Intervista al dott. Luigi Bradascio, medico chirurgo odontoiatra, cooptato alla politica ma con il servizio e l’aiuto al prossimo nel DNA, fondatore dell’Associazione materana Amici del cuore, che ha fatto di una frase ricorrente di sua madre un motto: «Sono vivo e felice se anche gli altri attorno a me sono vivi e felici».
Dott. Bradascio lei è stato tra i sostenitori della creazione del nuovo Ospedale a Matera: cosa la spinse a sostenere quel progetto, da più parti osteggiato, e quali delle iniziali aspettative vede oggi non ancora realizzate?
La storia degli ospedali materani decorre con la storia stessa della città e con l’evolversi progressivo della Medicina e della consapevolezza nella popolazione dell’importanza di curarsi bene e di stare bene.
Quando nel 1961 l’antico ospedale dei Sassi cambiò per la prima volta sede, diventando “Ospedali riuniti della provincia di Matera”, sembrò la naturale evoluzione che tutta la città si apprestava a compiere sia da un punto di vista urbanistico, che culturale e naturalmente in relazione all’aumento demografico di quegli anni ed alla maggiore relazione, che la città via via stava stabilendo con tutti i paesi della sua provincia. Gli anni 1978-80 e la riforma sanitaria universale e gratuita divennero la chiave di svolta per una medicina moderna, sempre più vicina al cittadino.
Ricordo bene quegli anni, quando da giovane specialista iniziavo a vivere la mia vita professionale e di volontario di tante associazioni di volontariato.
Matera si apprestava a percorrere la strada che l’avrebbe portata a diventare una città di caratura internazionale, in questo molto aiutata da una immigrazione di qualità, che se da una parte impoveriva i principali paesi della provincia, dall’altra faceva di Matera il principale riferimento culturale e non solo sanitario.
L’attuale ospedale Madonna delle Grazie è stata la naturale evoluzione di questo percorso di ammodernamento e di qualificazione, che la Medicina materana stava percorrendo. Ma per amor del vero anche la conseguenza di una stagione politica favorevole, equilibrata e caratterizzata da rappresentanti di qualità.
Il fatto che sia stato inaugurato nel 2002 faceva pensare a tempi nuovi, ad un ulteriore e progressivo avanzamento della qualità assistenziale, in corrispondenza di una maggiore richiesta di qualità e di presa in carico che veniva dalla popolazione in difficoltà.
Questa era la speranza, oggi sappiamo che si è trattato di una scommessa in gran parte persa, di un ruolo altalenante e non svolto appieno. Le cause sono chiare e devono essere spiegate, se vogliamo affrontare la riforma che ci aspetta con consapevolezza, avendo ben chiari quali devono essere gli obiettivi da perseguire.
In merito al dibattito sulla riorganizzazione della rete ospedaliera in Basilicata e sulla riduzione dei livelli di assistenza quanto pesano secondo lei i vincoli nazionali di bilancio?
Caro dr. Bitetti, consentimi di dare a questa risposta un titolo, “Equità territoriale”: tra Italia del Nord e del Sud e tra Potenza e Matera. A gennaio dello scorso anno in previsione della campagna elettorale comunale tenni una conferenza su un nuovo welfare, un nuovo modo di pensare le politiche sociali, soprattutto nel desiderio di offrire una base di discussione alle forze politiche, che di lì a poco avrebbero spiegato i loro programmi agli elettori materani. Certamente la mia incapacità, poi la pandemia virale, ma anche una certa debolezza delle forze in campo non hanno favorito una vera discussione, non essendo estranea anche la complessità dei problemi e la tendenza attuale a buttarla sempre in caciara, invece di ripiegarsi sullo studio nel rispetto delle altrui posizioni.
In quel contesto partii da alcuni dati che mi sembrano illuminanti.
Il rapporto 2020 del noto Centro studi EURISPES accerta che dal 2000 al 2017 lo Stato italiano ha sottratto al Sud 840 miliardi di euro, in media 46,7 miliardi all’anno. Non solo sottratti, ma dati al Nord. Altro che i 240 miliardi del PNRR!!
