Lettore, fermati. C’è qualcosa che dovresti sapere

Due seminaristi a Belluno. La loro storia, una feconda amicizia.

Raccontare la storia di un papa come Albino Luciani, Giovanni Paolo I, e il suo pontificato di appena trentatré giorni è raccontare una storia nota. Un suo compagno di camerata del seminario, negli anni di preparazione al sacerdozio, in occasione della presentazione di un libro su questo papa, tenuta nel 2003, volle ricordare quegli anni giovanili e la storia della loro amicizia.

«Quell’inverno, del ’28-29» ricordava, «fu un inverno di freddo eccezionale. Ricordo a Belluno un metro e mezzo di neve in piazza Campitello. Noi avevamo una fila di letti in uno stanzone, io ero in fondo, ultimo della fila, prima c’era don Dante Cassoli, e poi don Albino. Ai piedi del letto avevamo catino e brocca, come si usava a quei tempi, e il camerone non era riscaldato. La mattina ci svegliavano alle cinque e mezza, e per lavarci bisognava rompere il ghiaccio che si era formato nel catino». Pubblichiamo qui una fotografia di Albino Luciani scattata proprio in quell’anno.

Qualche tempo dopo, le loro strade si divisero. «In seconda Teologia, nel 1933» ricordava ancora l’amico, «chiesi al vescovo, monsignor Giosuè Cattarossi, un friulano forte, di andare missionario gesuita. Mi disse di sì. Anche don Giuseppe Strim, di Falcade, che era già in terza Teologia, glielo chiese e ne ebbe egli pure un sì. Poi anche don Albino, che era parente del celebre padre Felice Cappello dell’Università Gregoriana, chiese al vescovo di farsi gesuita. Ma egli ebbe un “no”: altro esempio di come il Signore gioca con gli uomini così che paia che il loro futuro dipenda da loro».

Fu così che don Albino Luciani, in obbedienza a quel no ricevuto, se ne andò per la sua strada. Una strada che lo porterà sulla cattedra di Pietro. Sarà Giovanni Paolo I, il papa del sorriso, del breve pontificato di appena trentatré giorni.

Ma questa storia, caro lettore, probabilmente la conosci già.

Ciò di cui forse non sei consapevole è che sei finito su questa pagina web e che stai leggendo proprio queste righe, grazie a quel compagno di seminario di Albino Luciani che poi andò a farsi gesuita. Quel seminarista era Roberto Busa.

Quando padre Busa morì quasi centenario, il 9 agosto 2011, l’Osservatore Romano uscì con questo insolito titolo: “Lettore fermati! È morto padre Busa”.

Scriveva allora Stefano Lorenzetto sul quotidiano della Santa Sede, rivolgendosi direttamente al lettore: «Se navighi in Internet lo devi a lui, se usi un pc per scrivere mail e documenti di testo lo devi a lui. Se puoi leggere questo articolo lo devi, lo dobbiamo a lui».

Il titolo del quotidiano richiamava l’analogo titolo adottato da un altro quotidiano nel 1955 quando morì Fleming cui si deve l’invenzione della penicillina: «Lettore fermati! È morto Fleming, forse anche tu gli devi la vita».

Entrato nella Compagnia di Gesù, padre Roberto Busa, compagno di seminario di Albino Luciani, si laureò con una tesi su San Tommaso d’Aquino intitolata La terminologia tomistica dell’interiorità. Da allora, dedicherà la sua vita, tutta la sua lunghissima vita, allo studio della principale opera dell’Aquinate, la Summa Theologiae.

Gli studiosi hanno la necessità di schedare le opere che sono oggetto dei loro studi. E probabilmente padre Busa si sarà scontrato con la difficoltà di schedare un’opera così voluminosa e complessa come la Summa. Allora si utilizzavano delle apposite schede dove si trascrivevano passi dei testi, pronti per essere utilizzati come citazioni al momento opportuno. Erano le schede di catalogazione e qui la trascrizione dei testi doveva essere fatta manualmente con la macchina per scrivere o, più frequentemente, a penna.

Talvolta, queste schede erano anche perforate; in questo caso, il foro veniva collocato in determinate posizioni al bordo della scheda, in corrispondenza a precise etichette che, a loro volta, rimandavano agli argomenti che interessavano. Inserendo poi dei bastoncini in uno di questi fori, si potevano estrarre tutte le schede pertinenti a quegli argomenti che si volevano trattare.

Le prime difficoltà con le schede perforate che ebbe padre Busa, ricorda sempre Lorenzetto, si manifestarono già nel suo tentativo di schedare la preposizione “in”. Busa voleva sapere quante volte ricorre questa preposizione nella Summa Theologiae e in quali punti dell’opera. Questa era una cosa che per Busa aveva una straordinaria importanza perché questo criterio avrebbe consentito di estrarre, di volta in volta, tutte le occorrenze di una qualsiasi parola dell’intera opera.

