Parla di te ai lettori della rivista
Parlare di me in questo insolito colloquio è come rompere quel guscio interiore e lasciare che esca fuori, come per sortilegio, tutta l’esperienza di una lunga vita immersa nelle bellezze del creato e, in contrasto, anche nelle amarezze che purtroppo essa ci riserva. Non basterebbero lunghe pagine di interi libri per poter raccontare il percorso vissuto fino ad oggi. Mi limiterò a “fermare” in queste poche righe, la sintesi di quella che è stata la mia, e lo è ancora, straordinaria ed innata predisposizione per l’arte, partendo proprio dalla millenaria città “mater”, Matera, dove sono nato il 29 Giugno del 1956; giorno della ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo e di cui sono fiero di portare i loro nomi.
Matera, la “mia” città, la immagino come una poetessa che mi dona, ogni qualvolta che la osservo, sublimi ed immaginifici versi, soprattutto quando sono nella parte più alta e più distante. È la mia inesauribile fonte di ispirazione. Non sono tantissime le mie opere che la rappresentano, ma Matera è sempre presente nella mia mente, un viatico per tutte le altre. Come in un grande libro aperto mi racconta tutto quello che nei vari millenni è stata la vita dell’uomo. Una visione che scuote l’animo, rattrista il pensiero, lascia senza parola. Questa è la mia vecchia città, “I Sassi”, dove i miei occhi, da sempre, scrutano e rapiscono le sue bellezze; un concentrato di arte, molte volte nascosta, segreta e che conservo gelosamente nello scrigno della mia vita. Sono nato dunque in un territorio ricco di stimoli creativi straordinari che, insieme alla poesia, mi aiutano soprattutto nel momento della genesi di ogni nuova opera, dove la mente riordina e dà un senso logico a quel nuovo componimento artistico; sia esso pittorico o incisorio.
Oltre alla mia città natale, sono tanti i luoghi che, sin dalla giovane età, ho visitato e frequentato, ed alcuni hanno lasciato in me segni indelebili successivamente trasferiti nei miei lavori. Ma la componente fondamentale che prepotentemente guida il mio percorso creativo, come ho già evidenziato, è la poesia. Da sempre mi ha affascinato la lettura di componimenti letterari: mi aiutano, danno alimento alla mia mente nel momento della idealizzazione e, come accade in una magia, quelle parole si trasformano in immagini. L’incontro con i poeti, le amicizie nate, le successive collaborazioni, sono esperienze indimenticabili che hanno generato numerose edizioni d’arte con plaquette, libri d’artista, cartelle d’arte; sono la felice testimonianza di speciali “unioni”. Le mie opere sono, dunque, intrise di tanta poesia: letteratura e arte colloquiano all’unisono divenendo un tutt’uno.
Dopo cinque lustri di attività artistica, senza le meravigliose visioni che giornalmente la natura porge dinanzi ai miei occhi, non avrei mai potuto creare nessuna opera d’arte. È il miracolo della creazione dove tutto nasce e si riproduce da questa! Ho cercato sempre di alimentare questa entusiasmante attività con dedizione, determinazione, amore e, naturalmente, con tanto lavoro; spesse volte, accompagnata da inevitabili sacrifici e impreviste sofferenze. Ed infine, l’incantesimo nel vedere un’opera d’arte ultimata dove, solo io e nessuno altro, conosce il suo percorso: dalla prima idea fino all’opera finita.
Dopo le mie prime opere pittoriche giovanili del 1974, terminati gli studi con una solida formazione sul disegno, nel 1976 è iniziata la mia esperienza grafica da incisore sotto la guida di prestigiosi maestri: da Guido Strazza a Giulia Napoleone, da Peter Willburger ad Assadour. Ho realizzato numerose pubblicazioni in collaborazione con poeti e scrittori del Novecento italiano (Leonardo Sinisgalli, Giorgio Caproni, Mario Luzi, Cesare Pavese, Federigo Tozzi, Giampiero Neri, Eugenio De Signoribus…) e, nel 2019, la mia lunga e intensa amicizia con Mario Luzi, viene racchiusa, da testi e immagini, nel volume “Le umili meraviglie” (Edizione Metteliana, Svizzera).
