La locanda “del buon samaritano”

Una cittadella dell'accoglienza e della carità, un'opera ciclopica che mobilita oltre 40 volontari, alcuni anche la notte, e sollecita tanti materani e non solo alla carità. E' la "locanda del buon samaritano", la realtà a servizio dei poveri (non solo di denaro) che La Redazione ha avuto il piacere di visitare.

«La carità si fa con la carità»

40 volontari che offrono le proprie braccia, la propria mente e il proprio cuore senza tener conto dei “rossi” sul calendario. Una lavanderia che dispensa gratuitamente 6-7 lavatrici al giorno e un medico che mette a servizio la sua professionalità con la più schietta gratuità (e quando la storia e la lingua di un paziente sono poco conosciute è ancora più difficile). Gli “Avvocati di strada” e gli psicologi volontari, che assistono questi signori reduci delle più strane traversie… uno stuolo di benefattori che stimano l’opera e offrono del proprio: denaro liquido oppure doni in natura (alimenti, giocattoli, coperte e vestiti, non importa se nuovi o usati, certo tutti in buono stato). Ecco gli attori che, intorno a don Angelo Tataranni, parroco di S. Rocco dal 2002, formano un esercito di formiche costruttrici di speranza e vita per tanti poveri che bussano alla “Locanda del Buon Samaritano”.

250 pasti giornalieri, circa 30 posti letto e una decina di docce: questo è quello che don Angelo Tataranni, sacerdote della diocesi di Matera classe ’60, ordinato prete nel ‘90, oggi offre ai “suoi” poveri.

Qual è il capitale per realizzare tutto questo? La carità libera di tanti simpatizzanti, senza mai chiedere nulla (“Non chiedo nulla per i sacramenti”, ha sottolineato don Angelo). E la concreta benevolenza del nostro arcivescovo. Don Angelo ha fatto suo il motto di don Pietro Sigurani, sacerdote romano morto qualche anno fa: “La carità si fa con la carità (altrimenti si diventa ricattabili)”. E poi il resto del capitale sono i locali adiacenti e sottostanti la chiesa di S. Rocco, sfruttati nella maniera più intensiva e razionale possibile: l’emporio solidale, le cucine, le camere da letto, i bagni, gli armadi a muro…

Un’opera iniziata a ‘S. Rocco’ nel 2002, quando don Angelo è divenuto parroco qui. Ma avviata già negli anni ’90 alla Palomba, quando don Angelo era rettore di quella chiesa. A Matera c’erano molti meno migranti di oggi e negli spazi dove ora vivono 3 frati, don Angelo “sistemò” 30 bisognosi di alloggio. Un’eredità raccolta da don Giovanni Mele, anche lui prete-carità, fondamentale nella formazione spirituale e pastorale di don Angelo.

Un’opera cresciuta poco alla volta, come il granellino di senape, più piccolo di tutti i semi, che genera quel grande albero dove possono poi trovare riparo tutti gli uccelli. Crescita: non solo consolidamento e ampliamento materiale. Con il tempo don Angelo ha acquisito un’esperienza importante, che gli consente di “fiutare” i casi, cogliere al volo il cuore dei problemi, leggere negli sguardi ansie, timori e remore e… inganni. E accogliere a ritmo di dono.

“Il buon samaritano”

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 

Dal Vangelo di Luca (Lc 10,32-33)

All’iconico personaggio della parabola del vangelo di Luca (Lc 10,25-37) si ispira tutta l’opera di don Angelo: non un sacerdote o un funzionario del tempio si fermano accanto al malcapitato nei briganti, ma un samaritano. Un eretico, un uomo proveniente da una regione, la Samaria, che i Giudei bypassavano per spostarsi dal nord al sud e dal sud al nord della Palestina.

Allo stesso modo non vi sono limiti negli assistiti nella “Locanda” di don Angelo. La misericordia non ha limiti se non il cuore dell’uomo a cui è destinata.

Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 

Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

Dal Vangelo di Luca (Lc 10,36-37)
Chi sono i nostri poveri?
Un’istantanea di questi grandi sconosciuti

“La nostra opera è a servizio di ragazzi e uomini dai 18 ai 70 anni, indipendentemente dalla religione che professano. Ho sottolineato ‘ragazzi’ e ‘uomini’ perché è stato problematico, alle volte, avere a che fare con le donne, com’è successo ultimamente con due ragazze scappate di casa. I poveri sono profughi che vengono segnalati e accompagnati dalle autorità locali di pubblica sicurezza in raccordo con la Prefettura di Matera… migranti africani, indiani, dell’Europa dell’Est… Ma quanti di Matera e dintorni! Magistrati, poliziotti, direttori di banca… che sono scivolati nella ludopatia o nella dipendenza dall’alcool. E si trovano con il portafoglio vuoto o, adusi nel vizio, una bella sera hanno trovato chiusa la porta di casa!”. Sono queste le parole di Giuseppe Nicoletti, alle soglie dei 50 anni, che nella vita è bancario e da anni si dona a questa grande opera di carità il cui regista è don Angelo.

