Papa Francesco arriva allo stadio alle 8,40 Matera in perfetto orario nonostante le condizioni metereologiche avverse abbiano costretto a cambiare programma facendo atterrare il Santo Padre a Gioia del Colle indi venire a Matera in auto. Comunque, il percorso a Matera della papamobile è stato quello previsto perchè dal Campo-scuola di Atletica Leggera in Viale delle Nazioni Unite si è recata allo Stadio comunale.
Allo stadio comunale XXI Settembre il Santo Padre è accolto dal card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, dall’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Antonio Giuseppe Caiazzo. Erano presenti moltissime autorità tra cui il Presidente della Regione Basilicata Vito Bardi, il Prefetto di Matera Sante Copponi, il Sindaco di Matera Domenico Bennardi, il Presidente Provincia di Matera Piero Marrese.
In uno stadio traboccante di 13000 persone tra pellegrini, circa 1000 delegati di 170 Diocesi presenti al Congresso, 100 vescovi, pellegrini e turisti presenti a Matera. Ricca anche la presenza della stampa; pervenuti e accreditati circo 160 tra giornalisti di testate nazionali e locali e operatori televisivi e fotografici.
In perfetto orario si svolta la Santa Messa presieduta dal Santo Padre e concelebrata dal card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana; mons. Salvatore Ligorio, Arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo e metropolita di Basilicata ed infine mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina.
Ha animato la liturgia il Coro diocesano formato da 500 persone provenienti da tutte le parrocchie della Diocesi, diretto da don Vito Burdo con l’accompagnamento musicale della magnifica Orchestra Sinfonica di Matera, diretta dal maestro Carmine Catenazzo.
Impeccabile il servizio offerto dai 360 volontari provenienti da tutta la Diocesi di Matera-Irsina, a cui si sono uniti 200 uomini e donne della Protezione Civile. Perfetto il servizio d’ordine assicurato dalla Polizia Locale e dalle Forze dell’ordine presenti in tutti i momenti del Congresso fino alla Messa del Papa.
Anche le condizioni metereologiche hanno assicurato un clima favorevole per un sereno e fruttuoso svolgimento dei lavori del Congresso.
Il Santo Padre, pur con una visibile stanchezza dovuta al viaggio e soprattutto all’impegnativa giornata svolta ad Assisi il giorno precedente, ha offerto il meglio di sé con la solita gioiosità lungo il percorso cittadino e all’arrivo allo stadio salutando e bendecendo tutti, in particolare i bambini.
Nell’omelia Papa Francesco evidenzia che “l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio” e da ciò ne consegue che “Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio: pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita”. La parabola del ricco purtroppo è ancora tuttora valida e prevale “la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote“.
E il Papa, dopo bellissime riflessioni (che possiamo trovare nel testo integrale dell’omelia in altra parte della pagina) conclude affermando: “Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità”. Ed ancora: “Ma, peccatori, torniamo al gusto dell’Eucaristia, al gusto del pane. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù. Perché Lui è l’unico che vince la morte e sempre rinnova la nostra vita“.
A fine Messa il Santo Padre ha recitato l’Angelus domenicale.
A conclusione della Messa e del Congresso eucaristico nazionale, il card. Matteo Maria Zuppi ha ringraziato il Papa per il dono della sua presenza, dicendo tra l’altro: “In un mondo così abbiamo trovato il gusto del pane che ci dona sempre l’Eucaristia, frutto dell’amore pieno di Cristo che diventa amore per i suoi fratelli più piccoli e per il prossimo” e facendo un veloce bilancio delle giornate nella città dei Sassi: “Abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo”.
Infine, con un fuori programma, Papa Francesco si è fermato a benedire la nuova Mensa dei poveri la Casa della Fraternità “Don Giovanni Mele” – diretta con diligenza e passione da Maria Rosaria Di Muro – , la cui inaugurazione era stata inserita nell’originario programma della visita pastorale, prima della indizione delle elezioni politiche per il 25 settembre.
