Può sembrare una forzatura chiamare conversione ciò che ha determinato la vita di tanti ex terroristi rossi, autori spesso di gravi episodi di violenza. Angelo Picariello, giornalista di Avvenire, con il suo libro Un’azalea in via Fani non intende certo riportare forzatamente all’interno della fede cristiana quello che è stato l’approdo finale di tanti protagonisti degli Anni di piombo.
Infatti, ci sono anche molti esempi di conversione “laica”, come quella di Sergio D’Elia di cui si parla nel libro. Ex capo di Prima Linea, D’Elia diventerà animatore dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, vicina al Partito Radicale. Cosa ha prodotto questo cambiamento? Non è stata una decisione di carattere morale, ma quello che è indubbiamente un miracolo: l’esperienza di essere perdonati.
Il perdono che è apparso subito, ai protagonisti del terrorismo, come qualcosa di assolutamente immeritato e che proprio per la sua gratuità li disarmava, dando a ciascuno di loro la possibilità di ricominciare, pur senza cancellare nulla di quelle che sono le oggettive colpe.
Il perdono è un mistero. Ma un mistero che è stata capace di descrivere efficacemente Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, una delle più note vittime del terrorismo. La signora Gemma, nel giorno del funerale del marito, ebbe la forza di scrivere un necrologio dove citava le parole di Gesù in croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Le è stato chiesto perché ha deciso di perdonare così, subito, senza pensare al lacerante dolore suo e dei suoi piccolissimi bambini rimasti orfani. Nel suo perdono, ha spiegato la vedova Calabresi, c’era la consapevolezza che nemmeno un terrorista può essere definito dal male che ha compiuto. “Saranno stati anche altro”, ha detto. Saranno stati cioè uomini con una famiglia, saranno stati forse anche loro padri di bambini.
Bisogna riconoscere che molti terroristi non erano tanto distanti dalla fede cristiana, anzi non pochi di loro provenivano proprio dagli ambienti giovanili cattolici. Tanto è vero che, secondo quello che racconta Picariello, la decisione di intraprendere la lotta armata fu presa da Renato Curcio nel corso di un’assemblea tenuta a Chiavari presso una sala della curia vescovile, che ne aveva concesso l’uso non potendo immaginare evidentemente quale piega avrebbe potuto prendere l’assemblea.
Si costituirono così le Brigate Rosse che andarono poi a insediarsi in un appartamento di Reggio Emilia. A frequentare quelli del “gruppo dell’appartamento”, come li chiamavano, c’era Enzo Piccinini, che poi sarà un importante chirurgo e che nel frattempo aderiva alla neonata Comunione e Liberazione. Piccinini aveva rapporti con gli amici dell’appartamento reggiano che sarà la culla delle BR per l’amicizia con i fratelli Folloni, cattolici del dissenso. Anche questi passerano poi a CL e uno dei due fratelli, Gian Guido Folloni sarà giornalista e per un certo periodo direttore responsabile del quotidiano Avvenire. Non sarà così per un altro del gruppo cattolico dei fratelli Folloni, Roberto Ognibene, che seguirà invece le BR. Avrebbe potuto essere anche Piccinini un terrorista e invece oggi per lui si è aperto un processo canonico di beatificazione.
Si trattò di scelte personali determinati da fattori banali, ma Picariello ci dice che da questi fatti vennero fuori storie di autentica conversione, grazie a persone straordinarie come suor Teresilla Barillà, Agnese Moro, don Luigi Di Liegro, padre Adolfo Bachelet, padre Guido Bertagna e tanti altri che hanno trovato la forza di andare incontro a questi uomini e di risollevare le loro pesanti macerie.
Una conversione, quando scaturisce dal perdono ricevuto, è come nascere di nuovo e chi perdona è come se partecipasse al rinnovato atto creativo di Dio. È una nuova vita quella, per esempio, dell’ex brigatista Franco Bonisoli, tra i sequestratori di Moro, sorpreso a Roma da Angelo Picariello mentre tornava da via Fani, luogo del sequestro, dove un senso di pietà lo aveva condotto tanti anni dopo per deporre una piantina di azalea.
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