Dai discorsi di Benedetto XVI e dai documenti pastorali dei Vescovi italiani del secondo decennio del 2000,emerge che l’Educazione è intesa non come un sistema di regole di comportamento, ma come senso stesso dell’esistenza, ecco perché educa chi si sente sempre coinvolto (da educando) in un processo educativo.
Occorrerebbe,allora, come prospettato in una recente ricerca promossa dall’istituto di psicologia individuale “Alfred Adler”, ribaltare per un momento il punto di vista sul problema: smettere di domandarsi quali adolescenti vediamo e chiedersi che adulti vedono, attorno a loro stessi, gli adolescenti.
Per comprendere il “valore” dell’educazione è necessario – in sostanza – non lavorare ‘sugli’ adolescenti, ma sugli adulti ‘per’ gli adolescenti∙
L’educatore, che non sempre coincide con il docente, aiuta la persona a formulare un giudizio su ciò che accade, in cui sia implicato l’ “Io”, ovvero il soggetto della domanda e nello stesso tempo sia valorizzato in tutte le sue dimensioni l’oggetto della conoscenza.
Ma è lecito chiedersi quale sia il ruolo educativo della scuola oggi ?
Non bisogna mai dimenticare che l’educazione, intesa nel senso più nobile – commenta Luisa Ribolzi – comprende tre aspetti: educazione, formazione e istruzione. Spesso si assiste al potenziamento di solo uno di questi aspetti. E questo crea dello squilibrio nell’azione educativa.
E’ un caso che il titolo di alcune discipline della scuola secondaria di primo grado come educazione artistica sia mutuato in arte e immagine, oppure educazione tecnica in tecnologia, educazione musicale in musica, educazione fisica attività motoria?
«Viviamo in una postmodernità – si legge nel capitolo della sfida educativa dedicato al mondo della scuola– caratterizzata dalla frammentazione, dalla complessità e dalla prevalenza della dimensione individuale. Il desiderio di autorealizzazione conta più del bene comune».
Nel nostro contesto sociale sembra lecito pensare al sapere come qualcosa da conquistare e dominare e la scuola, “specchio ideale” della società, difficilmente non risente delle situazioni negative che la nostra comunità culturale vive.
Ecco perché non si teme nel rapporto-proposta di richiamare al pericolo che questa società dell’istruzione sta correndo di trasformare progressivamente la scuola in una sorta di supermercato, «in cui ognuno va a prendere quello che gli serve, in funzione del proprio progetto di autorealizzazione, senza però cercarvi , ovviamente le indicazioni esistenziali per mettere a punto il progetto di vita».
Una certa pedagogia dominante, in questi ultimi quarant’anni, ha ridotto progressivamente l’educazione a mera socializzazione, (buoni comportamenti) nonché a trasmissione tecnica di saperi e di particolari “abilità”.
In questo modo ci siamo come dimenticati della vera posta che è in gioco nell’educazione: un ideale di umanità, un ideale antropologico, tutta una tradizione, una storia.
Anziché puntare su un percorso formativo della persona, ci siamo come affidati a una pedagogia (fatta spesso di metodi) che ha prodotto soltanto metodologismo, neutralità delle nozioni e dei valori insegnati, disinteresse psicologico e relativismo ideologico, e di conseguenza non sempre una vera formazione della persona.
E’ chiaro allora che la questione educativa è per noi cattolici una vera e propria sfida, una sfida ineludibile e prioritaria così l’ha definita BXVI, che interpella tutti noi, noi genitori, noi insegnanti, noi animatori di comunità cristiane.
Siamo tutti chiamati a raccogliere questa sfida, lo abbiamo detto, perché, sempre, noi cristiani ci sentiamo coinvolti in un processo educativo, perché non c’è un momento della vita in cui possiamo dirci educati in tutto ma solo educati da tutto.
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