito della credenza in Dio, su 164 intervistati 75 non hanno alcun dubbio sulla sua esistenza, 27 pensano che non esista, 13 nutrono dubbi, 10 sono altalenanti, 7 non sanno darsi una risposta, 11 hanno opinioni diversificate, 21 non riescono a far capire quale possa essere la loro posizione. In definitiva circa la metà crede fermamente, meno di un quinto non crede affatto, ma tutto il resto ondeggia fra varie possibilità.
La vita quotidiana è il fulcro del vissuto e dunque ben si presta a fornire indicazioni significative anche in materia religiosa, ma questa si riscontra principalmente nelle giornate festive, giacché il 14,2% dei 164 intervistati fa la comunione nel corso della messa domenicale ed il 22% partecipa settimanalmente alla messa festiva (da sottolineare il fatto che esattamente la stessa percentuale è stata individuata in relazione ai 3238 intervistati tramite questionario).
Un risultato inatteso riguarda il tasso di felicità: soddisfacente per 154 persone su 164. Le fonti principali di gioia sono la nascita di un figlio, la relazione con gli altri e l’esperienza religiosa. Ma anche la sofferenza è presente in quasi il 70% degli intervistati. Nondimeno sia nel caso della felicità che del dolore non si evidenzia un riferimento di tipo fisico quanto piuttosto a livello emotivo, psicologico, morale e sociale.
Tenendo conto del fatto che l’indagine ha avuto luogo prima della pandemia da coronavirus, appare di notevole interesse la percezione della vita che può essere orientata a cercare una soluzione ad ogni problema oppure più propensa a valutare la propria esistenza in base ai vantaggi ottenuti. La prima soluzione riguarda circa la metà degli intervistati mentre la prospettiva religiosa della vita si limita ad un settimo degli intervistati. Per quanto concerne invece la morte, oltre la metà degli intervistati (il 58,3%) ritiene che la religione aiuti a mantenere una certa tranquillità nei suoi confronti, il che non è per il resto degli intervistati (41,8%). Per quel che avviene dopo la morte, il 35,4% pensa all’esistenza di un’altra vita ma molti di più sono coloro che non manifestano alcuna opinione in merito (41,4%).
Un altro importante indicatore di religiosità è la preghiera, praticata ogni settimana dal 26,1%, ogni mese dal 26,6%, annualmente dal 20,5%, mai dal 26,8%. Si conferma così un orientamento più favorevole alla preghiera che alla partecipazione alla messa, che infatti tocca settimanalmente (come già detto) il 22%, una o più volte mensilmente il 15%, una o più volte annualmente il 33%, mai il 30%. Significativamente alta è la frequenza della preghiera tra i musulmani.
Il rapporto con l’istituzione religiosa è l’aspetto più problematico in assoluto, in base ai dati raccolti nelle interviste qualitative. Numerose sono le riflessioni critiche nei confronti di persone, regole, comportamenti, organizzazioni di natura religiosa. Il 35% si dice appartenente ad una Chiesa o confessione, il 26,9% mostra perplessità, il 31,5% è su posizioni più contrarie. In fondo la stessa Chiesa è vista come una religione di per se stessa, per cui il latore del messaggio sarebbe divenuto esso stesso il messaggio.
Peraltro risulta largamente confermata la classificazione che già nel 2013 operava il cardinale Carlo Maria Martini, usando la metafora dell’albero: “Ci sono i cristiani della linfa, che stanno al centro dell’albero e quindi ne ricevono il necessario nutrimento… Ci sono i cristiani del midollo, che stanno attorno, frequentano la chiesa, danno dei contributi economici per le sue necessità, però non collaborano in maniera stabile… In terzo luogo, i cristiani della corteccia, che vivono marginalmente rispetto alla comunità cristiana, pur professando di appartenervi… Segue la categoria di quelli che nell’immagine botanica si potrebbero chiamare il muschio attorno alla corteccia; pur essendo stati battezzati… si sono allontanati… Infine, ci sono persone che non appartengono a nessun tipo di Chiesa”.
Da ultimo, ma non certo per importanza agli occhi degli intervistati, vi è la figura di papa Francesco, definito da un’intervistata quale “papa da aperitivo” ma da altri considerato scomodo e poco gradito ad una certa parte della gerarchia ecclesiastica per il suo tentativo di voler riformare la Chiesa ed innovare molti usi, comportamenti e linguaggi. In base all’analisi dei sentimenti (procedura di sentiment analysis) che le persone nutrono verso papa Francesco gli orientamenti di tipo positivo sono il 33,2%, neutro il 46,4% e negativo il 20,3%. Ma il giudizio complessivo su Bergoglio, ricavato mediante una procedura diversa, è positivo nel 69,7% dei casi, ambivalente nel 22,2% e negativo nell’8,1%. In generale, il totale dei consenzienti supera quello dei dissenzienti.
Secondo i dati raccolti attraverso la ricerca si possono fare alcune previsioni sul futuro:
– si allargherà l’area dell’incerta fede, che tenderà a superare quella della fede più sicura, ossia dei credenti militanti e praticanti;
– la differenza fra soggetti portatori di un’incerta fede e sostenitori di una fede più salda aumenterà in termini numerici, ma non in misura particolarmente accentuata (insomma le due lame delle forbici non perverranno all’apertura massima);
– la Chiesa-religione conserverà la sua struttura di base, nonostante prevedibili nuovi eventi che la potranno mettere in crisi;
– la pratica religiosa regolare subirà ulteriori decrementi, progressivi ma lenti (anche in considerazione del tasso attuale, ormai già basso);
– la non credenza si amplierà, ma tenderà a ridurre dimensioni e velocità della sua crescita;
– la spiritualità riceverà nuova linfa anche grazie al sempre più incalzante orientamento all’auto-determinazione, al fai da te ed all’accresciuta libertà di pensiero e di azione;
– i valori conserveranno una loro centralità, sia in campo religioso che nel sociale in senso lato, e soprattutto accentueranno la dimensione soggettiva della morale, intesa come opzione riservata all’individuo;
– la credenza in Dio sarà sempre meno univoca nelle forme e nei contenuti, dando luogo ad ampi spazi di ricerca e di sperimentazione, con l’intento di fornire risposte ai quesiti fondamentali sul senso della vita ma anche della morte e del dopo la morte;
– la frequenza della preghiera non subirà né incrementi né decrementi rilevanti, ma tenderà a mantenere una certa stabilità, in grado comunque di sopperire alla crisi dei legami con la Chiesa-religione; – la figura del pontefice cattolico avrà ancora una sua centralità ed affidabilità, ma molto dipenderà dalle caratteristiche dei successori di papa Francesco, ben difficilmente capaci di ripeterne l’exploit sul piano comportamentale e decisionale.
Roberto Cipriani. Professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, dove è stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione. È stato Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia. È stato professore di Metodologia Qualitativa all’Università di San Paolo (Brasile), di Sociologia Qualitativa all’Università Federale di Pernambuco (Recife, Brasile), di Metodologia Qualitativa all’Università di Buenos Aires, di Scienza della politica all’Università Laval del Québec. Ha al suo attivo numerose indagini teoriche ed empiriche. La sua principale e più nota teoria sociologica è quella della “religione diffusa”, basata sui processi di educazione, socializzazione e comunicazione e applicabile sia ad un contesto come quello italiano che in altri paesi dove una particolare religione è dominante.
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