Dieci anni sono trascorsi dall’inizio del pontificato di Francesco. È un pontificato che ha portato con sé tante rilevanti novità. Francesco è un papa venuto dal continente americano, il Nuovo Mondo come si diceva un tempo, e dall’emisfero australe; lo ha detto lui stesso di essere stato preso “quasi alla fine del mondo”. Per la prima volta, dopo molti secoli, un papa veniva da un continente non europeo. E questo vuol dire principalmente che la Chiesa è ormai veramente cattolica, universale; vuol dire cioè ha rotto gli argini e che, in qualunque parte del globo terrestre ci si trovi, un uomo o una donna possono considerare la Chiesa pienamente parte del proprio mondo e non più legata prevalentemente al mondo occidentale, il Vecchio Mondo.
Il secondo elemento di assoluta novità, nel corso di questa prima parte del pontificato, è stata la significativa presenza di un papa emerito. È stato certamente un fatto imprevisto, non soltanto per la portata storica della rinuncia al ministero petrino da parte dell’amatissimo papa Benedetto XVI, ma anche per la sua durata, che ha coperto quasi interamente l’arco dei dieci anni – papa Benedetto stesso ha dichiarato che pensava di terminare molto prima i suoi giorni terreni, un anno o poco più dal momento delle dimissioni.
Nel pontificato di Francesco abbiamo visto la canonizzazione di due dei pontefici che lo hanno preceduto, Paolo VI e Giovanni Paolo II, e la beatificazione di Giovanni Paolo I, un segno inequivocabile di continuità nel governo della Chiesa. È un paradosso che una novità possa riuscire ad affermare nello stesso tempo una continuità col passato ma è un paradosso reso possibile, evidentemente, dall’eterno presente della fede cristiana. È questo un fatto che, nella sua oggettività, può a ragione mettere da parte presunte dicotomie tra il papato di Francesco e la tradizione.
La terza inimmaginabile novità è stata quella della drammatica realtà della pandemia da covid. La diffusione del virus, investendo il mondo intero, ha abbattuto drammaticamente i muri, riportando tutte le nazioni sulla stessa barca e interessando, proprio per questo, la natura stessa della Chiesa; è come se il mondo si sia trovato improvvisamente inchiodato sulla stessa croce.
Quella della pandemia è stata una sfida epocale che papa Francesco ha colto e che ha saputo efficacemente interpretare, come il mondo intero ha potuto vedere nella sera del 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta, con la solenne cerimonia di affidamento dell’umanità a Dio. Non è trascurabile nemmeno quanto fortemente la pandemia e le restrizioni introdotte abbiano condizionato la normale vita della Chiesa.
C’è da ricordare purtroppo anche la triste novità della guerra in terra ucraina, sebbene agli occhi di Francesco si sia trattata di una novità ampiamente prevista nella forma della Terza guerra mondiale “a pezzi”. Sull’Europa è tornato l’incubo di una guerra che sembrava definitivamente rimosso, con tutti i rischi connessi, a partire dalla concreta minaccia atomica. C’è da dire che questa guerra ha ferito particolarmente la Chiesa, non soltanto per la tragedia che ogni conflitto rappresenta, ma anche per la contrapposizione tra cristiani delle nazioni in guerra, un ostacolo in più alla difficile ricerca di un percorso di pacificazione.
Papa Francesco in questi anni ha dato tanto agli uomini e alle donne del tempo presente, particolarmente a chi vive nelle periferie del mondo e nelle periferie esistenziali. Ma il nostro popolo materano ha potuto vedere bene ciò che più di ogni altra cosa questo papa ha saputo donare al mondo. A Matera, nel corso del Congresso eucaristico nazionale del settembre scorso, papa Francesco è venuto a dare, a dare nuovamente, Cristo e Cristo Eucaristia, pane vivo, quel pane nel quale l’uomo può ritrovare il gusto della vita e dell’eternità. Chi segue la Chiesa può gustare questo pane, il sapore di una vita nuova, una vita finalmente libera da quella paura e da quella colpa che tanto pesantemente opprimono i fratelli uomini.
Al Congresso eucaristico papa Francesco pronunciò, nel corso dell’omelia, queste indimenticabili parole: «Fratelli, sorelle, da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, apostoli di giustizia, apostoli di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte».
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