Effetto del mancato rispetto del famoso 34 %, la percentuale della popolazione meridionale che avrebbe dovuto essere anche la percentuale della spesa al Sud.
(Gazzetta del Mezzogiorno 07 Febbraio 2020)
Al Sud, a fronte del 34 % della popolazione, si investe solo il 10% della spesa nazionale e la Basilicata è una Cenerentola perchè, in tutti i settori, si dibatte in coda alla graduatoria delle regioni.
In totale la spesa pro capite è di 60 euro, contro i 116 di media nazionale, penultimi in Italia (dati ISTAT 2016). E poi:
– Per gli anziani lucani la spesa ammonta a 42 euro (92 euro la spesa nazionale)
– Per i disabili lucani la quota è di 1.300 euro (2.854 euro la spesa nazionale)
– Per famiglia e minori lucani 86 euro (a livello nazionale 172 euro)
– Per la lotta alla povertà 7 euro per i lucani (14 euro la spesa nazionale)
(Gazzetta del Mezzogiorno del 09/01/2019)
La prima immediata conseguenza che deriva da questi dati è che esiste il problema di “una nuova povertà”, che appare assai più complessa ed articolata di ciò che i dati ufficiali, basati sulla sola spesa per consumi, possano far credere. Non vi è dubbio che esista una povertà legata alla mancanza di lavoro o alla precarietà del lavoro, ma la fragile condizione esistenziale di moltissimi cittadini è troppo spesso legata alla presenza, nel nucleo familiare, di soggetti con patologie o esigenze di assistenza socio-sanitaria, come anche di incapacità ad instaurare relazioni soddisfacenti e continuative con il proprio ambiente di vita, che genera esclusione sociale ed abbassamento della qualità della vita.
Nella nostra Regione poi esiste una evidente diseguaglianza tra i territori e tra le due principali città. Pochi abitanti ed un territorio vastissimo non aiutano l’organizzazione dei servizi. Una popolazione che invecchia, la scarsa natalità, una economia a prevalenza agricola e marginale dei territori interni, problemi infrastrutturali secolari e la fragilità del territorio avrebbero dovuto far sviluppare negli ultimi 50 anni politiche di equa distribuzione delle risorse, favorendo le politiche familiari, una sanità di prossimità e di presa in carico, al giorno d’oggi favorite anche dalla tecnologia.
L’emigrazione sanitaria rappresenta un problema per molte regioni del Sud Italia, Basilicata compresa: quanto crede possa incidere su questo fenomeno una carente programmazione regionale?
L’emigrazione sanitaria è un fenomeno ormai diventato stabile, direi inevitabile.
Il San Carlo non ha mai svolto in pieno il compito che si era autoassegnato, non è stato e non è l’ospedale per la sanità d’eccellenza. I materani si rivolgono di preferenza a Bari ed Acquaviva e gli abitanti della provincia a Taranto, Lecce e Bari. Per le patologie salva-vita a Milano, Bologna, Padova, Roma e Firenze. I dati del bilancio 2016 della ASM parlano chiaro a tale riguardo ed anche lo studio del dr. Angelo Andriulli, allestito per il Circolo La Scaletta, sottolinea tali evidenze.
Dirò di più, il Madonna delle Grazie contribuisce non poco a ridurre lo sbilanciamento emigrazione-immigrazione, accogliendo pazienti da Altamura, Santeramo e Laterza, mentre Policoro è preferita dai cittadini del nord cosentino e dai paesi del sud della Basilicata.
Un ruolo a parte, ma molto significativo, è svolto dal Crob Rionero, che vanta una forte immigrazione oncologica dal nord della Puglia, come anche da Pescopagano e da Lagonegro, relativamente alla Campania meridionale.
Come si può facilmente capire la prima decisione che occorrerebbe prendere è un declassamento del San Carlo, portandolo a DEA di I livello con le stesse funzioni del Madonna delle Grazie, inoltre occorrerebbe potenziare le “torri” eccentriche di Matera, Melfi, Lagonegro e Policoro per favorire una sana immigrazione dalle regioni a noi confinanti ma soprattutto velocemente investire ingenti risorse nella sanità territoriale.
