“La fiera della vanità”, verità di oggi

“La fiera della vanità” è un romanzo di William Thackeray, pubblicato nel 1848 e senza tediare nessuno con la trama, anche se ne varrebbe la pena, mi piace ricordare il fatto che questo scrittore, che ebbe una vita complessa e da conoscere, racconti di come nella vita i malvagi non vengano sempre puniti e i buoni non vivano sempre felici e contenti.

Beh, non è una novità penserà qualcuno.

Ed in effetti non lo è.

La novità però è dirlo ancora, perché ce lo dimentichiamo sovente.

Dal 1848, e da molto prima, in tanti provano a sottolineare come nei giochi sociali il concetto di giustizia e di successo economico non si sposino necessariamente. Anzi.

Le persone gradevoli e di buon carattere tendono ad avere maggiori problematiche finanziarie nella vita. È il risultato di uno studio serio ed autorevole: “abbiamo scoperto che la gradevolezza della persona è associata a indicatori di difficoltà finanziarie, inclusi risparmi inferiori, debito più elevato e tassi di insolvenza più elevati”, afferma Joe Gladstone, PhD dell’University College London e autore dello studio su 3 milioni di individui.

Lo studio afferma che “questa relazione sembra essere guidata dal fatto che le persone piacevoli semplicemente si preoccupano meno del denaro e quindi corrono un rischio maggiore di cattiva gestione del denaro” ed ancora che “essere gentili e fiduciosi ha costi finanziari, soprattutto per coloro che non hanno i mezzi per compensare la propria personalità”.

Non sono stupita da questo fatto, bensì dal fatto che la narrativa corrente del “successo economico” uguale a bontà e qualità venga presa per scontata e data per certa.

Successo economico non è uguale a bontà, sensibilità, umanità e qualità umane, intellettuali, culturali e morali.

I piani sono diversi. Le due dinamiche non sono legate.

Il successo non comprova la bontà e il senso di giustizia e viceversa, ma a molti piace raccontarlo e a molti piace crederci. Forse perché conforta. Ma non è sempre così.

Soprattutto ora, in tempi di “sostenibilità” in senso lato sempre più richiesta, vale la pena chiedersi se chi ha successo nel mercato sia necessariamente sempre anche un campione di virtù sociali.

Io spesso guardo i comportamenti sui social media per farmi un’idea sul tema. Le persone si pesano per quello che fanno e per quello che non fanno e in tempi di comunicazione pervasiva anche per quello che dicono e per quello che non dicono.

I balletti “simpatici” in piscine da sogno tra camerieri sorridenti, lo sfoggio, con finta nonchalance di beni di lusso e privilegi di ogni tipo, irraggiungibili dai più e non solo e sempre per demerito, il “ciao poveri” dal Jet o dal resort travestito da “ti lascio entrare come un amico nella mia vita fantastica così ti ispiro a diventare come me”, il tutto condito da filosofia, psicologia, cultura spicciola e pop da quattro soldi sono segnali pornografici della lontananza tra giustizia e successo e raccontano in filigrana esattamente la storia che già raccontava Thackeray.

I social con la loro necessità di attivare l’audience trasformata in pregevole qualità teatrale lasciano che a percolare siano le vere intenzioni e stature morali di tanti di quelli che albergano nella parte alta della piramide e che si potrebbero riassumere nel sempre verde “io so io e voi nun siete un c…..”, verso di un sonetto romanesco di Giuseppe Gioachino Belli del 1831, “Li soprani der monno vecchio”, poi ripreso da Alberto Sordi nel film “Il Marchese del Grillo”. Con questa battuta il Marchese si rivolge a dei popolani coinvolti con lui in una rissa per sottolineare che a lui ricco nobile non spetterà la stessa punizione che toccherà a loro.

Ecco, la versione moderna di questa pungente verità è in quello show di “riccanza” travestita da cordiale e amichevole benevolenza per i bonaccioni e sfortunati spettatori che affascina molti e che gli stessi confondono spesso con virtù.

I malvagi non vengono sempre puniti e i buoni non vivono sempre felici e contenti. Ricordarlo non sistema le cose ma almeno rende la vita più difficile ai malvagi.

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Domenico Infante

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