Ho tenuto numerose mostre personali in Italia e all’Estero ed ho partecipato a circa trecento esposizioni internazionali, biennali e triennali di grafica dove sono stato costantemente premiato. Il primo premio ricevuto è del 1984 “Menzione d’Onore” alla X Biennale Internazionale di Grafica di Cracovia e, il più recente, nel 2019, “Primo Premio” alla Biennale Internazionale di Grafica di Ostrow Wielkopolski sempre in Polonia. Le mie opere sono presenti in prestigiose collezioni di Biblioteche e Musei in tutto il Mondo.
Quali riflessioni ti ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?
Non conoscevo questo straordinario messaggio; il richiamo, a voler ristabilire i rapporti degli artisti con l’arte sacra, con la Chiesa. Conoscevo, invece, molto bene, la toccante e più recente lettera agli artisti di Karol Wojtyla in cui li incoraggia definendoli geniali costruttori di bellezza, invitandoli a gustare la vita e a sognare il futuro e poi ancora a non sprecare il loro talento divino ricevuto, ma a svilupparlo, alimentarlo per donarlo a tutta l’umanità, arricchendo, così, l’immenso patrimonio culturale. Entrambi i messaggi papali mi lasciano riflettere soprattutto su quell’urgenza di richiamo ad una riconciliazione tra artisti e la Chiesa come se fosse accaduto realmente qualcosa tra loro. Paolo VI dice che la Chiesa ha bisogno di artisti come avveniva nel passato. Ci vuole più vicini al cielo dove Cristo si è rifugiato, ci vede molto lontani dal suo mistero.
Dopo quasi sessant’anni da quell’incontro del 1964, nulla mi sembra sia cambiato. Si vive una contemporaneità artistica religiosa quasi sempre con riferimento alle opere del passato come se oggi nessuno possa esternare un nuovo messaggio. Tutto ciò mi rattrista, sembra che non ci sia più nulla di nuovo da porgere agli occhi delle nuove e future generazioni. Penso che ciò sia dovuto a tanti fattori: la confusione e la crisi di identità che stiamo vivendo, crea disorientamento, sconforto e genera indifferenza. Gli artisti cercano disperatamente di raggiungere una loro identità espressiva che purtroppo, spesse volte, è difficile raggiungere e quindi anche il percorso verso l’arte sacra.
Nei tanti anni di attività artistica, oltre a trattare tematiche di varia natura, ho cercato di mantenere sempre vivo questo collegamento con l’arte sacra. Non mi sono mai lasciato condizionare dalle mode o da altri fattori che oggi distraggono la mente e la profondità dell’animo. Le tematiche bibliche sono state per me un importante arricchimento formativo mi ha donato stimoli creativi straordinari su cui ho prodotto le opere pittoriche più importanti. Non mi sono lasciato trasportare unicamente dalla lettura dei testi sacri ma, da questi, ho fatto tesoro di quei messaggi che fortemente mi donavano emozioni. Mi sono imbattuto su temi complessi come La condizione umana su ispirazione dei pensieri di Sant’Agostino; ho ripercorso e narrato in immagini testi biblici come La Genesi; Il Cantico dei Cantici; L’Apocalisse. Ho dipinto Il Pellegrino, opera del 2000 realizzata in occasione del Giubileo ed ispirato al messaggio di Papa Giovanni Paolo II sui tentativi di avvicinamento delle tre religioni; ed ancora, La Crocifissione; Francesco d’Assisi nel suo ardore di vita…
Nel passato papi, re e principi si rivolgevano ad artisti famosi affinché mettessero a disposizione la loro arte, per la realizzazione di opere sacre, a tale proposito ti chiedo, perché, in riferimento alle chiese della società moderna e contemporanea, questo non è più accaduto?
La causa del “distacco” tra arte e chiesa va attribuirlo a numerosi fattori. Tra i tanti e, di fondamentale importanza, la fase di progettazione di una chiesa. Penso sia la carenza di definizione, già nella fase della sua idea creativa, quali opere d’arte collocare al suo interno e dunque quali spazi idonei come pareti, nicchie ed altro utilizzare come avveniva nel passato. Le nuove chiese non hanno superfici idonee da destinare alla collocazione di opere d’arte (pittura, scultura o di altra natura tecnica). Molte volte le pareti interne sono interrotte da finestre poste ad altezza uomo e queste creano discontinuità con l’impossibilità di posizionare opere d’arte. Si sistemano dipinti su spazi impossibili dove si denota immediatamente la mancanza di armonia tra questi; non ci sono le giuste proporzioni.