Non ti appaiano idee bislacche di un inveterato campanilista, tutto questo sarebbe la diretta conseguenza dell’applicazione del DM 70/2015 [quello che definisce gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi che l’assistenza ospedaliera deve offrire ai residenti in Italia] e di una certa logica imprenditoriale.
Il Piano nazionale delle cronicità ha dettato la linea della sanità del futuro, il Corona-virus ha dato una spallata definitiva alla vecchia progettazione ospedalo-centrica e ci ha fatto capire quello che in verità era chiarissimo da molto tempo.
L’allungamento dell’aspettativa di vita e la maggiore prevalenza delle patologie croniche e rare ad alta complessità assistenziale e neurodegenerative, unitamente al miglioramento delle cure disponibili e delle tecnologie a supporto, impone un ripensamento del sistema di offerta sanitaria. Una persona affetta da acuzie entra in ospedale dal quale esce – di norma – dopo un breve periodo, al contrario un malato con ipertensione, diabete, BPCO, demenza, è tale 24 h al giorno e 365 gg all’anno, rischiando, a volte, di far ricadere gli effetti negativi della malattia sui familiari che lo assistono. È necessario pertanto porre il territorio in condizioni di operare aumentando la sua capacità di intercettare, prendere in carico e dare risposta ai bisogni di salute dei cittadini, bisogni sempre più complessi e a rilevante impatto sociale, conciliando esigenze di equità e solidarietà con il quadro delle risorse disponibili. Per perseguire questo obiettivo occorre spostare la cura delle patologie, in particolare quelle croniche e quelle rare, complesse, gravi, dall’ospedale al territorio dove ormai è provato che una loro gestione, a parità d’efficacia, è sicuramente meno dispendiosa e più gradita da parte dei cittadini.
A giugno dell’anno scorso ho protocollato in Regione, per il tramite del consigliere Enzo Acito, una bozza di riforma territoriale, mai presa in considerazione, mai neanche sfogliata.
Sarebbe troppo lungo parlarne in questa sede, mi piace solo dire che gli stessi concetti, le stesse sfide sono oggi contenute nel Recovery Plan, ovvero nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, progettato dal governo Draghi su linee imposte dalla UE.
Qual è la risposta del Dipartimento Sanità? Lasciare tutto come sta, ignorando i bisogni assistenziali delle periferie, le cronicità e la presa in cura dei pazienti gravi, dirottare subito 18 milioni di euro sulla istituenda Facoltà di Medicina (a regime non sappiamo quanto potrebbe costarci, perché, ovviamente, si sta partendo per questa follia senza un piano di analisi dei costi) e soprattutto progettare il potenziamento del San Carlo, che necessariamente dovrà diventare un Policlinico universitario.
L’Associazione Amici del cuore da lei fondata opera da anni nel nostro territorio portando le buone pratiche cliniche anche al di fuori dei confini regionali. Ritiene che quest’esperienza possa offrire anche solo una indicazione di metodo per l’approccio ai tanti problemi della sanità lucana?
Venticinque anni fa partimmo per questa avventura, avendo ben in mente che una grande associazione di volontariato (più di 1200 iscritti, forse la più scelta in Basilicata per il 5xmille) deve agire con un alto tasso di organizzazione ed una grande professionalità. Il volontariato tutto cuore e amore verso il prossimo, è bellissimo ed a suo modo necessario, ma corre il rischio di non dare adeguate risposte nel tempo. Non parlerò di tutte le iniziative che l’associazione ha sviluppato dalla sua nascita. A giorni sarà pubblicato, in occasione del 25° anniversario, un libro bianco che tutti potranno leggere.
Poiché abbiamo parlato di sanità regionale, voglio spiegare che, pur avendo l’associazione creato un Ambulatorio di Cardiologia sociale fornito di tutti gli elementi e le caratteristiche per l’accreditamento con il Sistema sanitario regionale, non è mai stata contrattualizzata, pur erogando gratuitamente centinaia di prestazioni di diagnostica cardiologica.