“Giungono qui tramite un primo colloquio in cui cerchiamo di comprendere in cosa consiste la povertà. Se necessario accoglierli a dormire abbiamo una stanzetta ‘di prima accoglienza’ con quattro posti letto e un bagno. Diversamente diamo loro una dono-card, con un numero di punti in funzione della povertà, e possono acquistare ciò di cui hanno bisogno. Ogni prodotto ha un costo espresso da punti, non da euro, che vengono sottratti alla dono-card che abbiamo dato loro”, sono queste le parole di don Angelo. “Dignità” è la parola che ritorna più volte nel suo racconto.

L’emporio solidale “Il granellino di senape”

Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami.

Dal Vangelo di Matteo (Mt 13,31-32)

“Il granello di senape” è il nome espressivo dato al “supermercato” della “Locanda del buon samaritano” dove abbiamo trovato don Angelo all’opera lo scorso sabato mattina. Sì, sembrava di essere in un bel supermercato: scaffali, odore di pulito, frigorifero e cassa. Solo che la cassa va a punti, non a euro. E sulle etichette degli scaffali leggiamo dei punti e non dei prezzi. Ed entrano due volontari che caricano sugli scaffali alcuni prodotti ricevuti con i finanziamenti dell’Unione Europea. Gli altri prodotti sono frutto di donazioni: quante nel periodo di Natale, quanti giocattoli! Ma gli articoli per i bambini non mancano mai!

L’idea di prezzare “a punti” è tipica di molte Caritas italiane: l’idea dell’emporio “Il granellino di senape” è frutto di una visita alla Caritas di Potenza.

E infine, da una porticina che sembrava ammettere in un piccolo ripostiglio si apre – sorpresa! – una stanza da letto: quattro posti di “prima accoglienza” con annesso bagno. Le emergenze sono tante e prima di offrire posto “ufficiale” c’è questo spazio provvisorio.

La Mensa “don Tonino Bello”

È una novità di questi ultimi giorni. Come per un normale ristorante, è stata inaugurata all’indomani della visita delle ASL, dopo gli anni in regime “d’asporto” dovuto all’emergenza sanitaria.

60 posti a sedere, ma in turni successivi possono trovare posto molte più persone. La cucina prepara, infatti,

Sino a 250 pranzi al giorno. E altrettante cene.

Un bancone di distribuzione dove si alternano i volontari e presso cui si mettono in fila gli utenti.

La particolarità è che i volontari della Locanda, oltre a preparare e impiattare, sono chiamati a sedere a tavola con gli utenti della mensa: condividere i problemi, convivere con gli ospiti, essere “in mezzo” per comprendere l’entità reale dei problemi che a volte si raccontano tra le righe, o senza parole. Solo così si può tentare una risoluzione. E il clima di casa ce lo danno, oltre che lo stile con cui le persone vivono questi ambienti, la credenza in legno, la specchiera…

La tela del buon samaritano
Il capolavoro della V B del Liceo Artistico “Duni-Levi” di Matera

Una grande tela dipinta ad olio raffigurante “Il buon samaritano” – realizzata dagli alunni della V B del percorso “Arti Figurative” del Liceo Artistico “Duni-Levi” di Matera sotto la guida della prof. Paola Siani, docente di ‘Discipline Pittoriche’ e ‘Laboratorio Artistico’ – campeggia sulla parete sinistra di questo grande refettorio. Il buon samaritano, rappresentato con il volto di don Tonino Bello, il venerabile salentino di vescovo Molfetta di cui quest’anno ricordiamo il 30° anniversario della morte. In lontananza il sacerdote e il levita che vanno via, sullo sfondo i Sassi di Matera, mentre la strada corre tra i calanchi della nostra terra. Tre mesi di lavoro terminati a Pasqua, finanziati in parte da don Angelo (colori e pennelli), in parte da chi ha donato la tela.

La parola alla prof. P. Siani che ha coordinato i lavori.

Casa di accoglienza “don Tonino Bello”

Lasciava sempre aperta la porta dell’episcopio per chiunque avesse bisogno, anche di notte. 

E davvero don Tonino Bello è stato sempre dalla parte dei poveri, dei senza-casa, degli immigrati, degli ultimi. 

Da https://www.youtube.com/watch?v=GMMxS9e-d8M&t=271s – L’opinione di Don Chino

Quale intitolazione più appropriata per una casa di accoglienza di quello a don Tonino, il vescovo pugliese scomparso 30 anni fa ma che ovunque vive ancora oggi come maestro dell’accoglienza, da lui attuata e promossa nella Puglia degli anni ’90 affetta dagli sbarchi dei clandestini albanesi e marocchini?

“Dio è provvidenza. Non gli basta darci un letto ma la notte si alza a rimboccarci le coperte

Don Tonino Bello

8 camere e 5 bagni… Quando arriviamo molti dei giovani presenti sono al risveglio, chi in accappatoio per far la doccia, chi ancora sotto le coperte. Chi sta per andare a lavorare (qualcuno ci è già andato), chi lavoro non ne ha. Chi vive da qualche settimana, chi da qualche anno. All’accoglienza non ci sono limiti. Una grande famiglia, rimasta incolume dal Covid, grazie alle attenzioni (mascherine, igiene e distanziamento) prestate due anni fa, quando le comunità erano il target privilegiato di propagazione del coronavirus.

