«Cominciammo il countdown la mattina presto. Doveva durare sette-otto ore. Cadeva tutto a pezzi perché il materiale che avevamo proveniva dalla base di Gioia del Colle e quindi era tutto vecchio. Eppure tutto procedette bene fino a 14 minuti prima del lancio, quando cominciò una serie incredibile di piccoli problemi: disturbi nei collegamenti, altri problemi minori, e, dulcis in fundo, la rottura dell’orologio nella sala comando, che mi costrinse a continuare il countdown con il mio orologio da polso».
Il 15 dicembre 1964, il generale Luigi Broglio, pioniere dell’ingegneria astronautica, curvo sul suo orologio da polso, si trovava presso la base di lancio americana di Wallops Island per dare il via al lancio del primo satellite spaziale italiano. Con questo, a sorpresa, l’Italia si inseriva tra le due superpotenze, USA e URSS, allora considerate inarrivabili, in una delle più esaltanti imprese nella storia dell’umanità: la corsa alla conquista dello spazio.
L’Italia, con il progetto San Marco, sarà il terzo paese a mandare un satellite in orbita attorno alla Terra. Di quell’epica giornata di sessant’anni fa pochi se ne ricordano; un po’ perché, per il carattere schivo del generale Broglio, queste notizie, se pure all’epoca circolavano, non trovavano nei giornali adeguata risonanza. Gran parte di tutto quello che sappiamo lo dobbiamo al lavoro paziente di un giornalista, Giorgio Di Bernardo Nicolai, che raccolse i ricordi del generale in un libro intitolato Nella nebbia, in attesa del sole. Breve storia di Luigi Broglio, padre dell’astronautica italiana. Nemmeno questa preziosa biografia ebbe la fortuna di essere pubblicizzata come meritava, nonostante ciò è giunta oggi alla terza ristampa.
Le ragioni di questa disattenzione da parte dell’establishment italiano dell’epoca sono in larga parte incomprensibili. Nel suo libro, Di Bernardo Nicolai racconta delle tante difficoltà che contribuirono a far naufragare il progetto il cui finanziamento era inserito nel bilancio di previsione annuale dello Stato. Era una procedura insostenibile in un campo dove c’è bisogno di fare investimenti nel lungo periodo, ben oltre le previsioni annuali.
Oltre questo ostacolo di natura tecnica, tanti erano i pregiudizi che la politica manifestava nei confronti di Broglio e dei suoi progetti. «Nel 1979» ricordava Broglio, «chiedemmo di essere finanziati per il lancio del San Marco 5, dei due satelliti della NASA e per lo sviluppo del San Marco Scout. Quando ebbi l’impressione che il CIPE avrebbe tagliato i fondi per il razzo, cercai di parlare con Andreatta, che era ministro del bilancio, in pratica presidente del CIPE, ma non fui ricevuto se non dopo che era stata presa la decisione, con la quale erano stati approvati tutti i programmi escluso il San Marco-Scout. Andreatta non mi fece nemmeno accomodare in ufficio, dicendo: “Ah, generale. Lei è venuto qui a protestare!”, e mi spiegò che secondo lui, fare un razzo con quelle prestazioni era un atteggiamento da grandeur francese». Era questa una battuta con la quale si voleva forse fare intendere quello che stava per accadere: i francesi erano pronti ad appropriarsi del know-how italiano e a prendere in mano il programma spaziale.
Non saranno, comunque, questi problemi a fare venir meno l’autorevolezza degli italiani che si era guadagnata Luigi Broglio. Gli scienziati americani, per esempio, si sono sempre sentiti in debito con lui, particolarmente perché il generale italiano aveva dato un grosso contributo a mappare l’alta atmosfera e perché senza questi studi preliminari sarebbe stato sicuramente più difficile mettere a punto le operazioni di lancio dei satelliti e di rientro nell’atmosfera.
Proprio per questo, nonostante tutto, ancora oggi il contributo dell’Italia nelle esplorazioni spaziali è tenuto in grande considerazione. Per esempio, gran parte dell’attrezzatura impiegata nelle missioni spaziali è di fabbricazione italiana e oggi sono italiani due dei sei astronauti che sono candidati, se le previsioni si avvereranno, a tornare entro questo decennio sulla Luna o almeno a lavorare in orbita lunare: Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano.
