La Chiesa e l’Arte – Michel Pochet – (Prima parte)

In questo lungo percorso sul tema la Chiesa, l’Arte e gli Artisti, siamo lieti di ospitare il contributo dell’artista francese Michel Pochet, espressione vera di arte fresca e di amore verso Dio.

Michel Pochet è nato in Provenza il 2 marzo 1940, si trasferisce a Parigi, dove si diploma in Architettura alla Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti. A soli 13 anni scopre la sua vocazione all’arte, inseparabile da una ricerca spirituale nel mondo della pittura, intraprende un percorso artistico alla ricerca di una bellezza perduta che secondo l’artista è riscontrabile solo in Dio. Sperimenta, attraverso una evoluzione continua, tecniche, materiali e ambiti artistici sempre nuovi. Realizza, secondo il filone dell’arte povera, dipinti di grandi dimensioni, con materiali quali tele, lenzuoli e pannelli, i quali secondo l’artista devono entrare nello sguardo dell’osservatore, toccarlo, coinvolgerlo e parlare con lui. La sua tecnica è un dialogo continuo fra segno e colore. La sua arte scaturisce da una esperienza di unità. Michel Pochet oggi vive e lavora a Rocca di Papa (Roma), dove ha fondato nel 1996 – d’intesa con Chiara Lubich -, un accogliente luogo di confronto internazionale, il “Centro Maria”, approdo di artisti di tutto il mondo per promuovere il progetto di un’arte in comunione. In occasione del centenario della nascita della fondatrice dei Focolarini, espone a Napoli una mostra, dal titolo “Viaggiando il Paradiso di Chiara”, dove espone 53 grandi tele (100×100) nel periodo settembre/ottobre 2021, presso il Complesso Museale di San Domenico Maggiore. Nei mesi di marzo e aprile 2022, ha esposto nella Cattedrale dei Saints Michel et Gudule a Bruxelles, una trentina di opere sulla tematica di “Dio Misericordia” esposte nel deambulatorio e nelle cappelle, mostra che è stata visitata da migliaia di turisti e visitatori.

Porte di bronzo o porte di vetro?

Quando, nel 1944, mi venne l’idea di vivere sempre con Gesù e per Lui, fu qualcosa di così subitaneo e così netto che capisco l’espressione “sentire una chiamata” o vocazione. Non era una voce nel senso fisico del termine, bensì una proposta articolata da qualcuno nella camera più segreta del mio cuore.

Per anni ho sognato di unire insieme la voluttà di essere, di creare e il dono totale, l’oblio di me stesso, il servizio, la contemplazione, l’assoluto. Artista e santo. Scusate se è poco! Non immaginavo quanto questa vocazione, che mi sembrava ovvia, potesse essere, per la società civile e la Chiesa, una contraddizione nei termini. Crescendo mi sono accorto che l’arte e la religione non formavano più una coppia unita. La Chiesa e gli artisti avevano, a poco a poco, cessato di comprendersi e di stimarsi, ed erano andati ciascuno per conto proprio, combattendosi o addirittura ignorandosi, il che, forse, è ancor peggio. Mi volgevo ora verso l’arte, ora verso la religione, non potendo sceglier l’una contro l’altra, e serbando sempre la speranza di riconciliarle.

Nel 1959 in modo del tutto casuale, ho conosciuto Chiara Lubich e ho capito che Gesù mi chiamava a vivere la mia vocazione con lei.

Nella mia prima lettera a Chiara, mi ero limitato a confidare la mia esperienza estetica fino all’incontro con lei, senza però svelare la mia velleità di fondare una famiglia d’artisti consacrati a Dio Bellezza; invece parlavo di una “Maria mistica” che avrebbe dato corpo alla Bellezza Eterna. In fondo non parlavo tanto di me quanto degli artisti del Movimento. Era a questo che Chiara rispondeva nella sua lettera, parlando di un disegno di Gesù su di me che si sarebbe manifestato.

Le Salon de lart sacré

12 giugno 1964. Ho visitato il “Salotto dell’Arte Sacro”. Per fortuna sono venuto un giorno in anticipo e ho potuto godermi lo spettacolo al naturale: polvere, colpi di martello, artisti, elettricisti, schiacciati da un’estate soffocante in quelle sale senza finestre che compongono il «magnifico» Museo d’Arte Moderna della Città di Parigi. Poiché è in questo rudere, nuovo di zecca, che si stabilisce ogni anno il Salotto dell’Arte Sacra.

