La notte di San Lorenzo tra stelle cadenti e desideri
“San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla”:
G. Pascoli, X Agosto
Chi non conosce il celebre esordio della poesia “X Agosto” di Giovanni Pascoli, contenuta nella raccolta Myricae?
Di sicuro i ricordi di tutti correranno ai banchi di scuola, ma non solo: chi di noi, infatti, in cuor suo, non ha mai espresso un desiderio guardando estasiato lo spettacolo delle stelle cadenti? Non è questione di superstizione, ma di accarezzare dolcemente i propri sogni e di porsi, così, in ascolto della propria anima. O chi non ha mai trascorso la famosa “notte” in compagnia di un gruppetto di amici? Come la notte di Natale e di Pasqua si veglia attendendo la nascita e la resurrezione di Cristo, così la notte di San Lorenzo è una notte di luce, una sorta di veglia laica nel grande tempio del creato.
Lorenzo, un diacono al servizio della Chiesa e dei poveri
Forse, però, non tutti conoscono la storia del diacono Lorenzo, ricordato nel Martirologio Romano.
Per iniziare: “Lorenzo” è un nome di origine latina (deriva infatti da “Laurentius”) che vuol dire “abitante di Laurentum”, città dell’antico Lazio il cui nome, a propria volta, significa “città dell’alloro” (in latino “laurus”, la pianta sacra ad Apollo, il dio della poesia). E leggenda vuole che il nostro Santo debba il suo nome proprio al fatto di essere nato sotto un alloro.
Di sicuro, sappiamo che egli nacque in Spagna, nella città aragonese di Osca (Huesca in spagnolo), nella prima metà del terzo secolo. In seguito, egli giunse a Roma, dove, per il suo particolare carisma nell’assistenza ai bisognosi e per la sua integrità morale, Papa Sisto II lo nominò arcidiacono, cioè “capo” dei sette diaconi posti, all’epoca, al servizio della Chiesa di Roma. Lorenzo, quindi, continuò a distinguersi nell’amore verso i poveri e nello zelo per l’amministrazione dei beni ecclesiastici fino a quando, nel 258, l’imperatore Valeriano non scatenò una durissima persecuzione contro i cristiani, in cui persero la vita molti vescovi, presbiteri e diaconi nonché, ai primi di agosto, lo stesso Papa Sisto II.
Qualche giorno dopo, la stessa sorte sarebbe toccata al nostro Lorenzo: in particolare, secondo la tradizione, prima del martirio il prefetto imperiale avrebbe chiesto al futuro Santo di consegnare tutti i “tesori” della Chiesa, di cui egli era amministratore. Lorenzo, allora, non ci pensa due volte: dopo aver distribuito tutti i beni della Chiesa a poveri, malati e derelitti d’ogni tipo, si reca dal prefetto del pretorio con al seguito questa grande folla di bisognosi e, con orgoglio, esclama: “Ecco i tesori della Chiesa!” Va così incontro al martirio, avvenuto, secondo le fonti antiche, su una graticola (o, stando a riscontri più moderni, per decapitazione). Lorenzo aveva, all’epoca, proprio 33 anni, la stessa età di Gesù al momento della morte in croce.
Dalla tradizione popolare alla poesia X Agosto di Pascoli
Ma qual è il legame che unisce la storia del diacono Lorenzo alla tradizione delle stelle cadenti e alla poesia di Giovanni Pascoli? Di certo, nel tempo, il fenomeno dello sciame meteorico delle Perseidi ha sollecitato, nella fantasia e nella devozione popolare, l’accostamento con il pianto del Cielo per l’atroce supplizio di Lorenzo oppure con le lacrime versate dal Santo al momento del martirio.
A questo significato, il poeta Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) ne associa uno più intimo e personale: il 10 agosto del 1867, infatti, suo padre, Ruggero Pascoli, fu ucciso a fucilate mentre tornava a casa dal mercato di Cesena, probabilmente da un rivale che aspirava a prendere il suo posto come amministratore. I sicari e i mandanti di quell’omicidio non furono mai individuati. Le lacrime del Cielo, quindi, diventano le lacrime per la morte del padre (o, potremmo ipotizzare, le lacrime di Ruggero per non aver mai più rivisto i suoi cari).
Sappiamo che Pascoli non era credente, tanto che, nel verso finale del componimento, non esita a definire il mondo quale “atomo opaco del Male”. Nonostante questo, all’interno della poesia, è possibile rintracciare alcuni riferimenti cristologici, a partire dal titolo, X Agosto, dove la X allude alla Croce di Cristo (il sacrificio di Gesù viene così collegato al “martirio” toccato al padre Ruggero).
Successivamente, ai versi 5 e 6 (“Ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero: cadde tra spini”), nel paragonare una rondine caduta al suolo al padre che giace esanime a terra, Pascoli, con il termine “spini”, richiamerebbe la corona di spine posta sul capo di Gesù durante la Passione. Più avanti, al v. 10 (“Ora è là, come in croce”), il poeta allude ancora, come nel titolo, all’immagine della Croce di Cristo. Subito dopo, però, al verso 11, segue una locuzione colma di disincanto come “cielo lontano”, ripetuta identica al v. 20 (per il poeta, infatti, il Cielo è del tutto indifferente al dolore dell’uomo).
Infine, poco oltre la metà del componimento, ai versi 14 e 15 (“Anche un uomo tornava al suo nido: / l’uccisero: disse: Perdono”), la parola “perdono” traccia un parallelo tra le parole che avrebbe pronunciato Ruggero Pascoli perdonando i suoi uccisori e quelle pronunciate da Gesù in Croce (Luca, 23.34: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.)
Pronti, allora, dopo questo excursus, per la prossima notte delle stelle cadenti? Che siate soli o in compagnia, sulla terrazza delle vostre case o in riva al mare, una cosa è certa: è il momento giusto per cercare la Luce nella notte, per poter dire, insieme al grande Dostoevskij, “La mia notte fu migliore del giorno” .
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