Ma chi era precisamente Luigi Broglio e qual era la sua idea? Nell’ottobre del 1962 il mondo era sull’orlo di un guerra atomica, la crisi dei missili, per il tentativo da parte dell’Unione Sovietica di installare delle testate nucleari sull’isola di Cuba. Questo è risaputo. Ma quello che sapeva Luigi Broglio e che allora pochi sapevano è che il fronte più caldo di questa pericolosissima crisi non era, in realtà, nei Caraibi ma sull’altopiano della Murgia, a cavallo tra la Puglia e la provincia di Matera; qui si trovavano dieci basi missilistiche della NATO, la principale delle quali era a Gioia del Colle. Qui i missili, armati con le testate nucleari, c’erano davvero, già pronti al lancio in pochi minuti. Ovviamente, sull’altro versante della Cortina di ferro, c’erano testate nucleari del Patto di Varsavia, altrettanto minacciose. Il rischio che le tensioni della Guerra Fredda potessero precipitare in un conflitto, come si vede, era reale e il suo epicentro era proprio sopra le nostre teste.
Dio, che sempre interviene, soprattutto in momenti così drammatici, fortunatamente volle metterci del suo anche in questa storia. Per cui, a un certo punto gli uomini pensarono di punto in bianco che sarebbe stato più “performante” per loro impiegare i loro missili nelle imprese spaziali, invece che per distruggere l’intero pianeta con la bomba atomica. Come anche pensarono che si potesse impiegare l’energia nucleare per scopi pacifici, per esempio per diagnosticare malattie o per curare i tumori.
La strumentazione dei missili dispiegati sulla Murgia, trascorso quel drammatico momento, era destinata alla rottamazione, ma Luigi Broglio pensò che, nonostante le ingiurie del tempo, poteva avere una seconda vita ed essere impiegata per la conquista dello spazio. Egli non aveva molto a disposizione per portare avanti questa impresa, se non un capannone dismesso al vecchio campo di aviazione di Roma Urbe, un locale che faceva pensare, più che altro, a una modesta officina meccanica. Ma Luigi Broglio, che probabilmente ragionava con la logica appresa dalla saggezza evangelica, pensava che il vero imprenditore della storia è il mendicante: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. E in questa logica, si può anche ragionevolmente pensare che imprenditore non è soltanto chi ha molti soldi; è anche, e forse lo è di più, chi non ne ha affatto ma ha l’umiltà di tendere la mano.
Broglio, che umile lo era davvero, cominciò a bussare alla porta degli americani per ottenere quello che gli serviva per la sua impresa. Meraviglia: la ottenne gratis. Gli americani gli affidarono in comodato due piccole piattaforme marine che sarebbero servite a realizzare la suddetta base di lancio offshore. E questo, osserva Di Bernardo Nicolai, fu anche un colpo di fortuna perché pochi giorni dopo tutte le piattaforme marine vennero requisite dall’esercito USA e inviate nella guerra del Vietnam.
Si trattava a questo punto di procurarsi la piattaforma principale. Il generale Broglio pensò per questo – a chi altro poteva pensare? – a Enrico Mattei. Si presentò pertanto dal presidente dell’Eni per ottenere, evidentemente alle stesse condizioni degli americani, la piattaforma petrolifera che desiderava. Nella biografia Nella nebbia, in attesa del sole, si può leggere il racconto che ne fece Broglio e la sua richiesta a Mattei: «Gli spiegai quello che stavamo realizzando e a che cosa puntavamo. Alla fine, con un po’ di faccia tosta, gli dissi: “Perché non ci regala il Perro Negro?”, che era una bellissima piattaforma. Mattei mi guardò un attimo, tra il sorpreso e il divertito, e poi mi rispose: “Veramente noi costruiamo le piattaforme per venderle, non per regalarle”, ma poi aggiunse: “Eventualmente possiamo riparlarne per lo Scarabeo, una piattaforma più piccola che abbiamo in Egitto”. Non sapeva di aver gettato in quel momento le “basi”, in senso letterale, dell’astronautica italiana».
La Scarabeo fu rimorchiata fino a Taranto, dove provvidero a dare a una piattaforma petrolifera una parvenza di base missilistica. Questa poteva sembrare un’idea stravagante e infatti, del progetto San Marco, molti pensavano proprio questo. Broglio stesso ricordava che su questo argomento perfino il cuoco si burlava di lui. Ma quello su cui confidava il generale aveva una sua base logica: affidarsi al buon cuore degli uomini, realizzare tutto nella maniera più economica possibile e inventarsi qualcosa di nuovo.
Quello che inventò, per il lancio dei missili, fu appunto una piattaforma di lancio da installare nelle acque oceaniche che bagnano il Kenya, sulla linea dell’Equatore. Anche questa soluzione offriva dei vantaggi indiscutibili: dal fatto di contare su una maggiore spinta in fase di lancio alla possibilità, per il razzo, di seguire una traiettoria lineare. La messa in orbita di satelliti lanciati da latitudini più distanti dall’Equatore rendevano infatti più difficile il controllo e inoltre bisognava fare accordi internazionali con diversi paesi per creare un’adeguata rete di rilevamento. Invece, all’Equatore sarebbe stato sufficiente avere una sola stazione sia per il lancio del missile sia per il rilevamento; non bisognava fare altro che aspettare che il satellite passasse sopra la propria testa, senza andarlo a cercare alle varie latitudini.