VISITA PASTORALE A MATERA
PER LA CONCLUSIONE DEL 27° CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Stadio comunale XXI Settembre (Matera)
Domenica, 25 settembre 2022
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Ci raduna attorno alla sua mensa il Signore, facendosi pane per noi: «È il pane della festa sulla tavola dei figli, […] crea condivisione, rafforza i legami, ha gusto di comunione» (Inno XVII Congresso Eucaristico Nazionale, Matera 2022). Eppure, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso: questo è vero; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia.
Ci fa bene fermarci davanti alla scena drammatica descritta da Gesù in questa parabola che abbiamo ascoltato: da una parte un ricco vestito di porpora e di bisso, che sfoggia la sua opulenza e banchetta lautamente; dall’altra parte, un povero, coperto di piaghe, che giace sulla porta sperando che da quella mensa cada qualche mollica di cui sfamarsi. E davanti a questa contraddizione – che vediamo tutti i giorni – davanti a questa contraddizione ci chiediamo: a che cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita del cristiano?
Anzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio: pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. E con questo ha perso anche il nome. Il Vangelo non dice come si chiamava: lo nomina con l’aggettivo “un ricco”, invece del povero dice il nome: Lazzaro. Le ricchezze ti portano a questo, ti spogliano anche del nome. Soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso. Non a caso, di lui non si dice il nome: lo chiamiamo “ricco”, lo definiamo solo con un aggettivo perché ormai ha perduto il suo nome, ha perduto la sua identità che è data solo dai beni che possiede. Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre. A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa “Dio aiuta”. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita.
Ecco allora la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: adorare Dio e non sé stessi, non noi stessi. Mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto. Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero. Riscopriamo la preghiera di adorazione, una preghiera che si dimentica con frequenza. Adorare, la preghiera di adorazione, riscopriamola: essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, non di schiavi.
Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle –, ci “scaviamo la fossa” per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo.
Cari fratelli e sorelle, è doloroso vedere che questa parabola è ancora storia dei nostri giorni: le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono – tutte queste cose – lasciarci indifferenti. E allora oggi, insieme, riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: conversione dall’indifferenza alla compassione, conversione dallo spreco alla condivisione, conversione dall’egoismo all’amore, conversione dall’individualismo alla fraternità.
Fratelli e sorelle, sogniamo. Sogniamo una Chiesa così: una Chiesa eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione e tenerezza dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti “Lazzaro” che anche oggi ci camminano accanto. Tanti!
Fratelli, sorelle, da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, apostoli di giustizia, apostoli di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte.
Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane. Tutti siamo peccatori: ognuno di noi porta i propri peccati. Ma, peccatori, torniamo al gusto dell’Eucaristia, al gusto del pane. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù. Perché Lui è l’unico che vince la morte e sempre rinnova la nostra vita.
È con un fuori programma il viaggio del Papa a Matera, a conclusione del Congresso eucaristico nazionale. Subito dopo la Messa allo stadio, Papa Francesco si è recato in auto presso la Mensa dei poveri “Casa della Fraternità” don Giovanni Mele, una delle opere-segno del Congresso eucaristico nazionale, che nella prima versione del programma ufficiale del viaggio apostolico, poi ridotto nei tempi, avrebbe dovuto inaugurare proprio oggi. E la benedizione è comunque avvenuta: il Papa è entrato nella mensa dei poveri in carrozzella, accompagnato dall’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo. Poi la breve visita in forma privata, al riparo dalle telecamere, alla mensa voluta dalla Fondazione Giuseppe Tamburrino e presieduta da Maria Teresa Di Muro, che al Sir aveva espresso il desiderio del passaggio del Pontefice: “Anche se il Papa non viene, stiamo facendo tutto come sa venisse”. E il suo desiderio è stato accontentato, subito prima della partenza di Francesco per Roma. Bagno di folla, oltre 12mila persone, nello stadio di Matera per la celebrazione eucaristica concelebrata dal Papa insieme a 80 vescovi e accompagnata dal suono del Coro e dell’Orchestra Sinfonica di Matera, diretta dal Maestro Carmine Antonio Catenazzo. 360 i volontari, a cui si sono uniti 200 uomini e donne della Protezione Civile. “Adorare Dio e non sé stessi”: è questa, per il Papa, “la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: “Mettere lui al centro e non la vanità del proprio io. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io;se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto”. Durante l’Angelus, anche un pensiero per il nostro Paese: “Io oserei oggi chiedere per l’Italia più nascite, più figli”.