Questo atteggiamento è perfettamente in linea con la “difficoltà” (diciamo così per non mancare di rispetto a nessuno) del Dipartimento sanità regionale a sviluppare politiche territoriali di sanità affidata ai privati. Il Corona-virus invece ha dimostrato che un minimo di attività si è svolta nei momenti più bui solo grazie ai centri convenzionati-accreditati, ai medici ed ai pediatri della medicina generale, ai dentisti privati. E’ di stamattina la notizia che la UE vorrebbe condizionare l’erogazione dei fondi all’assunzione da parte della Regione dei medici di medicina generale. Francamente spero proprio che non accada.
Quello che voglio dire per migliorare la risposta alla tua domanda è che nella nostra Regione occorre più Medicina privata accreditata, che interloquisca con la sanità pubblica e ne sia un elemento caratterizzante. Non spero che si arrivi al 40% della Lombardia, ma che si migliori il 2-3% attuale mi sembra un buon obiettivo.
5) Il Circolo culturale la Scaletta ha fatto dono alla comunità regionale di un rapporto sulla qualità dell’assistenza ospedaliera erogata negli ultimi 40 anni in Basilicata. Ciò significa che anche la società civile è chiamata a dare un proprio contributo?
Il Circolo culturale La Scaletta non poteva che appassionarsi alla discussione. Il suo Consiglio Direttivo ha sposato in pieno tutte le tesi che ho cercato brevemente di sviluppare, trovando sulla sua strada nella persona del dottor Angelo Andriulli, uno studioso disinteressato ed obiettivo. Venerdi 21 maggio abbiamo presentato alla stampa, presenti l’assessore Leone, alcuni consiglieri della maggioranza, i dottori Sacco e Morelli e molti giornalisti, un check-up della rete ospedaliera della nostra Regione. Troppo complesso e pieno di tecnicalità per parlarne in questa sede, ma brevemente possiamo dire:
- Il calo demografico ha investito soprattutto l’area potentina (10.9%), mentre nel Materano si è fermato al 4,3%. La città di Matera anzi fa registrare un buon balzo in avanti. Tutti i distretti hanno perso fette di popolazione, tranne Matera.
- Tutta la popolazione presenta indici di invecchiamento molto alti, a cui non si aggiunge un aumento della natalità
- Dobbiamo registrare una carenza di posti letto: per una popolazione di 556.934 residenti al 1° gennaio 2020, il 37 per 10.000 di posti previsti comporterebbe la disponibilità totale di 2.061 posti letto (379 in più di quelli attivati nel 2018), di cui 1.671 per le degenze ordinarie (140 in più rispetto ai 1.531 esistenti al 2018), e di 390 per l’area della riabilitazione e lungodegenza (59 in più rispetto ai 331 esistenti al 2018). Di fronte all’invecchiamento della popolazione, la programmazione regionale non ha provveduto a un sostanziale potenziamento dei posti letto per l’area riabilitativa e la lungodegenza, passati da un valore di 5,3/10.000 residenti nel 2010, al 5,9/10.000 nel 2018. Di pari passo, di fronte ad una cresciuta denatalità, i posti letto per l’area materno-infantile sono aumentati: 3,6/10.000 residenti del 2010 e 3,9/10.000 nel 2018.
- In base ai dati del 2018, il personale risulta carente di 397 unità rispetto alla forza lavoro in servizio nel 2010 (7.665). È da rimarcare il dato relativo alla perdita di 71 unità dell’area medica, e a 189 di quella infermieristica. Per quanto riguarda l’Azienda Sanitaria di Matera, si dispone anche del dato relativo al 2019, quando si è registrato un ulteriore calo di 108 unità lavorative nel volgere di un unico anno, con l’uscita dal servizio di medici e infermieri. Nel triennio prossimo sono previste assunzioni, ma potranno essere disposte soltanto previa verifica della loro compatibilità economica, vale a dire rispettando il tetto di spesa del personale stabilito a livello regionale. Si rinnova perciò la preoccupazione che le ventilate nuove assunzioni di personale non si traducano in realtà a motivo della predetta “compatibilità economica”.
