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Mi presento, sono Alessandra Barbaro, organista, docente titolare di teoria ritmica e percezione musicale presso il conservatorio Duni di Matera. Direttore e maestro del coro Cantori Materani, coro di cappella della cattedrale di Matera dal 1975, io lo dirigo dal 1988. Ho studiato nello stesso conservatorio dove oggi insegno e ho frequentato corsi di specializzazione in musica sacra, composizione e organo presso la scuola Ludovico da Victoria, associata al Pontificio Istituto di Musica sacra in Roma con il maestro Monsignor Valentino Miserachs. Insieme alla mia famiglia ho respirato musica sin da piccola, infatti sono figlia d’arte in quanto mio padre, Eustachio Barbaro, è stato il fondatore del coro dei Cantori Materani, organista e maestro di cappella di S. Francesco da Paola e poi della cattedrale di Matera dal 1975 fino al 1989 quando il Signore lo ha chiamato a sé. La sua opera continua nel solco tracciato da lui stesso insieme alla mia famiglia e a tanti cantori che lo hanno conosciuto.
Quali riflessioni ti ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?
Il discorso di Paolo VI è sorprendente per la profondità delle sue riflessioni e per la sua grande umiltà, ma ancora di più per la sua apertura al dialogo.
C’è un passaggio che vorrei sottolineare, quando dice “Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione, perché come sapete, il nostro ministero è quello di predicare di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente il mondo dello spirito dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio…”. Cioè non sempre basta il linguaggio verbale del celebrante, se pur forte e incisivo. Infatti per comprendere il mondo dell’invisibile c’è bisogno anche di un altro linguaggio, quello dell’arte, che pur non sostituendo le parole, le sostiene e ne dà forza.
E la musica, che ruolo ha? Spunto di riflessione! La ricetta è complessa e necessita di studio e approfondimento. La musica non è staccata dalla liturgia, all’opposto ne fa parte in maniera integrante e non può essere una semplice appendice data all’improvvisazione o al piacere personale di un canto o di uno strumento “basta che si suoni!”. Questo non solo non aiuta lo spirito ad elevarsi, ma ha l’effetto contrario: ne provoca distrazione e disorientamento. Quindi deve essere scritta ed eseguita con tutti i criteri e con competenza.
Nel passato papi, re e principi si rivolgevano agli artisti di ogni forma d’arte, per la realizzazione di opere (affreschi, sculture, opere musicali, ecc.) Perché, in riferimento alle chiese della società contemporanea, questo non è più accaduto, per cui assistiamo a situazioni a volte imbarazzanti?
Questa è una domanda un po’ delicata e complessa. In passato l’arte e la musica erano ostentazione di forza e di potere perché lo studio necessario per poter realizzare un’opera immortale, non era per tutti. Dunque i Papi e i regnanti si contendevano i più grandi artisti del loro tempo. Quanti capolavori ci sono nelle nostre chiese!
Se portiamo il discorso sulla musica, l’argomento è più complesso perché siamo noi che dovremmo far risuonare qualcosa composta in altri tempi o comunque frutto della tradizione. Purtroppo, però, la musica sacra non vive un bel momento: noi cattolici abbiamo voluto superare (per meglio dire, rinnegare) la nostra tradizione musicale, tralasciando, ad esempio, la spiritualità fortissima del canto gregoriano “perché la gente non lo capisce”. I giovani sono lontani da questo vecchiume! E allora mi chiedo: perché non educare i giovani o i fedeli al canto della chiesa cattolica? È possibile? Io penso di si. Infatti, nel rito ortodosso, ascoltiamo tutt’oggi gli antichi canti in lingua originale e non ci sogneremmo mai di sentirne di altri con strumenti e melodie che non siano quelle tradizionali. Addirittura, nel rito protestante, sentiamo i corali a quattro voci cantati dall’assemblea. Tutto ciò è possibile con la dovuta preparazione dei celebranti, dei fedeli e dei musicisti. Nella chiesa cattolica invece, assistiamo a situazioni a dir poco imbarazzanti. Potrebbe mancare lo studio della musica, della sua storia e della storia dell’arte?