La parola “Salotto” (Salon, in francese) non deve disturbare sotto la scusa che Gesù è nato in una stalla e che la casa di Nazareth era modestissima. Si organizzano a Parigi una moltitudine di “Salons” dove corrono le folle, allora perché non un “Salotto dell’Arte Sacra”? Sono venuto per caso oggi, ma sono entrato lo stesso perché invitato da un artista in mostra. Così ho girato nel Salone. Se avessi conosciuto altri artisti avrei potuto congratularmi con loro, estasiarmi davanti alle loro opere – anzi avrei dovuto – si fa così in un Salone… Non ho conoscenti, perciò ho guardato, ascoltato e taciuto. Ho cercato la risposta degli artisti all’appello del Papa; ho cercato l’artista sacerdote, l’artista ponte tra l’uomo e Dio; ho cercato un po’ d’amore di Cristo, un po’ d’amore degli uomini. Ho cercato l’Armonia espressa in linguaggio umano. Ho cercato il “Dio con noi” nella Gerusalemme Nuova. Ho cercato il mistero. Ho cercato Cristo sulla Croce e sua Madre ai piedi del Crocifisso. Ho cercato gli uomini della Pentecoste. Ho cercato le cattedrali e il Calvario all’incrocio delle strade.

Ho cercato l’uomo Dio e il pane e il vino.

Ho pensato: Siamo nel 1964, non bisogna chiedere qualcosa di obsoleto, non siamo più nei primi tempi della Chiesa, non siamo più nel Medio Evo, siamo nel 1964!

Ho cercato il Concilio. Ho cercato l’angoscia del Mondo. Ho cercato Gesù operaio. Ho cercato Maria a casa sua. Ho cercato il Dialogo. Ho cercato l’altro, il prossimo. Ho cercato la carità. Ho cercato Giovanni XXIII. Ho cercato due miliardi di uomini da evangelizzare.

Ho cercato mille chiese da costruire in Francia e ho trovato luoghi di culto.

Ho cercato case di fratelli e ho trovato luoghi di culto.

Ho cercato la tavola di Cana e ho trovato un luogo di culto.

Ho cercato la montagna della moltiplicazione e ho trovato un luogo di culto.

Ho cercato la sala alta (cos’è la “sala alta”? Il cenacolo?) e ho trovato un luogo di culto.

Ho cercato il giardino degli olivi e ho trovato un luogo di culto.

Ho cercato il pretorio e ho trovato un luogo di culto.

Ho cercato le strade di Gerusalemme, ho cercato il Golgota e ho trovato luoghi di culto.

Allora sono uscito nella strada. Ti ho incontrato in ogni volto stanco, in ogni bambino.Tu mi hai detto: Vieni a trovarmi dove sono presente in modo particolare da quando vi ho promesso di rimanere con voi fino alla fine dei tempi. Ti ho trovato in una chiesa, non moderna, non illuminata da mille vetrate sublimi, e il mio occhio critico avrebbe avuto molto da ridire se non ti avesse trovato dietro questo velo, nonostante tutto. Ti ho detto tutto il mio dolore di vedere così poca bellezza attorno a te, di vedere la quasi impossibilità di metterne, e mi hai fatto capire che non avevi gli stessi criteri, la stessa misura di me. Mi hai fatto capire questo molto dolcemente, senza farmi la lezione, in modo indolore, dandomi l’impressione che l’idea veniva da me.

Mi hai detto: Chi non è contro di me è con me. Mi hai detto che ami gli uomini come sono, che preferisci l’obolo della vedova alle ricchezze del ricco. Mi hai detto: torna al Salone e guarda con l’occhio puro e vedrai Dio. Cerca il buono, il bello, in mezzo forse a cose meno riuscite, ma sottolinea solo il positivo. Incoraggia il bene al posto di volere sopprimere il male. È così che tratto te e tutti gli uomini.

Poco dopo ho saputo dell’Omelia di Paolo VI alla messa degli artisti un mese prima, nella Cappella Sistina nella festa dell’Ascensione il 7 maggio 1964. Quanta gioia! Che sorpresa! Paolo VI ha coraggiosamente chiesto perdono agli artisti per i malintesi storici che avevano intaccata un’amicizia peraltro necessaria, non so se pensasse al Risorto di Egger Lienz (condannato ad essere nascosto sotto un velo) o al Crocifisso di Germaine Richier, proibito come quello di Matisse. Le sue parole dopo sessant’anni conservano la loro forza e, confessiamolo, la loro attualità. Per me furono come se il papa in persona rispondesse ai miei interrogativi e mi incoraggiasse a seguire la mia vocazione. La scelta della solennità dell’Ascensione per incontrare gli artisti era particolarmente significativa perché la bellezza eterna fatta uomo tornava nell’eternità da uomo morto e risorto. Gesù che teologicamente è sacerdote e vittima mi appariva arte e artista.