- I tassi di ospedalizzazione sono in linea con la media nazionale e con l’indicazione del Ministero. Si rimane perplessi nel constatare che, pur essendo tale tasso prossimo al valore previsto dal D.M. del 2015 già a partire dalla rilevazione del 2011, nell’ultimo decennio si sia ancora operato per ridurre le ospedalizzazioni più del richiesto. La qual cosa può essere letta in due modi: o come volontà di recupero dell’appropriatezza assistenziale, o come frutto del parallelo decremento nella disponibilità di posti letto in Regione, con il conseguente aumento delle liste di attesa per i ricoveri e l’incremento delle fughe verso presidi ospedalieri extra-regionali.
- La degenza media è stata perfettamente in linea con gli analoghi dati nazionali.
- L’indice di rotazione, ovvero il rapporto tra il numero dei dimessi in degenza ordinaria per acuti ed il totale dei posti letto sempre per la degenza ordinaria è un altro parametro di efficienza delle prestazioni socio-sanitarie. In completa assonanza con il dato nazionale, l’indice di rotazione per l’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza si è attestato sul valore 37.1, mentre ottima performance si è registrato per l’Azienda Sanitaria di Matera con un punteggio di 44.9, che risulta essere migliore di quello ascritto globalmente alla Regione Emilia-Romagna.
- la Regione Basilicata viene rappresentata con il maggiore indice di fuga (al secondo posto dopo quello della Regione Molise), ma anche da una buona capacità di attrarre ricoveri, superiore a quella fatta registrare da regioni come l’Emilia-Romagna e l’Umbria: i valori ammontano al 17% e al 24% per i due rispettivi indici. L’alto indice di attrazione potrebbe essere ascritto alla presenza di centri di eccellenza per particolari patologie erogate in Regione, ma anche alla prossimità territoriale e, quindi, alla facilità di accesso a presidi ospedalieri limitrofi. Anche accettando questa seconda ipotesi come la più veritiera, l’alto indice di attrazione deve essere attentamente valorizzato dal legislatore sanitario lucano: la rete ospedaliera della Regione Basilicata risulta, quindi, in grado di rispondere alle esigenze di residenti in aree limitrofe della Puglia, Campania e Calabria.
- La mobilità intra-regionale dell’ASM ha evidenziato una crescente tendenza dei ricoveri erogati a pazienti residenti in Provincia di Potenza.
- In questo contesto non parlerò del Piano nazionale Esiti, troppo complesso. Sinteticamente dirò che negli ambiti Infarto del miocardio, Frattura del femore, Parto cesareo, Colecistectomia laparoscopica occorre ancora lavorare moltissimo, ulteriore dimostrazione del fatto che il San Carlo non svolge nessun ruolo di eccellenza regionale.
- La suddetta analisi suggerisce alcune indicazioni su cui richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica lucana e degli attuali e futuri legislatori regionali:
➢ Risulterebbe non coerente con i dettami del D.M. 70/2015 una legislazione che prevedesse altri tagli dei posti letto e del tasso di ospedalizzazione;
➢ L’adeguamento della ricezione ospedaliera alle variazioni demografiche della popolazione richiede di incrementare le UU.OO.CC. di geriatria e l’area riabilitativa e di lungodegenza e di ridurre le unità di pediatria e i punti nascita;
➢ Considerare opportunamente la tendenza, inarrestabile, alla migrazione dei residenti da zone montuose ed impervie;
➢ Ripristinare la forza di lavoro sanitaria, rimuovendo il blocco alle nuove assunzioni; messa in atto di importanti investimenti sia di tipo tecnologico e strutturale, ma anche indirizzati al miglioramento professionale delle risorse umane;
➢ Ridefinire la disponibilità delle discipline medico-chirurgiche in base alla frequenza delle relative patologie nella popolazione, e alla numerosità minima di casi per motivare un reparto ospedaliero con un Direttore di struttura complessa.
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