La stazione dove ferma il grande treno dell’eterno

Inizia il Giubileo dedicato alla speranza, “il punto sicuro di amore” sulla tragica scena del mondo che la storia ci presenta oggi.

È difficile parlare di speranza quando la realtà è dominata dai conflitti, dalle vittime delle violenze, dall’emarginazione, da popoli interi in fuga. Si rischia di non essere ascoltati quando oggi si parla di speranza. «Eppure, è da lì che bisogna ripartire: dalla speranza» scrive Matteo Matzuzzi in un’intervista a dom Mauro Lepori, abate generale dei Cistercensi, pubblicata su Il Foglio del 15 febbraio scorso.

Ma, si domanda Matzuzzi, «siamo sicuri che il cristiano di oggi sappia davvero che cos’è la speranza cristiana? Non è che la confonde ancora con quell’andrà tutto bene che si sentiva ripetere in tempo di lockdown, quasi fosse una sorta di esorcismo?»

«La speranza» risponde padre Lepori, «va capita e vissuta alla luce dell’avvenimento di Cristo, della sua morte e resurrezione. La speranza non è in quello che verrà, ma in Cristo Redentore del mondo, per cui il futuro migliore non lo si attende tanto o solo dal futuro stesso, ma da un rapporto di fiducia con il Signore riconosciuto presente qui ed ora nella nostra vita».

La speranza cristiana è dunque tutta nel presente; o meglio, nel Presente, cioè nel Cristo presente qui ed ora, nell’Eterno presente nel tempo, anche in quel tempo che rapidamente fugge via.

Non potrebbe essere diversamente. Se si riponesse la speranza della vita eterna soltanto nel futuro, non si tratterebbe di vita eterna; perché ciò che è eterno investe il futuro ma deve necessariamente investire anche il presente e il passato; altrimenti non sarebbe veramente proiettato nell’eternità.

Del resto, ricorda l’abate Lepori, il Vangelo di san Giovanni è esplicito su questo: «questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo». La fede è questo conoscere, questo riconoscere la presenza di Cristo qui ed ora; la fede è ciò che fa riconoscere Cristo come contemporaneo. Non distoglie la speranza dalla realtà presente, collocandola in un ipotetico futuro. Per ogni uomo, la speranza è nel recinto concreto della propria esistenza.

A questo proposito Il Foglio indica quella tela di Vincent Van Gogh intitolata I primi passi, dove si vede come «la tensione fra il bambino e l’abbraccio del padre rende intensa tutta la realtà». Proprio come nel bambino rappresentato nella tela di Van Gogh, commenta Lepori, la speranza «non è una questione di conoscenza teorica, ma esistenziale, esperienziale». Come in quel bambino, la speranza è nel rapporto con quella presenza che è davanti ai suoi occhi, suo padre; significa rapportarsi al significato di quella presenza che, per il bambino, non è altro che la consapevolezza di essere amato da quel padre che tende gioiosamente le braccia verso di lui.

La vita eterna è in quello spazio fisico che circonda quel bambino. Perché quel bambino riconosce che quell’abbraccio paterno è per sempre, non verrà mai meno; è espressione dunque dell’eterno nel tempo presente. La speranza fissa cioè l’eterno nel momento storico che l’uomo vive. O, per riprendere quella straordinaria immagine usata da don Luigi Giussani e che nel suo articolo Matzuzzi ripropone: «La speranza è l’unica stazione in cui il grande treno dell’eterno si ferma un’istante».

Questo, continuava don Giussani, «è come una rivincita più chiara e più profonda di quanto si possa pensare sull’apparente inutilità della vita, sull’apparente negatività dei progetti». Si potrebbe aggiungere che la speranza è “il punto sicuro di amore” sulla tragica scena del mondo che la storia ci presenta oggi, indica nell’inferno ciò che inferno non è.

Per questo, commenta dom Mauro Lepori, «credere o non credere in Dio non è tanto una questione filosofica ma esistenziale. Ne va della vita, del senso della vita». Privandoci della speranza cristiana, «non soltanto rinunciamo alla vita eterna, ma alla vita presente».

La speranza però dice anche che l’uomo, nella sua vita terrena, non può conoscere compiutamente ciò che intravede. È per questo che la speranza è una speranza inquieta. A pensarci bene, così è per tutto. «Nessuno», spiega Lepori, «quando si innamora pensa di aver scoperto nella persona amata uno spazio ormai conosciuto fino in fondo. Intuisce che entra in uno spazio relazionale il cui inizio è pieno di promesse, ma il cui compimento ha una natura infinita».

Che fare se la società contemporanea ha rinunciato a tendere verso l’alto? Cristo risorto, dice Lepori, «è sceso agli inferi, in fondo alla condizione dell’uomo. Ha preso per mano Adamo e l’ha elevato direttamente in Cielo, come ha fatto realmente con il ladro crocifisso con Lui: “Oggi sarai con me nel paradiso!” (Lc 23,43). Non c’è segno di speranza più bello e intenso di questo. Ma non fu un segno, una parabola, un simbolo: fu un fatto, un avvenimento! Quel povero ladro, quel pezzente, in quel momento si è attaccato tutto a Cristo, e si è ritrovato trascinato in Cielo dove ci ha preceduti tutti, Madonna compresa. La sua speranza è stata un grido, una mendicanza espressa con tutta la miseria che aveva addosso: “Gesù, ricordati di me!” (Lc 23,42). Ci insegna che anche la nostra speranza non è solo un sentimento, un ottimismo, ma l’abbandono a una Persona che è realmente con noi e ci accoglie ora e per sempre nella vita in cui l’amore non avrà mai fine».

Come sa bene quel bambino che Van Gogh ha voluto rappresentare nella tela de I primi passi.

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Paolo Tritto

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