L’idea strana di usare una piattaforma marina come base di lancio, contrariamente alle apparenze, si rivelò subito una trovata geniale; per trasportare un missile, infatti, sarebbe stato sufficiente caricarlo su una nave. E questo faceva risparmiare davvero un sacco di soldi; un grosso vantaggio soprattutto per chi, come gli italiani, di soldi non ne avevano molti. Gli americani, per esempio, per raggiungere Cape Canaveral via fiume e via terra, dovevano affrontare problemi logistici non indifferenti: dalla bonifica dell’area, che in realtà non fu mai del tutto bonificata e dove per esempio le zanzare rendevano impossibile il lavoro degli addetti, alla necessità di costruire strade enormi, come grandi autostrade, per fare passare i missili; avevano anche bisogno di costruire mezzi di trasporto giganteschi, progettati e realizzati per l’occasione. Agli italiani del San Marco bastava invece soltanto una nave disponibile a caricare il missile e trasportarlo fino in Kenya.
Anche a Broglio, in fondo, tutto questo doveva sembrare inizialmente un progetto impossibile da realizzare. Ma un giorno aveva pensato ai suoi genitori che su una parete di casa avevano bene in evidenza, per devozione, un’immagine di Santa Rita, la santa dei casi impossibili. Pensò che se la fede dei suoi genitori li spingeva a credere in una speranza impossibile, poteva crederci anche lui. Luigi Broglio accettò questa scommessa cristiana. Perciò, quando gli americani gli chiesero – come pescando dal sacro rito del battesimo – che nome volesse dare alla sua piattaforma, non ci pensò due volte e la battezzò Santa Rita.
La presenza del Centro spaziale in Kenya voluto da Broglio ha avuto, e svolge ancora oggi, anche un’importante funzione di promozione sociale a favore della popolazione locale. Il 15 marzo 2023 il Presidente Sergio Mattarella, nel corso della sua visita di Stato in Kenya, non ha mancato di visitare questo Centro gestito dall’Agenzia Spaziale Italiana che oggi è intitolato proprio a Luigi Broglio. Nel paese africano, alla presenza delle autorità, il Presidente ha rivolto queste parole: «Antiche e consolidate sono le manifestazioni di amicizia fra Kenya e Italia, che si sono consolidate nel corso del secolo scorso. L’Italia fu uno dei primi Paesi a riconoscere il nuovo Kenya indipendente e da allora i vincoli che ci uniscono non hanno cessato di rafforzarsi, anche grazie a personalità come il Professor Luigi Broglio, pioniere del Progetto San Marco, i cui effetti ancor oggi si riscontrano nel Centro Spaziale di Malindi, esempio di partnership tra Europa e Africa».
Sessant’anni fa Luigi Broglio lanciava in orbita il primo satellite San Marco. Con questo rendeva protagonista l’Italia, terzo paese dopo URSS e USA, nel campo delle missioni spaziali. Ma dire questo non è dire tutto. Perché bisogna dire anche che il generale, forse con maggiore consapevolezza di altri, ha fatto in modo che la ricerca spaziale fosse applicata per scopi scientifici e pacifici, invece che per scopi militari. I missili non saranno visti più, dunque, esclusivamente come vettori da usare per il bombardamento atomico. Ma possono avere un fine più nobile, contribuendo al benessere delle popolazioni. Anche delle popolazioni più povere, come è stato per il Kenya nel caso di Broglio.
Sessant’anni fa questo generale recuperava quanto rimaneva delle basi missilistiche con le testate atomiche che erano sulla Murgia e li convertiva in strumenti utili per le missioni spaziali, spostandoli fino in Kenya. In questo lungo percorso, il bene che egli ha seminato è incalcolabile. Come si vede, il bene, allo stesso modo e più efficacemente di quello che avviene nelle spaventose esplosioni nucleari, genera sempre un’ininterrotta reazione a catena.
Nelle ultime battute dell’intervista concessa a Giorgio Di Bernardo Nicolai, il generale Luigi Broglio, uomo di fede, ha voluto richiamare la promessa che Cristo fa agli uomini. Scrive il giornalista:
«Chiunque crede in me, vivrà in eterno» dice Broglio, citando in latino una frase di Gesù Cristo.
«Speriamo che sia vero», rispondo.
«È vero!» replica Broglio. Poi, dopo una breve pausa, ripete ancora: «è vero!»
Il Vangelo dice anche che, già nel corso della vita, l’uomo riceverà il centuplo; che «riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna». Luigi Broglio è stato l’esempio proprio di questo. Di come il bene ricevuto dalla fede illumina la ragione e produce cento volte tanto.
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