L’esperienza di sinodalità che la Chiesa italiana si appresta a vivere su insistenza di papa Francesco è l’opportunità di una grande ri-generazione, dopo quasi un anno e mezzo di chiusure, dolore, silenzi e preghiere che l’emergenza sanitaria, imprevista e devastante, ci ha riservato impietosa.
Parlare di Sinodo, in questi tempi, per un comunicatore come me (per professione, per indole umana e per passione ecclesiale), non può che partire, allora, sostanzialmente da tre coordinate di fondo.
La prima: parlarne con entusiasmo, non per mera accettazione ubbidiente dell’invito del sommo pontefice. Ma perché ci si crede, perché non si vede l’ora di cominciare, perché se ne capisce il valore salvifico e rigenerante di una Chiesa che delle diversità interne (che ci sono, vivaddio che ci siano…!) non solo non ha paura, ma le accoglie per portarle al massimo della loro potenzialità di arricchimento reciproco.
Seconda: pensare che sia un’occasione per coinvolgere tutti, o almeno il massimo numero di persone possibile. Nessun escluso. Per partecipazione impegnativa, per semplice ascolto, per un’occhiata sui giornali, per responsabilità diretta e decidente, per qualsiasi ragione, di riffa o di raffa, di striscio o in modo diretto, ogni componente di questo popolo, senta di essere parte di una grande ed entusiasmante assemblea di condivisione, collaborazione, concertazione. Senta con forza che quello “spezzare il pane” non è “solo” un rito, spesso praticato per abitudine, ma una reale, sensibile e incidente modalità di sentirsi in continuità fratello o sorella nella propria esperienza di vita globale.
Terzo aspetto, che il comunicatore, se guarda bene un fatto speciale e straordinario come un Sinodo, non deve trascurare e anzi sottolineare e far capire a tutti (spiegandolo con pacatezza a chi non ha gli elementi per farlo): nasce dalla consapevole difficoltà di cogliere in pieno la sottile, perniciosa e ambigua funzione dell’esaltazione dei risultati. Mi spiego: la mentalità scientista e positivista acquisita negli ultimi decenni (e rafforzata con la pandemia), sostiene (con un margine di ragionevolezza) che i percorsi si intraprendono se si ha chiara la meta e si può misurare con oggettività il risultato finale. Senza questo atteggiamento preventivo si rischia di perdere tempo. Bene: è così, è giusto, e troppo spesso le “chiacchiere stanno a zero”. Ma ciò non toglie che in alcuni casi, e il Sinodo è uno di questi, anche con un processo articolato in modo corretto ed efficace, con i passi giusti e con modelli studiati, non necessariamente arrivano risultato ponderabili con metri oggettivi. Perciò si sente già qualcuno dire: «ma alla fine a che serve? Sì, parliamo, ci confrontiamo, discutiamo, e poi? A cosa si vuole arrivare? La Chiesa va nella direzione in cui vogliono farla andare chi la dirige, secondo obiettivi che noi popolo semplice non possiamo cambiare. Ergo: tutto inutile, solo apparenza». È vero? Non vi pare di aver già ascoltato voci simili?
Ebbene, oso dirlo con forza: non è e non può essere così. Intanto già il vedersi, parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi, e sapere che i frutti di quegli incontri restano e anche altrove, lontano, qualcuno potrà conoscerli (i mezzi tecnologici oggi lo consentono facilmente), è un grande valore aggiunto in quest’epoca spesso arida di segni positivi. Non si valuti la nostra vita di comunità con la misura di un bilancio che (per ovvie ragioni) ha sempre bisogno di entrate e uscite per quadrare. Diceva il grande Albert Einstein: «Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato». Di certo l’esito di sentirsi fratelli e sorelle, con la capacità di guardarsi e ascoltarsi producendo, insieme, un ricco bagaglio di letture, interpretazioni e proposte per il tempo e il Paese che verrà, sarà un grande risultato. Conta, eccome se conta per la nostra vita di cristiani.
«Metterci in ascolto di questo tempo è un esercizio di fedeltà al quale non possiamo sottrarci», ha detto papa Francesco ai rappresentanti dell’Azione cattolica riuniti nella 17ma Assemblea di fine aprile. Ecco, il Sinodo sarà una grande opportunità di ascolto, di un mondo, delle persone e delle comunità che in questo tempo di enorme tragedia del distanziamento doloroso e per molti neppure risolutivo, hanno vissuto la pesantezza della solitudine. Avere il coraggio di intraprendere un lungo cammino (insieme) sarà già di per sé una sferzata di spirito rigeneratore.
Scrivi un commento