Ma come sarebbe stato possibile questo, se soltanto per schedare la preposizione “in” c’erano volute diecimila schede di catalogazione? Possiamo capire cosa poteva significare applicare questo studio sull’intera opera di san Tommaso che è composta da ben nove milioni di parole.

Comunque, in questo consisteva il lavoro cui si era dedicato padre Busa. E questo faticosissimo lavoro avrebbe dovuto portare alla pubblicazione dell’Index Thomisticus. Così poi effettivamente avverrà, dopo diciotto milioni di ore di lavoro e sessantaduemila pagine a stampa. Sarà un’opera enciclopedica di 56 volumi.

Padre Roberto Busa aveva intuito che un formidabile aiuto al suo lavoro poteva venire dalla nascente informatica e dai programmi dei computer per l’elaborazione dei dati. Se ne andò così negli Stati Uniti ed ebbe l’ardire di andare a cercare il fondatore dell’IBM, colosso mondiale dell’informatica. Bussando alla porta di Thomas Watson, espose ciò che maggiormente gli premeva: scoprire il modo di conteggiare le singole parole della Summa di San Tommaso e le relative occorrenze nel testo dell’intera opera.

Alla richiesta di padre Busa, Watson, col suo garbo da metodista americano, gli fece presente che le sue macchine erano programmate per contare i numeri, non certo le parole. «Non è possibile» disse allora, «far eseguire alle macchine quello che lei mi sta chiedendo».

Lo slogan adottato dall’IBM era “Think-pensa”, slogan riportato dappertutto, su ogni oggetto aziendale. Questo slogan era stato coniato dallo stesso Watson negli anni precedenti, quando era in un’altra azienda e si era trovato di fronte a un preoccupante calo delle vendite. Disse allora, rivolgendosi allo staff che era in riunione: «per ognuno di noi, il problema è che non pensiamo abbastanza. Non veniamo pagati per lavorare con i nostri piedi, ma per pensare con la nostra testa».

A questa filosofia Watson aveva legato il suo successo aziendale nel campo dell’informatica. Perciò, di fronte alle sue perplessità riguardo alla possibilità di trattare le parole della Summa Theologiae con le macchine IMB, padre Roberto Busa ebbe la prontezza di tirare fuori un foglietto pubblicitario dove era stampigliato il motto IBM “Think-pensa”.

Watson capì che non poteva tirarsi indietro di fronte alla sfida di padre Busa. Cominciò così a pensarci veramente. Quello che ne venne fuori fu l’indicizzazione delle parole e dei link tramite processi informatici, il modo di stabilire un collegamento delle parole tra loro. Venne fuori l’ipertesto, la possibilità mettere in relazione pagine con collegamenti ipertestuali – “cum hypertextibus”, secondo la terminologia del gesuita Busa che non rinunciava al suo latino. È una soluzione che è alla base della maggior parte delle azioni che compiamo quando navighiamo sul web.

Il progetto dell’Index Thomisticus di padre Roberto Busa poteva così andare avanti. Ma nello stesso tempo per tutti noi, anche per il ragazzo che pigia il suo telefonino mentre in metropolitana va a scuola, poteva aprirsi una nuova era, una nuova visione del mondo.

Padre Roberto Busa pensò che a capo del Comitato promotore dell’Index Thomisticus ci poteva stare bene il suo amico Albino, che nel frattempo era diventato Patriarca di Venezia. Quando l’andò a trovare per proporgli la cosa, il cardinale Luciani rimase sorpreso. Lo stesso cardinale riferì una volta: «Padre Busa è venuto da me, poiché siamo compagni di scuola. Io gli ho detto: Non me ne intendo di informatica né di linguistica, non so nulla di queste cose. Egli: “Fammi un piacere, siamo compagni di scuola”.»

Padre Roberto Busa aveva ancora un ultimo ricordo da consegnare riguardo al suo compagno di seminario Albino divenuto papa nel 1978: «Il mattino del 30 settembre, tutti noi compagni di classe eravamo stati convocati per concelebrare in Vaticano con lui nella sua cappella privata».

Purtroppo quella celebrazione con Giovanni Paolo I non avrà luogo. Inaspettatamente, il papa si era spento il giorno prima e con lui si spense quel suo sorriso che illuminava il mondo. Del mistero di questa morte e della luce di quel sorriso padre Busa volle coglierne il senso. Perciò, alla cerimonia di presentazione del libro su papa Luciani tenuta a Roma nel 2003, riferendosi a quel suo sorriso luminoso, disse: «La luce è una realtà misteriosa, umile, che fa vedere non sé stessa ma tutto il resto». 

Ricorda, caro lettore, che un raggio della luce di questi uomini che ci hanno preceduto, luce serena e misteriosa, ti consente di vedere ciò che vedi, in questo momento, sul display che hai davanti.

Buona navigazione.

Albino Luciani
Anno scolastico 1928-29
Immagine di pubblico dominio da Wikimedia Commons
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Young_Albino_Luciani_%E2%80%93_unframed.jpg

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Paolo Tritto

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