L’opera per essere meglio valorizzata e visualizzata, deve vivere nel luogo in cui è stata pensata, altrimenti, come avviene in tutti i musei, essa è priva della sua naturale identità. Molti artisti del passato, nel creare una determinata opera, oltre a immedesimarsi nel tema da interpretare, studiavano attentamente anche il progetto del luogo sacro dove l’opera stessa sarebbe stata collocata. Durante l’ideazione dell’opera, gli artisti erano influenzati anche dal contesto in cui sarebbe stata posizionata; ad esempio dalla cromia delle pareti e dei pavimenti, dalla geometria. Tutto doveva essere nell’armonia di quel contesto architettonico.
Oggi tutto questo non accade, manca il gusto, la bellezza, la sobrietà, lo stile. Pertanto, nelle nuove chiese non si “assapora” più quel magico messaggio iconico che noi tutti, invece, ammiriamo quando entriamo nelle chiese antiche. I fruitori di questi nuovi luoghi sacri, oltre ai messaggi cristiani dei prelati, auspicherebbero anche emozioni visive. La costante assenza di opere d’arte nelle nuove chiese, è frutto del repentino cambiamento culturale; l’analfabetismo è quasi scomparso e tutti i fedeli percepiscono la parola di Dio con l’ascolto e la lettura dei testi sacri. Non è più necessario, come nel passato, l’aiuto delle immagini alla comprensione del messaggio evangelico, penso, invece, che l’opera d’arte, sia quell’oggetto che in qualsiasi luogo venga contestualizzato (chiesa, castello, museo, albergo, casa…), sprigioni, al suo osservatore, emozioni intrinseche e differenti da persona a persona. Ci accompagna, è una finestra in più per affacciarsi ed entrare in quel mistero cromatico che allevia lo spirito e l’animo. Pertanto, anche le bianche pareti delle nuove chiese aspettano di essere abbellite da opere d’arte, per essere sempre più accoglienti rispetto all’attuale nudità. Altro motivo è che la fotografia, oggigiorno, ha raggiunto livelli tecnici che assurge a risolvere, in brevissimi tempi, una determinata problematica estetica in un determinato luogo. Pertanto, non credo sia stato soltanto la carenza di fede cristiana degli artisti a causare la desertificazione di icone artistiche nelle chiese ma, penso, sia stato il volgere lo sguardo verso una modernità più povera, priva di riferimenti e di sani valori che potessero aiutare l’uomo a socializzare e a condurlo verso un divenire più benevolo, altruista e più emozionale. Le nuove crisi mondiali, la frammentazione del pensiero, il distacco di relazioni che noi tutti percepiamo, fanno sì che anche l’arte, che è sempre stata considerata bene non indispensabile o primario, sia stata totalmente messa nel dimenticatoio.
L’arte cristiana ha un valore teologale, e a suo modo, comunica un messaggio religioso. Nella nostra analisi l’arte ha una capacità intrinseca di cogliere l’uno o l’altro aspetto del messaggio cristiano e non solo, traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l’intuizione di chi guarda e ascolta. L’arte e i beni culturali in genere, settori in cui hai lavorato, assumono un significato fondamentale per la crescita culturale di un Paese?
Qualsiasi immagine suscita in ognuno di noi delle emozioni, siano esse positive che negative; pertanto anche l’arte sacra, che sin da piccoli, ha accompagnato il nostro percorso di fede, nelle chiese, nelle nostre case, nei musei, ci ha donato messaggi forieri di tanta umanità.
Purtroppo, nei secoli, le mode e gli stili spesse volte hanno cambiato o meglio modificato questi luoghi sacri (Chiese, monasteri, cappelle, pievi, conventi…), così come i beni mobili in essi contenuti (dipinti su tele, su tavole, sculture lignee, cori, cantorie, macchine lignee…). Le loro primarie edizioni hanno subito numerose occlusioni, alterazioni e molte volte distruzioni. Di seguito cito due esempi: il controsoffitto settecentesco che ha inibito la visibilità delle capriate dipinte del soffitto medievale della nostra Cattedrale. Durante i lavori di restauro, avvenuti dopo il sisma del 1980, si poté completare la mappatura di tutte le deliziose decorazioni poste su quegli assi di legno (ho avuto il privilegio di averle osservate nei vari sopralluoghi effettuati durante le operazioni di restauro). Quella occlusione delle capriate ha trasformato completamente la visione della volta del Duomo.