Il vero, il bene, il bello

II Cardinale Danneels, arcivescovo di Bruxelles, durante un congresso d’artisti, ha detto testualmente queste parole: “Mi chiedo se il Bello non è la strada per eccellenza per trovare Dio. Dio evidentemente è vero, è buono ed è bello. Anche se Dio è vero, non credo che i nostri contemporanei entrino facilmente per questa via. Siamo troppo poco interessati dal vero. La domanda su Dio pertanto è importantissima, decisiva per I’Umanità e per il suo sviluppo. La porta della verità s’apre alle volte difficilmente, perché i nostri contemporanei hanno un senso innato dello scetticismo. Che cos’è la verità? Siamo tutti dei piccoli Pilati che si chiedono questo. La verità non interessa in primo luogo, è inaccessibile, e quando qualcuno la trova è sospettato d’essere pretenzioso e arrogante.

Ora entrare in Dio dalla porta del buono e del bene è più difficile oggi: sì, Dio è buono, anzi esso è troppo buono per me. Non sono capace di fare il bene, e l’etica è una porta difficile per aver accesso a Dio nei nostri giorni. Siamo profondamente convinti dall’esperienza, e anche un po’ per paura, che siamo incapaci di vivere eticamente, moralmente. Un Dio perfetto ci scoraggia e un Dio vero ci oltrepassa.

Ma, se entriamo dalla porta del Bello, ogni resistenza cade. Provate con i giovani. Parlate a loro di Dio in quanto fonte del vero, della gran verità: tutti dormono. Parlate di Dio come esempio di moralità: sono tutti di cattivo umore. Ma mostrate che Dio è bello nella sua Bibbia, nella sua creazione, nell’uomo, nella coppia, in Gesù, nelle opere d’arte, nella storia dell’arte, nelle icone, nell’arte del rinascimento, nelle piccole chiese romaniche, mostrate loro il bello in Dio dicendo che egli è la bellezza stessa, non affermo che si convertiranno tutti, ma almeno, non ci sarà resistenza.”

In una successiva conversazione con il cardinale, si doleva perché la Chiesa non era preparata per mostrare la Bellezza di Dio, i sacerdoti non ricevevano nessuna formazione estetica nei seminari, quasi nessun teologo s’interessava a Dio come Bellezza. Aggiungeva che i misteri più sacri della nostra religione erano circondati di bruttezza anziché di bellezza. Liturgia, canti, oggetti di culto, paramenti, invece di testimoniare della bellezza di Dio, e di attrarre gli uomini d’oggi li allontanavano da Lui.

Ma perché le chiese devono essere cosi brutte, i praticanti cosi tristi, e le pie donne così male infagottate? Perché sacro è tanto spesso sinonimo di sdolcinato? Armonia, armonia, quali bruttezze si commettono in tuo nome! La sdolcinatezza è confusa con la dolcezza, la banalità con la misura, la simmetria con la composizione, l’enfasi con la dignità, la rigidità con l’ordine, l’inflessibilità con la nobiltà, la noia con la semplicità.

Soffro di non trovare bellezza dove più l’aspetto. Confesso che quando entro in una chiesa, non posso impedirmi di ristrutturarla mentalmente per renderla più conviviale, più dignitosa, più adatta al nostro tempo. Una chiesa non è un museo di eventuali capolavori morti, ma una casa di viventi.

Prime chiese

Quando nacque il cristianesimo, la terra era sparsa di templi più maestosi gli uni dagli altri: Alcuni erano oggetto dell’ammirazione universale. Pertanto i primi cristiani non cercarono di imitare o sorpassare questi capolavori. Al contrario, quando potettero uscire dalle catacombe e edificarono dei ripari per il loro nuovo culto, li costruirono ad immagine delle basiliche profane, dove si trattavano gli affari commerciali, si giudicavano i disaccordi, in una parola delle sale d’incontro. Perché la nuova religione era affare del popolo intero, corpo mistico del sacerdote sovrano e vittima del sacrificio. Perché l’azione liturgica principale era la comunione di tutta questa famiglia ecclesiale e la sua marcia verso un Dio buono e vicino ad ognuno.

Fu una svolta decisiva, Non si trattava più di teatro di sacrifici sanguinosi e primitivi, non si trattava più di un recinto riservato ad iniziati e propizio a misteri esoterici, non si trattava neanche solo della casa di Dio. Ormai, una nuova ed eterna alleanza era conclusa tra Dio e gli uomini e il Figlio-Dio portava il nome di Emanuele: Dio con noi. I cristiani non costruirono templi per onorare il loro Dio, ma delle case per vivere con lui. E gli edifici che ripararono le loro riunioni furono chiamati chiese, “ecclesia” significa assemblea.

Perciò troviamo in questi edifici originari delle caratteristiche delle basiliche profane: grande spazio accessibile ad una numerosa assemblea, visibilità, acustica ecc.- ma anche la nobiltà imponente dei templi (quando non sono stati costruiti con le loro stesse colonne) e il raccoglimento solenne del santo dei santi.

