L’Italia è un paese dove non nascono più bambini. È il grido d’allarme lanciato dall’Istat in questi giorni; in un periodo che tra l’altro, per i cristiani, coincide con i giorni festosi di Pasqua che dovrebbero portare ad aprirsi alla vita.
“L’Italia sta scomparendo” ha tuonato il magnate Elon Musk. Senza più bambini, il nostro paese si avvia in maniera preoccupante sulla strada di un declino demografico probabilmente inarrestabile. Il rischio che questo crollo diventi irreversibile si fa di anno in anno più concreto e ciò potrà avere conseguenze catastrofiche sulla tenuta sociale, particolarmente per l’assistenza sanitaria, per il pagamento delle pensioni, per la produttività del sistema economico, per il mercato, per l’occupazione.
Ma è doveroso aggiungere una riflessione che, in questo periodo pasquale, interpella la stessa fede cristiana, a partire proprio da questo drammatico quadro. “La dinamica demografica del 2022 continua a essere negativa” avverte l’istituto nazionale di statistica in un comunicato dello scorso 20 marzo: “al 31 dicembre la popolazione residente è inferiore di circa 179mila unità rispetto all’inizio dell’anno, nonostante il positivo contributo del saldo migratorio con l’estero. Il saldo naturale della popolazione è fortemente negativo. Le nascite risultano in ulteriore calo, ma con lievi segnali di recupero al Sud”.
Purtroppo i lievi segni di ripresa nelle regioni meridionale non hanno significativa rilevanza a livello nazionale. Come non l’ha l’indice di fecondità che registra un lievissimo incremento ma che in termini di numeri assoluti risulta del tutto insufficiente, passando da una media di 1,24 nuovi nati per ogni donna, a 1,25.
L’obiettivo che in questi anni si è cercato di raggiungere è quello di riportarsi al livello delle 500mila nascite annuali; e questo in maniera almeno graduale, cioè con un incremento di 10mila nati in più per anno rispetto al precedente. Invece fino allo scorso mese di settembre sono nati 6mila bambini in meno che probabilmente diventeranno 10mila nel conteggio annuale e riportando con questo il totale delle nascite in Italia addirittura sotto quota 400mila.
Nel dibattito pubblico, in questi giorni si punta il dito contro le politiche sociali del governo. Ma non si può certo non riconoscere che non sono mancati nei vari governi che si sono avvicendati alla guida del paese i provvedimenti adottati per incentivare le nascite. A cominciare dall’assegno unico per le famiglie con figli, una misura indispensabile ma che evidentemente non ha prodotto i risultati sperati. Gigi De Palo, lasciando la guida del Forum delle Associazioni familiari giunta a fine mandato, ha affermato che è necessario incrementare ulteriormente tali incentivi, essendo la nascita di figli la seconda causa di povertà in Italia.
Quelle di De Palo e della sua Associazione, nella quale si riconoscono ben quattro milioni di famiglie italiane, sono osservazioni giustissime e che vanno sostenute con più decisione dal governo. Ma, di fronte alle criticità che permangono, forse è necessario farsi altre più radicali domande.
È evidente che tutto il problema del calo delle nascite è legato alla visione che si ha della realtà e della speranza o meno che questa realtà può suscitare guardando alle prospettive future. Perché è per una speranza che si fanno figli; per una speranza certa, che si ritiene cioè ragionevolmente fondata.
Tutto questo interpella in maniera stringente la fede cristiana perché se è vero che ci troviamo di fronte alle più sinistre prospettive per la stessa convivenza civile è altrettanto vero che Cristo, con la sua resurrezione ha rischiarato le tenebre, tutte le tenebre proiettate sul destino dei singoli uomini e dell’intera società. E ciò non riguarda soltanto chi professa la fede cristiana. Riguarda tutti; perché la realtà o è positiva o non lo è.
Una situazione diventata così drammatica, come è quella demografica, esige che si vada oltre generici richiami morali; esige che si annunci con forza – “da sopra i tetti” – che Cristo è veramente risorto e che nulla è più come prima. “Quel veramente” ha detto Papa Francesco nella benedizione pasquale Urbi et orbi, “ci dice che la speranza non è un’illusione, è verità! E che il cammino dell’umanità da Pasqua in poi, contrassegnato dalla speranza, procede più spedito. Ce lo mostrano con il loro esempio i primi testimoni della Risurrezione”.
Con Cristo, veniamo dunque immersi in una realtà positiva. Siamo adagiati su “un guanciale amoroso” come ebbe a dire il grande teologo H.U. von Balthasar con un’immagine di straordinaria efficacia. Si dirà che agli occhi dell’uomo contemporaneo tutto ciò non è evidente. Invece è evidentissimo. Basta per esempio guardare alla nostra realtà con gli occhi dei migranti. Questa gente lascia la propria terra, lascia ogni cosa, impegna tutto quello che ha, anche l’ultimo spicciolo, per affrontare un viaggio al quale probabilmente non sopravvivrà.
Il migrante affronta tutto questo e mette in gioco la sua stessa vita attratto da una novità di vita che vede fiorire nella nostra terra. Una vita che però noi non vediamo, che forse ci rifiutiamo di vedere; una vita che spesso addirittura rifiutiamo di accogliere, come riportano le rilevazioni degli istituti di statistica.
È Pasqua. Se prima non eravamo capaci di vedere e di apprezzare la realtà, adesso è venuta la Luce, Cristo, e ognuno di noi può vedere bene la bellezza, la positività di questa vita risorta, di questa nostra vita risorta.
Se, nonostante ciò, ancora non riusciamo a guardare così la realtà, guardiamola con gli occhi del migrante sul suo povero barcone sballottato dalle onde sulle acque del Mediterraneo. Guardiamo a Cristo risorto con gli occhi del migrante che, trepidante, vede all’orizzonte apparire quella terra promessa che tanto intensamente ha atteso di vedere e sulla quale ha scommesso tutto. Quella terra che è la nostra terra. Che siamo noi. Noi che siamo stati toccati dall’annuncio cristiano, un annuncio che ha trasformato e che trasforma anche oggi la nostra esistenza.
È Pasqua e per questo, come i migranti, dobbiamo lealmente guardare alla realtà con occhi diversi. Noi infatti, figli di Eva, siamo “gementi e piangenti” tutti spiritualmente migranti.
“La mano del neonato” di Lars Plougmann è sotto licenza CC BY-SA 2.0 .
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