Sempre in Cattedrale, sulla parete della navata laterale destra, era collocata la pala d’altare di San Carlo Borromeo (XVII sec.) su cui era posizionato il dipinto di G. D. Oppido. Per motivi di restauro conservativo, venne smontata. (Seguivo con i restauratori le operazioni di smontaggio della macchina lignea). Durante quelle fasi, il falegname che era nella parte alta e dietro la tela che si stava togliendo, ci comunica, con euforia, che tra le tavole collocate fra la parete e la tela, a protezione di quest’ultima, si intravedevano cromie di una pittura a fresco. L’entusiasmo e la sorpresa di noi tutti lì presenti fu enorme. Dopo aver terminato lo smontaggio dell’intera pala, ecco venir fuori e rivedere la luce, nella parte superiore della parete, un ciclo di affreschi sul Giudizio Universale (XIV sec.) e una serie di Santi nella parte inferiore (XV sec.).
Nel 1986 fu organizzata una originale mostra dal titolo “L’antico nascosto” in cui si esposero una serie di opere che, accompagnati da opportuni apparati didascalici, mostravano i cambiamenti che quelle opere avevano subito nei vari secoli e che senza le accurate operazioni di restauro, non si sarebbero mai potuti scoprire.
(Di quella originale mostra, fui il curatore dell’allestimento ed anche dell’immagine grafica che accompagnava la locandina della mostra e la copertina del catalogo; rappresentava la scoperta degli affreschi venuti alla luce in Cattedrale di cui ho sopra narrato. Sono stati numerosi gli allestimenti che ho curato nelle sale dell’attuale Museo Nazionale d’Arte. Esposizioni di opere d’arte sacra della nostra Lucania. Non potrò mai dimenticare quelle in cui furono esposti manufatti di enormi dimensioni, come la Cattedra vescovile di Muro Lucano in legno intagliato e alta 5,50 metri (XVII sec.) e, l’esposizione, dopo il restauro, del grande polittico del Cima da Conegliano di Miglionico (XVII sec.), prima che venisse trasferito e collocato nella sua sede originaria.
Oggi, grazie ai vari studi e ai lunghi restauri effettuati sulle opere, possiamo meglio ammirarle scoprendo i cambiamenti che queste hanno subito nei secoli. Intere pareti dipinte venivano coperte da stucchi, macchine d’altare, oppure ricoperte da nuove scialbature. Altre volte con danni irreversibili come ad esempio su pareti dipinte nelle chiese rupestri dove si leggono le varie stratificazioni di intonachino con evidenti sovrapposizioni di immagini; le quali venivano modificate e/o sostituite a seconda delle mode del momento. Oggigiorno, invece, dopo aver eseguito un’accurata catalogazione di tutti i beni dislocati nelle varie chiese o contenitori culturali, si cerca di conservarli, di tutelarli e di valorizzarli. Tutto questo ci permette di poter ammirare e studiare il patrimonio culturale che i nostri artisti, che ci hanno preceduto, hanno consegnato a tutta l’umanità. Penso che non ci sarebbe stato il piacere e il gusto della bellezza, della beatitudine senza questo enorme lascito. Questo è il miracolo dell’arte!
Ritieni che il patrimonio artistico nelle sue molteplici espressioni ha una funzione liberale e pertanto umanizzante, che giova cioè allo sviluppo dell’uomo e quindi è preambolo anche all’evangelizzazione per la ricchezza del messaggio cristiano?
La chiesa è il luogo che rappresenta l’unione tra il mondo terrestre e quello celeste e dove i fedeli si immergono intrisi di un’atmosfera di totale religiosità.
Quanto più questo luogo sarà “accogliente” e ricco di valori cristiani, tanto più sarà attraente. Pertanto ritengo che le opere d’arte che abbelliscono questi luoghi sono le componenti essenziali. Le loro rappresentazioni consegnano con immediatezza il messaggio cristiano. Il pellegrino che si porge dinanzi ad esse, oltre ad ammirarne la bellezza, con esse, riesce anche a dialogare con una profonda spiritualità che va oltre la parola. Anche il visitatore che entra in una chiesa per il solo scopo di ammirare le meraviglie artistiche in esse contenute, in quei silenzi, quelle scene policrome narrate nei dipinti, consegnano emozioni che in nessun altro luogo si potrebbero ricevere. Tutto ciò non accade nelle nuove chiese. Tutti usano l’espressione: “Questa chiesa è un po’ fredda!” Quindi le nuove chiese andrebbero “riscaldate” con l’energia che l’Arte produce, quella che attrae e che dona bellezza e messaggi benevoli.
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