Esigenze contraddittorie

Perché sono queste le grandi linee di forza dell’architettura di una chiesa. Deve essere aperta a tutti, perché il popolo cristiano è accogliente a tutti gli uomini. Deve cantare la gloria di Dio. Deve permettere la proclamazione della parola. Deve permettere il contatto diretto con nostro padre che è nei cieli.

Sono in pratica delle esigenze contraddittorie, soprattutto nel mondo moderno rumoroso e sempre in movimento. Come, infatti, realizzare insieme l’apertura e il silenzio, I’accoglienza e il mistero?

Certe epoche l’hanno fatta con un successo vicino alla perfezione che ci stupisce attualmente, mentre vediamo il relativo fallimento dei tentativi contemporanei. Perché dobbiamo confessare che il nostro secolo non è riuscito molto meglio del precedente a fare nascere una architettura religiosa originale e veramente soddisfacente.

Gli uomini che hanno costruito le cattedrali erano nello stesso tempo veri uomini e veri cristiani. Non hanno mai rinnegato la loro epoca, né le conoscenze tecniche e scientifiche del loro tempo. Tutt’altro, erano curiosi di tutto. Hanno avuto I’orgoglio di fare sempre meglio degli altri, più alto, più luminoso, più audace… ma la loro arte, la loro scienza, il loro orgoglio, la loro pena, li hanno messi al servizio del loro Dio. E hanno scritto in lettere di pietra che il loro mondo era un mondo cristiano.

La vertigine ci prende se pensiamo che Chartres non contava diecimila abitanti quando fu costruita la cattedrale, che può ospitate diecimila fedeli, e che, nello stesso tempo, si costruivano altre chiese nella stessa città.

Certamente il mondo attuale è diverso da quello del dodicesimo secolo e sarebbe vano discutere i loro meriti rispettivi. Cerchiamo soltanto di capire la lezione che ci viene dalla storia.

Ci afferma che l’architettura è una testimone imparziale della società del suo tempo. E questa testimonianza ha alle volte un che di tragico quando presenta alle generazioni a venire l’immagine di un popolo diviso, individualista, oppure quella di un governo dittatoriale e disumanato.

L’architettura religiosa è ugualmente la testimonianza incisa, nel paesaggio delle nostre città e delle nostre campagne, della comunità cristiana.

Questa comunità è moderna, unita, aperta a tutti, felice di appartenere a Cristo, oppure intimorita, mediocre, tiepida? Tutti i caratteri saranno fedelmente trascritti nella pietra, nel ferro, nel cemento e nel vetro. Perché non dimentichiamo che è l’assemblea che costituisce la chiesa.

Ricordiamoci la solenne ingiunzione di Pietro: “Entrate come pietre vive per costituire quest’edificio spirituale.”

Una grande speranza nasce in noi pensando alle trasformazioni profonde nella vita della Chiesa e dei cristiani. Se ogni comunità parrocchiale, ogni ordine religioso, ogni associazione, ogni fedele prendesse a cuore di vivere il cattolicesimo del XX secolo assisteremmo ad un rinascimento generale dell’arte sacra e per essa ad un rinascimento in tutti i campi della bellezza. Se i cristiani sapranno rispondere a quest’appello in favore dell’armonia, dell’unità, della coerenza col mondo fisico ed intellettuale attorno, se faranno della loro vita un canto di lode a Dio e un atto d’amore verso il prossimo, se capiranno il vero senso dell’affermazione che la Chiesa di Cristo è la Chiesa dei poveri, pensando all’armonia che doveva regnare nella povera casa di Nazareth, allora la terra si coprirà di chiese nuove delle quali i nostri figli non arrossiranno e che diranno al mondo la vitalità del popolo di Dio.

Chiese del terzo millennio

Come sono le chiese nelle quali i cristiani del terzo millennio prenderanno l’abitudine di radunarsi e di pregare?

Le costruzioni nuove non imiteranno gli stili del passato. Niente gotico o bizantino. Materiali e tecniche moderni. Però una caratteristica di un tempio è la sua perennità. Non si costruisce una chiesa con l’idea di cambiarla come una macchina ogni volta che il fabbricante ne propone un nuovo modello. In compenso dobbiamo aspettarci profonde trasformazioni nell’estetica e nell’arredo delle chiese. La migliore architettura moderna si distingue per la sobrietà, autenticità, I’uso di materiali veri e forme semplici. Tutto perfettamente assimilabile dall’architettura religiosa.

Speriamo, in un mondo dove peraltro tante menzogne sono lodate come espressioni maggiori dello spirito umano, che la Chiesa si presenti nel campo dell’architettura e dell’arte sacra come ispiratrice di un umanesimo nuovo.

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Marino Trizio

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