La responsabilità dei cattolici per un giornalismo costruttivo

Il convegno su ”Informazione, Democrazia e Mezzogiorno" organizzato dall'Unione Cattolica della Stampa Italiana e dagli Uffici delle Comunicazioni sociali delle diocesi lucane.

Qual è il ruolo dei giornalisti cattolici in una società come quella meridionale che aspira a una maggiore partecipazione democratica? È un interrogativo che è stato posto nel corso del convegno che si è svolto a Potenza presso l’auditorium del Seminario Maggiore, convegno organizzato dall’Unione Cattolica della Stampa Italiana e dagli Uffici delle Comunicazioni sociali delle diocesi lucane nel giorno 9 maggio scorso.

Sul tema ”Informazione, Democrazia e Mezzogiorno”, si sono confrontati Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), Vincenzo Varagona, presidente dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), Mauro Ungaro, presidente della Federazione Italiana Stampa Cattolica (FISC), don Domenico Beneventi dell’Ufficio Nazionale Comunicazioni sociali della CEI. Ha moderato l’incontro Cinzia Grenci, presidente UCSI di Basilicata ed ha presieduto mons. Ciro Fanelli, vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa e delegato per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale di Basilicata che ha promosso l’iniziativa.

Mauro Ungaro, a proposito della realtà unitaria rappresentata da giornali diocesani aderenti alla FISC, ha ricordato che sono circa 190 le testate che fanno parte di questa importante realtà associativa, il più grande network informativo italiano con una diffusione di 500-600mila copie settimanali, senza contare il digitale. Ma non sono soltanto i numeri il punto di forza di questa realtà. Per questo, ha ricordato sempre Ungaro, il presidente Mattarella ha definito i giornali della FISC un presidio di democrazia, individuando questa risorsa nel forte legame col territorio che i giornali diocesani hanno. Oltre questo, non è trascurabile il fatto che per l’informazione cattolica il territorio è un luogo teologico, come ricorda l’incipit della Gaudium et Spes, che può essere considerato l’editoriale più bello che possa essere scritto.

In questa Costituzione conciliare leggiamo: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. […] Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”.

Non può esserci comunità, ha detto don Mimmo Beneventi, dell’Ufficio Comunicazioni sociali della CEI, se non c’è informazione; è per questo che il papa ci invita a essere comunità in uscita. Sappiamo bene che la Chiesa è chiamata a realizzare la sua missione nella storia. Quindi il giornalista cattolico deve saper riportare nello spazio pubblico e secolare la specifica visione cristiana della storia. Cercando di capire, per esempio, come nella società del Mezzogiorno l’informazione giornalistica può contribuire a edificare la comunità e come è capace di educare al bene comune.

Guardando al contesto meridionale e al deficit di informazione che si registra, per Vittorio Di Trapani della FNSI il digitale potrà essere una grande opportunità per il territorio. Qui certamente si assiste all’increscioso fenomeno del linguaggio d’odio che i social spesso sviluppano, ma se si usano i social in quella che è la loro caratteristica propria, si vede come invece i media possono essere un’opportunità per creare comunità e per dare voce a chi non ha voce, come spesso viene sollecitato da papa Francesco. E come del resto ha fatto il fotoreporter lucano Raffaele Ciriello, che vent’anni fa ha dato la vita per documentare le sofferenze della popolazione palestinese nel corso di un reportage da Ramallah. Raccontare l’altro è un modo per accorciare le distanze ed è proprio così che si costruisce comunità.

Questo è stato un concetto su cui ha insistito anche Vincenzo Varagona, presidente UCSI, per il quale i cattolici hanno la responsabilità di un giornalismo costruttivo, capace di recuperare una dimensione umana nei rapporti, capace cioè di quell’empatia di cui parla papa Francesco. Spesso si fanno inchieste soltanto per consolidare i propri pregiudizi invece di aprirsi all’altro. I cattolici, inoltre, dovrebbero evitare di rifugiarsi in quell’informazione di nicchia rappresentata dalle buone notizie, praticando invece un giornalismo capace di essere di sostegno agli uomini in tutte le circostanze, anche quelle drammatiche della vita.

Una preoccupazione emersa negli interventi dell’assemblea è stata quella di esprimere un giudizio critico rivolto a tutto il sistema dell’informazione italiana che proprio nella società meridionale mostra in maniera più accentuata le sue contraddizioni; addirittura radicalmente calvinista, per riprendere un’espressione usata nel convegno.

Le ragioni certamente per giudizi del genere non mancano e basta guardare a quello che sta avvenendo nel mercato dei giornali per rendersi conto di quanto grave sia la mortificazione della professione giornalistica.

Se il mondo dell’informazione rischia di diventare sempre più divisivo e se spinge verso una lacerazione del tessuto sociale, è urgente, soprattutto nella problematica realtà del Mezzogiorno, che il giornalismo cattolico sia capace, come si è detto, di recuperare lo spirito di essere comunità, sia capace di rigenerare una società.

Cinzia Grenci ha affidato le conclusioni del convegno a mons. Fanelli il quale ha valutato positivamente che, a un anno dalla rinascita dell’UCSI, ci sia stato un confronto così costruttivo e che questo sia nato anche in sinergia con la Commissione episcopale regionale delle comunicazioni sociali. Per il vescovo, questo momento ha rappresentato indubbiamente una prima tappa che dovrebbe prevedere altri momenti in cui sia possibile ritrovarsi insieme. Evidentemente è necessario uscire dall’ambito ristretto di una nicchia per esserci di più sul territorio. E questo è possibile se, come cattolici si fa cadere l’attributo “cattolico” perché, come per altre professioni, essere giornalisti cattolici significa sostanzialmente essere bravi professionisti.

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Paolo Tritto

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