Lazzaro coperto di piaghe e il ricco che banchetta lautamente: due modi di vivere in stridente contrasto ancora oggi. Il ricco, racconta Francesco a proposito della parabola, “pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. Nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso”. Non a caso, di lui non si dice il nome. “Com’è triste anche oggi, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano”, il monito del Papa:
“È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote, sempre”.
Perché “io non sono le cose che possiedo e i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno”. Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli:
“Il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”.
“Le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti”. L’Eucaristia, osserva Francesco, “è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: dall’indifferenza alla compassione, dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo alla fraternità”.
“Sogniamo una Chiesa così: eucaristica”, l’identikit di una Chiesa sinodale: “Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti Lazzaro che anche oggi ci camminano accanto”.
“Ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia”, conclude il Papa da Matera, città del pane: “Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza e di misericordia per tutti”.
“Pensiamo oggi sul serio sul ricco e su Lazzaro”, aggiunge il Papa a braccio: “Succede ogni giorno e tante volte anche a noi. Vergogniamoci! Succede in noi, questa lotta, e fra noi, nella comunità”.
“Grazie di essere venuto, grazie di questa fatica che volentieri, e sempre con il sorriso, ha intrapreso per stare con noi. Lei è un esempio per tutti, anche per tanti musoni”, le parole di ringraziamento del card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, che ha fatto eco alle parole del Papa mettendo in guardia dal “virus” dell’individualismo. “La guerra brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici”, il riferimento all’attualità. “In un mondo così abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo”, il bilancio delle giornate nella città dei Sassi.
Di M.Michela Nicolais dal SIR del 25 settembre 2022
“La guerra brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici”. Lo ha detto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nelle parole di ringraziamento al termine della Messa presieduta dal Papa allo stadio di Matera, a conclusione del Congresso eucaristico nazionale. “In un mondo così abbiamo trovato il gusto del pane che ci dona sempre l’Eucaristia, frutto dell’amore pieno di Cristo che diventa amore per i suoi fratelli più piccoli e per il prossimo”, il bilancio delle giornate nella città dei Sassi: “Abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo”. Per Zuppi, “il gusto del pane è amabilità, empatia, passione di ricostruire la comunità lacerata, di difendere la casa comune, gioia, voglia di relazioni con tutti”. “Quando si perde il gusto non si sentono i sapori, le cose si fanno senza voglia, impersonali, senza trovarvi quello che piace”, ha fatto notare il cardinale: “Molti che hanno preso il Covid sono rimasti un tempo privati del gusto. Perdiamo il gusto del pane per colpa di un altro insidioso virus, l’individualismo, che ci illude di trovare il gusto solo moltiplicando le opportunità tanto da sprecarle e togliere il pane a tanti che hanno fame e di fame muoiono”. “Chi trasforma tutto nel consumo finisce per non sentire più il gusto della vita”, la tesi del presidente della Cei: “Tornare al gusto del pane ha significato nutrirci dell’amore concreto e infinito di Cristo, ritrovare la gioia di amore semplice e gratuito, povero e vero, personale e per tutti. L’individualismo porta a dividersi dagli altri, tanto che il mondo arriva alla guerra che poi toglie valore all’individuo e genera solo il gusto della morte”.
Di M.Michela Nicolais dal SIR del 25 settembre 2022
Papa Francesco arriva a Matera: l’arrivo allo stadio
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