Premio Oscar alla carriera nel 2020, è morta a Roma a 93 anni. Nei suoi lavori sferzò il cinismo, l’egoismo e la superficialità del genere maschile. Giannini il suo “attore feticcio”. Il papà era lucano.
Nei suoi film c’erano sempre personaggi grotteschi e guizzi di allegria da “festa mobile”, accompagnati da una sottile vena di malinconia. Non annoiava mai, nemmeno fuori dal set. La notizia, postata da un amico di famiglia, è rimbalzata rapidamente sui social: è morta la regista Lina Wertmüller. Aveva 93 anni. “È mancata serenamente a casa, vicino alla figlia e ai suoi cari”, hanno fatto sapere i parenti.
Premio Oscar alla carriera nel 2020, la ricordiamo sempre spiritosa, divertente e “glam” anche nel modo di presentarsi, con quei suoi occhialoni colorati (ne aveva una collezione di circa 800 paia) e i capelli corti da maschietto. Era una femminista convinta, ma senza esagerare: «Bisogna cambiare il nome a questa statuetta, chiamiamolo con un nome di donna, Anna» aveva detto sul palco dell’Academy ringraziando per il riconoscimento ottenuto. Femminista con garbo e profondità di giudizio.
E non a caso il suo secondo film si intitolava Questa volta parliamo di uomini (1965), più storie di mariti e fidanzati dove si prende in giro il cinismo, l’egoismo e la superficialità del genere maschile: una sorta di programma di quello che sarebbe stato il suo “magistero” di cineasta, sviluppato sempre con i registri della commedia, sferzante ma mai volgare.
“La Lina”, come veniva chiamata nell’ambiente dello spettacolo, ha firmato film che hanno raccontato con leggerezza e pungente ironia la storia sociale e il costume degli italiani del secondo Novecento. Titoli lunghi e sarcastici, da Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) a Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973), ma anche Travolti da un’insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974) con quello spassosissimo e scoppiettante duetto-duello tra gli immensi Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, che la Wertmüller lasciò recitare quasi a braccio, seguendo un semplice canovaccio per sfruttare, con risultati eccellenti, quella rara alchimia che si crea sul set tra attori affiatati tra loro e capaci di improvvisare. Dopo aver fatto l’assistente di Federico Fellini ne La dolce vita, la Wertmuller aveva esordito dietro alla macchina da presa con I Basilischi, nel 1963, sul tema dell’emigrazione dei giovani al Nord, sulla scia dei Vitelloni felliniani : poi una serie di successi memorabili che hanno avuto come apice la nomination all’Oscar (la prima per una regista donna) nel 1977 per Pasqualino Settebellezze, con l’immancabile Giancarlo Giannini (il suo “attore-feticcio”, come si dice nel gergo cinematografico) nei panni di un buffo guappo napoletano che finisce in un lager nazista.
Lina Wertmuller era nata a Roma nel 1928, aveva origini nobili e svizzere ma non se ne curava più di tanto: al secolo si chiamava Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, un nome lungo come i titoli dei suoi film.
“A Lina devo tutto, a questa grande donna, regista lungimirante, che mi ha inventato – ha dichiarato Giancarlo Giannini –. Se il suo sguardo non si fosse soffermato su di me forse avrei avuto un destino diverso, da perito elettronico”.
Venerdì 10, fino alle 20, in Campidoglio, la camera ardente con le spoglie della regista. I funerali si svolgeranno sabato alle 11.30 nella chiesa degli artisti a Roma.
Di Fulvio Fulvi da Avvenire di giovedì 9 dicembre 2021
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