Il tema dell’Annunciazione nel polittico di Simone da Firenze custodito in Salandra

Riportiamo la recensione artistica dello storico dell'arte dott. Gabriele Scarcia sul polittico di Simone da Firenze custodito in Salandra, nella chiesa del convento Sant’Antonio. Nei prossimi giorni ci sarà il lancio di un video commentato su tutti i canali comunicativi.

Il polittico di Simone da Firenze custodito in Salandra, è un capolavoro di fede e di arte che sviluppa con semplicità il tema dell’Annunciazione ma, lungi dall’essere un’opera scontata, a ben guardare rivela aspetti reconditi e curiosi.

L’artista, ancor oggi scarsamente conosciuto per pochezza documentaria, paradossalmente con i sommi dell’arte condivise il nome di battesimo bastevole a identificarlo. E’ noto che per arricchire e consolidare la sua inclinazione e professione, intraprese un viaggio a ritroso partendo da Firenze, con irrinunciabile passaggio per Napoli prima di finire in Basilicata. Qui è documentata la sua presenza nel secondo decennio del Cinquecento.

In questa regione dimostrò di non essere solo un semplice manierista o un arido replicatore di stampe. Per il tema portante del polittico salandrese, composto da nove tavole dipinte a tempera distribuite e raccordate in un’ampia cornice, andò oltre la mera pennellata con un racconto più articolato. Lui che fu notoriamente lezioso, certamente incoraggiato dai suggerimenti francescani in quanto a prescrizioni per confezionare opere d’arte, raffigurò nella scena centrale il Bambin Gesù annunciato. Il Cristo non formatosi in uterus che si proietta dall’alto a simboleggiare il concepimento di Maria ed è paradossalmente parte della rappresentazione. L’annunciato è presente nell’annunciazione di se stesso. C’è già, quando non dovrebbe ancora esserci. Una tematica controversa questa che troverà banco nel Concilio di Trento dove ne sarà proibita definitivamente la rappresentazione artistica.

Maestro Simone, non pago ancora d’incuriosirci dopo tanti secoli, trovò diletto in quest’opera giocando con i numeri e con il loro significato simbolico. Rese l’arcangelo Gabriele non un’entità astratta quanto piuttosto un giovane con spiccata androginia che proiettava di se, un’ombra reale. Lo vestì di due ali impegnative da sembrar queste legate a due fasce incrociate a “X” sul petto.

Infine chiese una collaborazione semplicemente gestuale a San Pietro e al Battista sino a caratterizzare pittoricamente una malinconica fanciulla attraversata da contrastanti stati d’animo. Sorpresa a leggere in una sorta di antesignana “casa del grande fratello” (Si parva licet componere magnis) dove non vi sono né porte né finestre, le assicurò  gli sguardi puntati della nostra secolare curiosità.

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Domenico Infante

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