IL VOTO: UN MODO DI FARE I CONTI CON LA REALTA’

Sembra passata una eternità  – e non poco più di un anno – da quel 4 dicembre 2016 in cui l’esito del Referendum Costituzionale portò all’avvicendarsi del quarto Presidente del Consiglio non suffragato dal voto del popolo sovrano. Dopo Monti, Letta e Renzi fu “chiesto” a Gentiloni di dissipare la “solita” ombra del disastro sociale derivante dal rischio del collasso delle banche, dal fantasma dello spread, dal crollo degli investimenti, dal Pil in picchiata, dai tracolli occupazionali.

Temi di fondamentale importanza e non semplici slogan a cui purtroppo sembriamo esserci abituati. Temi che non consentono attenuanti, che non possono lasciarci indifferenti, che – da un lato – costringono i semplici cittadini a fidarsi delle scelte del mondo politico, e dall’altro ci fanno fare i conti con la realtà.  Gli stessi conti con la realtà (questo era il titolo dell’editoriale a firma di Massimo Franco) che ci invitava a fare il Corriere del Sera commentando, a caldo, l’esito delle elezioni politiche del 2013. Un esito secondo cui prevaleva un’Italia euroscettica, che bocciava politicamente Bersani e promuoveva quello stesso Berlusconi che solo qualche mese prima si diceva avesse portato l’Italia sull’orlo del precipizio finanziario. (ndr. molti di noi vennero a conoscenza del termine spread solo nel periodo dell’avvicendamento politico tra Berlusconi e Monti, avvicendamento – del resto –  che pochi compresero fino in fondo, visto che Monti fu nominato Senatore a vita solo tre giorni prima che il governo Berlusconi gettasse la spugna). 

In sostanza, l’invito dell’editoriale a fare i conti con la realtà (invito comune, in quanto a contenuto, alla maggioranza delle testate giornalistiche nazionali) lasciava intendere che il saldo della scelta democratica compiuta nelle urne del 2013 sarebbe stato calcolato nei mesi successivi e che se non si fosse trovato un accordo su alcune riforme si sarebbe tornati al voto di li a pochissimo.

A ben vedere, e pochi se lo sarebbero aspettato, la legislatura è giunta a scadenza naturale. Solo il 28 dicembre u.s. sono state sciolte le camere. Alla fine, sono stati cinque gli anni di governo, di governo di responsabilità – o almeno così lo hanno definito i nostri governanti – in cui una, non ampia ma certamente variegata, maggioranza ha mantenuto le redini politiche del nostro Paese. Viene da chiedersi se in questi cinque anni i cittadini abbiano compreso lo “sforzo” del mondo politico di stare assieme al fine di realizzare le tanto desiderate riforme o se questo “sforzo” sia stato percepito come l’ennesimo atto di tracotanza politica con la quale ci si è mantenuti saldamente posizionati sulle proprie poltrone.

Non è questo il luogo in cui cercare queste risposte (anche lo fosse certamente non le troveremmo e comunque sarebbero confutabili) è questo il luogo invece – per dirla con don Giussani – in cui educare il nostro io ad un rapporto positivo con questa realtà, anche quando il giudizio sulla stessa fosse negativo. 

Se è vero, infatti, che il mondo politico fa i conti con la realtà dello spread, del possibile collasso bancario o del pil è più vero che noi cittadini, alla vigilia di una scadenza elettorale, siamo chiamati a fare i conti con la realtà della nostra partecipazione socio-politica, ampliamente intesa.

Una partecipazione che, negli anni, sta perdendo in profondità il senso del suo essere, non solo in ambito politico, ma anche in ambito sociale, culturale e, addirittura, ecclesiale. 

E’ chiaro, lo abbiamo affermato più volte, che il vuoto tra cittadini e politici sembra stare diventando incolmabile ed è ancora più chiaro che non sempre i politici fanno qualcosa per colmarlo. Gli stessi nomi, per non scendere amaramente nei contenuti, delle sole leggi elettorali sono tutte un programma: dal porcellum al rosatellum ! Senza pensare, poi, ai volti della politica che – dopo anni – sono sempre gli stessi, confermando quell’idea di autoreferenzialità che richiama al potere piuttosto che al servizio, all’autorità piuttosto che all’autorevolezza.

Solo qualche giorno fa il Santo Padre in un video messaggio ai politici cattolici dell’America Latina, ha ribadito che la politica restando la forma più alta di carità ed essendo per questo servizio, non può essere serva di ambizioni o di prepotenze o di centri di interessi; Chissà quanti, ascoltandolo, avranno pensato: magari fosse così!

E’ del tutto evidente che i partiti, ammesso che ancora esistano, fanno di tutto per garantirsi fette di egemonia anche a scapito di una governabilità che ovviamente non è, e non può essere, intesa come il solo cercare di avere una maggioranza.

Un sentimento di sfiducia nei confronti del mondo politico sembra allargarsi a macchia d’olio, una sfiducia che facilmente può sfociare nell’antipolitica o peggio ancora nel risentimento.

Forse è anche per questo che il Presidente Mattarella nei suoi sentiti auguri di fine anno ha auspicato una grande partecipazione ed una sostenuta affluenza alle urne che saranno aperte il prossimo 4 marzo. Un appello che non può cadere nel vuoto, non possiamo delegare altri da noi nel decidere le sorti del nostro Paese, le sorti del nostro stesso destino.

Governare del resto, è – in qualche modo – sinonimo di rappresentare, rappresentare un popolo che eleggendo, appunto, una rappresentanza politica desidera sia da questa compiuta una analisi del presente al fine di proporre per il futuro un modello di società migliore di quello attuale.

Ma governare è, francamente, anche sinonimo di ricordare; ricordare che politico e cittadino – pur derivando uno dal greco ed uno dal latino – hanno la stessa radice etimologica; ricordare che politico e cittadino significano, sostanzialmente, la stessa cosa: abitante della città, della stessa città; ricordare anche, però, che spesso si è sentito parlare di politico per professione ma mai si è sentito parlare di cittadino per professione !

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Lindo Monaco

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