Oltre la Casa “don Tonino Bello” presso la chiesa di S. Rocco, c’è la “succursale” situata presso la chiesa dell’Immacolata, la Casa “Madonna della Bruna”: 8 posti letto, per alloggiare i prevalentemente carcerati in permesso premio insieme alle loro famiglie.

Soprastante le camere da letto, un salotto: la vecchia mensa. Ora sala TV, internet e colazione.

Vesti“amo”

“Ero nudo e mi avete vestito”

Dal Vangelo di Matteo (Mt 25,12)

La boutique solidale è l’ultima realtà in cui ci imbattiamo. La raggiungiamo passando attraverso un angusto corridoio, affiancato da scansie utilizzate come deposito: gli spazi sono piccoli, densamente utilizzati, vi sono tante cose ma nessuna idea di disordine. Capi di abbigliamento usati ma pienamente fruibili.

“Il 90 per cento di quello che ci portano siamo costretti a portarlo al macero”, commenta don Angelo.

Una meraviglia ai nostri occhi

A questo versetto del salmo 117 ci riporta il pensiero alla visita che abbiamo fatto all’opera “di don Angelo”.

“La fortuna sono i collaboratori”, ha commentato il più stretto tra i collaboratori, Giuseppe Nicoletti.

Abbiamo avuto piacere di offrirvi uno spaccato di questo micromondo all’interno della città di Matera, magari solo in parte conosciuto perché avete idea di quello che fa don Angelo o perché raccontatovi da chi, per un motivo o per l’altro, ha avuto modo di passarvi.

Ringraziamo don Angelo che ci ha condotto all’interno.

Tanti ne parlano e tanti aiutano l’opera, ad esempio con un’offerta per mezzo di un bonifico.

Il resto potete conoscerlo attraverso la pagina Facebook, di tanto in tanto aggiornata, che oggi conta oltre 5000 follower e che, facciamo nostre le parole di Giuseppe Nicoletti, invitiamo anche voi a seguire. O recandovi anche voi di persona.

Una sola realtà. Ma ce ne vorrebbero molte.

Questa opera bellissima, funzionale, accogliente, rispettosa della dignità delle persone è realtà grazie all’opera di un prete che è soprattutto un uomo buono, altruista, amante dei poveri come raccomanda il Papa e com’era Cristo. Nella Chiesa ce ne sono altri ma purtroppo sono pochi che sanno fare, grazie allo spirito di amore che li anima, comunione vera con la comunità, non solo parrocchiale o cittadina, ma anche oltre i limiti diocesani, come di fatto fa don Angelo.

La realtà italiana di questo difficile tempo è ben nota a tutti noi: occorrerebbero non uno o 10 don Angelo, ma centinaia anzi migliaia, per far fronte alle indigenze che crescono ogni giorno di più. Occorrerebbero strutture di accoglienza più adeguate ma soprattutto altre strutture per diversificare il segno tangibile dell’amore nelle modalità diverse di accoglienza. Bisognerebbe accogliere poveri, ma anche giovani donne rimaste sole, violentate o maltrattate nei mille episodi di cronaca nera, donne con bambini rimaste sole dopo l’abbandono dei mariti/compagni, uomini che hanno perso il lavoro ed insieme ad esso anche la dignità di esseri umani, donne messe sulla strada e poi minacciate, giovani donne che per gioco si sono ritrovate in giri di malaffare a cui occorre dare ospitalità ma anche un ambiente sereno. E così tante altre situazioni, compreso il grande capitolo dei migranti, che ogni giorni riscontra chi fa accoglienza, come don Angelo.

E allora come fare? Dobbiamo aspettare che le istituzioni si muovano ad attrezzarsi e a saper rispondere in ogni momento come di notte, come fa don Angelo? C’è tutto lo scetticismo possibile intorno ad una ipotesi di questo genere perchè strutture ce ne saranno ma ci sono anche grandi dubbi che possano funzionare con i tempi accettabili della sofferenza e della miseria. La strada della solidarietà e del servizio amorevole prestato al fratello è sempre quella maestra però non riesce a coprire tutte le emergenze che ci sono.

La strada alternativa e integrativa è quella che la Chiesa italiana indica quando dice: “Se fare un gesto d’amore ti fa sentire bene, immagina farne migliaia” che rappresenta il claim della nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana, che mette in relazione il valore di ogni firma con la realizzazione di migliaia di progetti in Italia.

Il messaggio punta ad essere immediato e intuitivo. Aiutare una persona a rialzarsi da terra, accogliere in casa un amico che arriva all’improvviso, rimboccare la coperta di una persona che dorme o condividere un ombrello sotto la pioggia, solo per fare alcuni esempi. Gli spot scommettono su gesti quotidiani e alla portata di tutti. Gesti che ci fanno stare bene, quando li facciamo. Gesti che tante altre persone possono ripetere, amplificati per migliaia e migliaia di volte grazie alle firme dei contribuenti che scelgono di destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica.

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Giuseppe Longo

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