A dire il vero però ci sono dei musicisti che scrivono molto bene per la santa liturgia, ma rimangono sconosciuti. Bisognerebbe scoprirli e promuoverli.
Concludo questo pensiero con le parole di Papa Benedetto XVI tratte dal suo discorso pronunciato il 10 novembre 2012 all’incontro con i cori, promosso dall’associazione Santa Cecilia: “Pensiamo quante persone sono state toccate nel profondo dell’animo ascoltando musica sacra, e ancora di più a quante si sono sentite nuovamente attirate verso Dio dalla bellezza della musica”.
Prendendo ad esempio le tante chiese contemporanee presenti nella nostra città Matera, come anche in altre città, perché secondo te gli artisti non sono più stati coinvolti? Per una questione di mancanza di mezzi o per qualche altro motivo?
Penso che non sia un problema economico: le chiese antiche pullulano di affreschi, statue e dipinti perché in passato la maggior parte dei fedeli era analfabeta e la sacra scrittura era in latino. La gente, quindi, non comprendeva il messaggio evangelico per cui la presenza di immagini era di grande supporto. Oggi viviamo una situazione opposta: l’immagine può distrarre dalla parola, si fa quasi esclusivamente affidamento al solo linguaggio verbale.
Non credi che se nelle nostre chiese contemporanee ci fossero dipinti, sculture e musiche di natura religiosa, lasciati alla libera interpretazione di voi artisti, vi sarebbe un maggior coinvolgimento nel messaggio che l’opera esprime, per la bellezza e la profondità che è in grado di trasmettere?
L’idea della bellezza è sempre molto soggettiva, ciò che è bello per me, per te non lo è. Penso quindi che c’è bisogno di mediazione e di collaborazione tra la libertà dell’artista e il sacerdote o chi ne commissiona l’opera. Non sempre gli artisti sono in grado di entrare nel mistero della fede, ma dall’altra parte, a volte, c’è chi vuole imporre un qualcosa non avendone però la preparazione giusta.
A questo punto bisognerebbe collaborare affidandosi agli esperti, senza imporre né dà una parte né dall’altra il proprio pensiero, perché si rischierebbe di fare grossi danni al patrimonio artistico. Penso anche al patrimonio musicale. Se non si ripropone il repertorio tradizionale della chiesa, rischiamo di perdere parte della nostra cultura.
Accetteresti, se ti fosse data la possibilità, di poter mettere la tua arte, la tua ispirazione per realizzare un’opera di natura religiosa, ma lasciata alla tua libera interpretazione?
Con il mio coro “Cantori Materani” siamo sempre stati a servizio della Chiesa, imparando ad apprezzare la musica liturgica scritta con i giusti criteri ed eseguita quando richiesto dal rito. Faccio ancora riferimento al già citato discorso di Papa Benedetto XVII “..La costituzione conciliare sulla liturgia, ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli. Ma anche nei paesi di antica evangelizzazione come l’Italia, la musica sacra con la sua grande tradizione che è propria, che è cultura nostra, occidentale, può avere, e di fatto ha, un compito rilevante per favorire la riscoperta di Dio…”.
Purtroppo, oggi c’è pochissima possibilità di conoscere approfonditamente la musica liturgica tradizionale perché non si studia, nemmeno nei seminari. Per cui tutto è abbastanza difficile. Se mi sono sentita libera di eseguire il repertorio che mi è consono? A volte percepisco il disappunto del “dobbiamo svecchiare”, ma grazie a Dio il nostro vescovo e il parroco della cattedrale appoggiano e approvano il mio e il nostro servizio. Per concludere queste poche considerazioni, penso che la chiesa e gli artisti debbano collaborare e parlarsi, uno non deve subire l’altro, fondamentale è la formazione. Concludo riportando una parte del discorso di papa Paolo VI “…Se il momento artistico che si produce in un atto religioso sacro, come è una Messa, deve essere pieno, autentico, deve essere generoso, deve davvero riempire e fare palpitare le anime che vi partecipano e le altre che vi fanno corona, ha altresì bisogno di due cose: di una catechesi e di un laboratorio”.
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